AttualitàStay Human

Dagli Stati Uniti all’Italia, il movimento Me Too sei anni dopo

Grazie al movimento Me Too, l’ondata di denunce per abusi sessuali si è estesa in tutto il mondo, ma le vittime faticano ancora ad ottenere giustizia


Era la fine del 2016 quando due giornaliste del New York Times, Jodi Kantor e Megan Twohey, pubblicavano il report che avrebbe dato vita al movimento #MeToo, dal termine coniato dall’attivista Tarana Burke.

Uscito il 20 gennaio nelle sale italiane, il film She said (in italiano, Anche io) racconta proprio le indagini delle giornaliste americane contro il famoso produttore Harvey Weinstein, accusato di molestie sessuali da molte attrici di Hollywood. Nel 2020, Weinstein è stato giudicato colpevole di violenze sessuali e stupro e, tre anni dopo, deve ancora rispondere di altre 11 accuse.

Come mostra anche il film, non è stato semplice giungere a questo punto. Le donne coinvolte in questi casi di abusi e molestie erano restie a parlare, traumatizzate da violenze che avevano fatto perdere loro sia il lavoro che svolgevano ai tempi sia la possibilità di essere considerate per ruoli futuri. 

La firma di un accordo transattivo e le minacce ricevute obbligavano a non rivelare a nessuno, neppure ai propri familiari, i fatti accaduti; denunciare sarebbe stato, dunque, inutile se non perfino pericoloso per la vittima. Anche chi aveva accusato apertamente Weinstein si era ritrovata sola e ostacolata. 

Ma il delicato lavoro delle giornaliste aveva permesso di scovare documenti importanti ai fini dell’indagine e convincere, proteggendole, alcune donne a testimoniare contro il produttore, che negli anni aveva continuato a perpetrare abusi. 

Quell’articolo riuscì ad incoraggiare moltissime altre donne, più di 100, che si esposero confessando le violenze sessuali che anche loro avevano subito da Weinstein. Si è così poi assistito a diverse denunce di molestie sul posto di lavoro su scala globale, che hanno sia sensibilizzato su queste tematiche sia fatto cambiare alcune regole e leggi per porre più attenzione alla sicurezza delle donne. 

Negli Stati Uniti, è stato rivisto il concetto di “consenso” durante un rapporto, aggiungendo una definizione legale ad esso; inoltre, il Congresso americano ha approvato una revisione completa della legge sulla cattiva condotta sessuale sul posto di lavoro. «Ma già soltanto il fatto che le persone possano parlare più apertamente di abusi e violenze sessuali è significativo» afferma Jennifer M. Gomez, insegnante della Boston University. La maggiore consapevolezza su questi temi, che ha generato un movimento della portata del Me Too, segna già un grande passo avanti rispetto al passato.

Nonostante ciò, non sembra che i cambiamenti siano stati così radicali, se si pensa che ancora quando si denuncia si mette a rischio la propria carriera, come è successo a Rose McGowan, tra le prime a denunciare Harvey Weinstein. Invece, chi ha commesso questi crimini ha continuato a ricevere ruoli di rilievo nel mondo del cinema o resta ancora a piede libero. 

Basti pensare, tra i tanti, a Bill Cosby, il famoso attore accusato di abusi sessuali da più di 50 donne durante la sua carriera, o al comico Louis C.K. che nel 2022 ha ricevuto un Grammy, nonostante abbia pubblicamente ammesso, nel 2017, tra le tante cose, di essersi masturbato davanti a una donna. L’attore James Franco, sebbene sia stato accusato molteplici volte di cattiva condotta sessuale, è stato ingaggiato per molte altre pellicole. 

A questo proposito, l’associazione americana RAINN, che si occupa di violenza di genere, riporta che, su 1000 casi di abusi sessuali, solo il 25% di chi li commette finisce in carcere. 

Inoltre, secondo un’inchiesta di The Hollywood reporter sul trattamento di chi lavora dietro la macchina da presa, quando si prova a denunciare episodi di molestia, la produzione si gira dall’altro lato.Una fonte anonima ha dichiarato che, dopo aver provato a denunciare un accaduto di questo genere, è stata direttamente licenziata. 

In un altro sondaggio si legge che solo il 23% delle vittime ne parla con un supervisore, e il 9% con le risorse umane. Caitlin Dulany, una delle prime ad accusare Weinstein, afferma che «la violenza sessuale è una questione di potere», per questo motivo è complesso smantellare il sistema, sebbene siano stati fatti grandi passi avanti.

Il movimento Me Too, con il suo costante lavoro, quindi, continua ad essere rilevante, oggi più che mai, in tutto il mondo e anche in Italia. È di pochi mesi fa la notizia del dossier sulle molestie nel mondo dello spettacolo italiano redatto dal collettivo Amleta

L’attrice e cantante Angela Baraldi ha raccontato che, durante un provino, un produttore mise un film porno come ripicca per il suo no. Ha anche aggiunto che, durante molti provini, si invitano spesso le attrici a spogliarsi o a farsi toccare le proprie parti intime. Sono diverse le attrici che hanno dichiarato di essere state palpate e abusate durante i provini; non solo, i loro nudi venivano anche venduti su siti porno senza, ovviamente, alcun consenso. Ragion per cui una delle tante richieste è lo stop ai provini notturni

Nei due anni di vita del collettivo Amleta sono stati raccolti 223 casi di molestie e abusi nel mondo del cinema italiano. La maggior parte delle molestie viene commessa da registi, il 41,26%; da attori, il 15,7%; produttori, 6,28%, e poi da altre figure che lavorano dietro le quinte.

Dunque, in generale, sembra che l’ondata del Me Too abbia davvero raggiunto l’Italia solo di recente. La magistrata Paola di Nicola Travaglini, ex consulente giuridico della Commissione sul femminicidio e la violenza di genere del Senato, sostiene che la causa di ciò risiede nel fatto che «è talmente radicata l’idea che le donne mentono che di fronte a un uomo il contesto sociale, culturale e professionale non difende la vittima ma tutela l’uomo denunciato. C’è una cappa di omertà che soffoca il fenomeno». 

Tutti i dati dimostrano che la violenza di genere – da quella fisica a quella psicologica – è un vero e proprio fenomeno sociale e, per la paura di non essere credute, molte donne (anche in Italia) preferiscono non denunciare o rinunciano perché non dispongono dei mezzi e del supporto adeguato per farlo.

«Abbiamo un fenomeno criminale, non perseguito perché non denunciato. La Commissione femminicidio ha accertato che le donne che sono state uccise hanno denunciato solo nel 15 per cento dei casi» continua la magistrata Travaglini.

Uno dei problemi maggiori della mancanza di denunce risiede nelle sue tempistiche. In Italia una vittima ha un anno di tempo per denunciare ma, secondo la magistrata, non è abbastanza per maturare una certa consapevolezza dell’accaduto. Inoltre, le vittime devono essere pronte ad affrontare un processo infinito quando accusano qualcuno di violenze sessuali e/o domestiche. 

«Molte vittime sono impossibilitate a denunciare anche per la scadenza dei termini per la denuncia e altre affrontano minacce e ritorsioni» spiega Cinzia Spanò, presidente di Amleta. 

È sempre la cultura patriarcale e la sua narrazione da parte dei media ad impedire alle donne di essere realmente credute, etichettate invece come bugiarde ed esagerate, contro uomini dipinti come vittime di raptus e di gelosia.

Le stesse molestie vengono spesso sminuite e minimizzate. In italia la molestia sessuale viene punita con una contravvenzione e la mancanza di pena più severa manda il messaggio che importunare una donna possa in qualche modo passare in secondo piano, in quanto atto ritenuto comunque non tanto grave quanto uno stupro, una violenza fisica. 

Tuttavia, è evidente che ormai si può parlare di un mondo prima del Me Too e uno dopo. I dibattiti e le proteste che si sono susseguite negli anni hanno contribuito a sollevare i problemi insiti nella nostra cultura e nel nostro sistema giudiziario e, qualche volta, a far pagare i responsabili. I cambiamenti ci sono stati ma non sono ancora abbastanza per mettere al sicuro le donne che subiscono violenze, ogni giorno. 


Avatar photo

Matilde Mancuso

Classe 1995. Appassionata di letteratura, diritti umani, cinema e musica, nella mia vita non può mancare una tazza di tè e il prossimo viaggio programmato.