Politica e Sanremo, un connubio innegabile per il “meteo sociale” italiano
Chi tenta di normalizzarlo o ridurlo a una rassegna di canzonette sbaglia: il Festival di Sanremo rappresenta il “meteo sociale”, una previsione del clima del nostro Paese.
Sembrano lontanissimi i tempi in cui Claudio Baglioni annunciava alla vigilia del suo Festival di Sanremo “qui non si parla di politica”, eppure sono passati appena quattro anni. La vetrina più importante della televisione italiana, oggi come negli ultimi anni, continua a stimolare dibattiti surreali. Dai fiori da donare sia a uomini che donne che si esibiscono alla manifestazione canora, alla scelta delle donne che affiancano il conduttore del Festival; dai messaggi “deviati” – secondo una precisa compagine politica – che si cantano davanti a milioni di spettatori, ai monologhi strappalacrime sul palco più scottante dell’inverno italiano, Sanremo porta meno dissing politico di quanto ne creano gli stessi avversari politici su Sanremo.
Non sono così remoti i tempi in cui Di Maio e Salvini, a pochi mesi dalla formazione del celeberrimo governo gialloverde, montavano una delle polemiche più populiste degli ultimi anni invocando il televoto a Sanremo contro quei radical chic che avevano favorito il trionfo di questo italiano dalla carnagione scura, Mahmood, battendo Ultimo grazie al voto della giuria di qualità.
La politica è contenuta già nelle canzoni (da molto tempo), nei vestiti – negli ultimi anni sempre di più – negli inviti alla kermesse nazionale più seguita di sempre. Forse tutto quello che avviene fuori cerca di raccogliere consensi aggrappandosi al treno di Sanremo che fa milioni e milioni di ascolti a ogni edizione.
Non è un caso come “Volare!” di Modugno sia accostata ad anni ben precisi, una sorta di colonna sonora del boom economico italiano. Allo stesso modo, il suicidio di Tenco diventa emblematico e gesto tragico contro il conformismo. Si sprecherebbero le citazioni per inseguire i contenuti politici portati sul palco dell’Ariston e scatenati dal Festival. Non serve elencare quanta politica trasuda già dai soli contenuti lirici, dai simboli, dai messaggi sia subliminali che più palesi lanciati da ogni artista e invitato sul palco.
Insomma, il Festival di Sanremo è ed è stato sempre “politico”, e nell’edizione di quest’anno è stato presente in platea, per la prima volta in assoluto, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Chi tenta di normalizzarlo o ridurlo a una rassegna di “canzonette” sbaglia. Il Festival rappresenta – a maggior ragione in questi anni così densamente social-izzati – il meteo sociale, una previsione del clima del nostro Paese. D’altronde giovani, molto giovani e (i soliti) adulti sono affezionati da anni al festival della canzone italiana e sono, in qualche modo, rappresentati su quel palco.
Per settimane ha tenuto banco la polemica contro la presenza del presidente ucraino Zelensky, il leader politico al centro del conflitto più discusso sul globo. L’iniziale intenzione di avere un collegamento video, diventato successivamente solo una lettera da leggere in diretta, ha fatto esplodere tutta quella voglia di spoliticizzare il Festival – e come sarebbe possibile? – in nome di una non ben comprensibile riservatezza su temi così delicati.

Chi dichiara, per esempio, di non volere il presidente ucraino a Sanremo lo fa per il timore di una sovraesposizione atlantista o per semplice miopia – da Salvini a Conte, da Calenda a Gasparri – non certo perché crede che non serva portare la guerra e l’educazione allo “schieramento a tutti i costi” dentro un evento seguito da milioni di persone nello stesso momento. Quella alla guerra, a un mondo popolato naturalmente da conflitti, sì che è un’educazione malsana; al contrario di quella «gender» che influenzerebbe i bambini seduti davanti alla diretta di Raiuno.
La questione, l’opposizione che si è posta sul caso Zelensky a Sanremo è a dir poco lunare. Basti pensare a come l’evento, negli anni, sia stato contenitore per le più svariate manifestazioni di stampo politico e sociale, tutte ben oltre la connotazione di rassegna puramente musicale. Il primo buon motivo per portare temi politici del genere in una diretta col 60 per cento (e oltre) di share è tenere accesa la luce sull’argomento guerra.
Ci siamo dimenticati come Fabio Fazio, nel 1999, riuscì a portare a casa il colpaccio al decennale del crollo del Muro di Berlino, l’ex presidente dell’Urss Mikhail Gorbaciov, Premio Nobel per la Pace e decisivo per la fine della Guerra fredda. Anche questa è l’ennesima dimostrazione di come lo spazio per la politica non sia mai mancato e, probabilmente, mai mancherà, nonostante a volte si tenti di celarlo (male).
Forse, l’intervento più gradito che una qualunque personalità, politica o meno, poteva fare, assecondando la scelta – comunque proveniente da vertici televisivi nominati dalla politica – di invitare Zelensky a mandare un messaggio agli spettatori e al pubblico italiano in generale, era quello nel senso di uno “spazio per la pace”. Sarebbe interessante un appello affinché certi scontri non distruggano e non continuino a distruggere più di quanto già fanno la natura e i cataclismi, ogni anno con maggiore vigore anche, e soprattutto, per colpa dell’azione dell’uomo sul Pianeta.