Il Next Generation EU a due anni dall’adozione
Lo scorso 21 febbraio, la Commissione europea ha adottato una comunicazione che fa il punto sui risultati sinora ottenuti attraverso il Next Generation EU.
La crisi pandemica – determinatasi attraverso la diffusione del COVID-19 – ha richiesto, com’è noto, l’adozione di strumenti straordinari, volti a incrementare la resilienza degli Stati membri dell’Unione Europea (UE) avverso gli effetti economico-sociali negativi prodotti da tale fenomeno. Per tale ragione, la risposta delle Istituzioni comunitarie – dopo una prima fase in cui hanno prevalso misure non coordinate di carattere nazionale – si è concretizzata nelle predisposizione di una strategia comune, con l’obiettivo di salvaguardare la salute dei cittadini europei e la stabilità finanziaria all’interno dell’UE.
L’accordo sul Next Generation EU
Il fenomeno epidemiologico del Coronavirus ha messo in chiara evidenza i limiti che caratterizzano l’Unione sotto il profilo degli strumenti cui fare riferimento in caso di shock finanziari ed extra-economici, al pari delle precedenti sfide, quali la Grande Recessione e la crisi dei debiti sovrani. Va precisato, tuttavia, che – a differenza di quanto accaduto in passato – le Istituzioni europee hanno individuato e adottato una soluzione innovativa, raggiungendo un accordo volto a predisporre un fondo di ripresa per le economie degli Stati membri in difficoltà, costituito dal Next Generation EU (NGEU).
Nel dettaglio, i Capi di Stato e di Governo dei Paesi UE, durante la riunione straordinaria del Consiglio europeo, tenutasi tra il 17 e il 21 luglio del 2020, hanno definito la portata del NGEU, pari a 750 miliardi, sottolineandone la stretta connessione con l’approvazione del Quadro Finanziario Pluriennale (QFP) 2021-2027. In particolare, la dotazione complessiva attraverso cui l’Unione Europea ha offerto – e continua ad offrire – sostegno agli Stati membri contro gli effetti negativi della crisi pandemica ammonta a circa 1.800 milardi (1.074,3 a titolo di QFP e 750 a titolo di Next Generation EU).
Il carattere innovativo dello strumento in esame – il NGEU – risiede nella predisposizione di contributi a fondo perduto, accanto ai tradizionali prestiti in favore dei Paesi UE; una novità, questa, che ha sicuramente segnato un cambio di rotta nell’ambito del processo di integrazione europea; una soluzione, quella dell’emissione di debito comune, che non aveva mai trovato spazio nelle risposte alla crisi adottate a livello comunitario.
Il Dispositivo per la ripresa e la resilienza
Il Dispositivo per la ripresa e la resilienza (Recovery and Resilience Facility o RRF), entrato in vigore il 19 febbraio 2021, costituisce l’elemento chiave del NGEU e le relative risorse sono state previste con l’obiettivo di ridurre l’impatto economico e sociale della pandemia e di rendere le economie e le società europee più sostenibili, resilienti e preparate alle sfide e alle opportunità della transizione ecologica e della trasformazione digitale.
I fondi che costituiscono il RRF – e, in generale, il NGEU – verranno raccolti dalla Commissione europea contraendo prestiti per conto dell’UE sui mercati dei capitali, sino al 2026. Per poter accedere a tali risorse, gli Stati membri hanno presentato appositi Piani di ripresa e resilienza (Recovery Plan), sottoposti al vaglio dell’Istituzione comunitaria sopra menzionata e contenenti le riforme e gli investimenti da attuare entro la fine del 2026.
Al fine di ricevere l’erogazione periodica e regolare dei fondi del RRF, i Paesi UE si sono impegnati a raggiungere dei target intermedi e finali: come si evince, quindi, si tratta di un sistema basato sulle prestazioni, talché ogni obiettivo raggiunto e rispettato, secondo una precisa tabella di marcia e nel rispetto delle sfide individuate nell’ambito del semestre europeo, consentirà a ciascuno Stato membro di beneficiare dello sblocco di pagamenti.
Il RRF a distanza di due anni
Lo scorso 21 febbraio, la Commissione europea ha adottato una Comunicazione, nella quale vengono riportati i risultati conseguiti dai Paesi UE fino ad oggi tramite il RRF, nonché viene confermata la spinta positiva che lo strumento in esame ha impresso a favore delle riforme e degli investimenti verdi e digitali negli Stati membri.
Come affermato dalla Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, «Il nostro piano per la ripresa Next Generation EU ha assunto una rilevanza ancora maggiore di una risposta, peraltro fondamentale, alla pandemia di COVID-19. A due anni dalla creazione del fondo abbiamo già erogato oltre 140 miliardi di € e abbiamo superato gli obiettivi di investimento iniziali per le transizioni verde e digitale».
Esaminando i 22 Recovery Plan presentati dagli Stati membri nel corso dei mesi passati, si può notare come gli stessi abbiano destinato quasi il 40 per cento della spesa nei loro piani alle misure per il clima e oltre il 26 per cento alla transizione digitale, superando di fatto i target concordati rispettivamente del 37 per cento e del 20 per cento; requisiti, questi, essenziali per poter beneficiare delle risorse del RRF.
L’impatto del RRF sulle economie nazionali dei Paesi UE ha rivelato, durante i due anni appena trascorsi, il proprio carattere trasformativo, contribuendo a vario titolo ad incrementare la capacità di ripresa post-pandemica degli Stati membri e la resilienza dei medesimi nei confronti delle nuove sfide: si pensi, a titolo di esempio, alle riforme dei sistemi di giustizia civile e penale in Italia, nonché a quelle del mercato del lavoro in Spagna; oppure alle condizioni di miglioramento relative all’offerta di alloggi a prezzi accessibili in Lettonia o alla promozione di investimenti nelle energie rinnovabili offshore in Grecia; o, ancora, alla digitalizzazione delle scuole e delle imprese in Portogallo.
Nel dettaglio, quelli sopra elencati costituiscono dei cambiamenti, la cui efficacia dipende dalla natura stessa del RRF, attraverso il quale le Istituzioni europee hanno tentato di realizzare, di fatto, una combinazione tra i piani nazionali per le riforme e gli investimenti, da un lato, e le priorità e i finanziamenti comuni, dall’altro. Sino ad oggi, lo strumento di cui si discute ha garantito il perseguimento, con le risorse di cui è dotato, dei principali obiettivi comunitari, quali la transizione verde e la trasformazione digitale.
In particolare, muovendo dai Recovery Plan, si può notare come una buona parte della dotazione complessiva riconosciuta agli Stati membri sia destinata a misure volte a ridurre le emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55 per cento entro il 2030 (203 miliardi circa), a trasformare in senso digitale le economie e le società europee (131 miliardi circa), nonché a contribuire alla spesa e alle politiche sociali per la prossima generazione (138 miliardi circa).
Le risorse ad oggi erogate
Sin dalla sua istituzione, la Commissione europea ha contribuito ad erogare – in favore dei Paesi UE – oltre 144 miliardi di euro nell’ambito del RRF, di cui 96 a titolo di sovvenzioni e 48 quali prestiti, e ulteriori erogazioni sono previste in futuro, sulla base dei target intermedi raggiunti dagli Stati membri.
In tale prospettiva, si può affermare che lo strumento oggetto della presente analisi determina l’esistenza di un circolo virtuoso di cambiamento, in cui le riforme proposte dai Paesi UE gettano le basi per i successivi investimenti previsti nei rispettivi Recovery Plan, nonché per quelli che si avvalgono di altri fondi UE, fondi nazionali e, soprattutto, fondi messi a disposizione dal settore privato.
Secondo le stime della Commissione europea, inoltre, il RRF e gli investimenti finanziati derivanti dal NGEU potrebbero stimolare il Pil dell’Unione di circa l’1,5 per cento nel 2024 e favorire ulteriormente la creazione di posti di lavoro.
Si attende, adesso, la valutazione intermedia del RRF del prossimo anno, la quale offrirà una nuova occasione per fare il punto ed esaminare i progressi compiuti e gli insegnamenti tratti dall’attuazione di tale strumento.