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Il controverso potere di referral del Consiglio di Sicurezza dell’ONU

Il potere di referral conferito al Consiglio di Sicurezza dell’ONU dalla Corte Penale Internazionale evidenzia la disparità tra chi detiene il diritto di veto e chi no.


Il 4 marzo 2009 la Corte Penale Internazionale ha emesso un mandato d’arresto nei confronti del Presidente della Repubblica del Sudan Al Bashir per genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi in Darfur, regione occidentale del Sudan. Il Sudan è stato da sempre teatro di numerosi conflitti, ma verso la fine del secolo scorso gli scontri tra le varie popolazioni hanno assunto una dimensione non più ignorabile dalla comunità internazionale. Il caso Al Bashir, è il primo nella storia in cui un Capo di Stato ancora in carica riceve una condanna dall’unico tribunale internazionale permanente.

Nonostante il Sudan non abbia ancora ratificato lo Statuto di Roma, ovvero il trattato istitutivo della Corte Penale Internazionale, e di fatto non ne faccia parte, esso può essere soggetto alla giurisdizione di quest’ultima. Questo è possibile grazie al potere che detiene il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, quello di referral. In pratica, si tratta della possibilità per il Consiglio di denunciare casi che possono costituire una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale. 

L’ottenimento del potere di referral da parte del Consiglio di Sicurezza ONU

Tra gli Stati che parteciparono ai lavori di preparazione dello Statuto di Roma, che avrebbe poi istituito la Corte all’Aja nel 2002, l’ipotesi di conferire il potere di referral al Consiglio non trovò consenso unanime. Al fine di dare una portata universale alla giurisdizione della Corte, sembrava conveniente coinvolgere un organo di eguale portata. Tuttavia, vi è stato chi marcava le potenziali disparità che si sarebbero create tra gli Stati, tra chi deteneva il diritto di veto e chi no. Il peso dei cosiddetti big-five sarebbe stato diverso dagli altri membri del Consiglio.

Un altro discusso effetto del potere di referral è la possibilità di intervento del Consiglio sulla domestic jurisdiction anche nei confronti degli Stati non parte dello Statuto di Roma. Come è accaduto in Sudan, gli Stati membri del Consiglio hanno la possibilità di incidere sulle circostanze interne ad uno Stato, richiamando l’attenzione dell’unico tribunale internazionale. Questo è possibile grazie al Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, che conferisce determinati poteri al Consiglio al fine di mantenere la pace e la sicurezza internazionale. 

In realtà, il caso Al-Bashir è stato il primo caso, ma non l’unico, in cui la Corte è intervenuta nei confronti di uno Stato non parte dello Statuto di Roma. Infatti, due situazioni analoghe sono accadute in Libia e in Siria.

Ad ogni modo il referral rappresenta una circostanza in cui i poteri della Corte, quale organo di giustizia, e quelli del Consiglio, organo di natura politica, si intrecciano. È un mezzo per intervenire o quantomeno tentare di intervenire, in situazioni conflittuali, al fine di indurre le parti a sospendere le ostilità e garantire la tutela dei diritti umani delle popolazioni interessate. La collaborazione è necessaria al fine di perseguire due obiettivi fondamentali dell’ordinamento internazionale: la pace e la giustizia.

L’intervento delle Nazioni Unite in Darfur attraverso la Risoluzione 1593

Il conflitto in Darfur, regione occidentale del Sudan, iniziato negli anni ‘80 del secolo scorso, è stato a lungo eclissato dalla guerra civile intercorsa tra il Nord e il Sud del Paese, almeno fino al 2004 quando, con l’aggravarsi degli eventi, la comunità internazionale non ha potuto più ignorarlo.

Essendo il Consiglio di Sicurezza l’organo che ha la responsabilità principale in materia di mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, il 31 marzo 2005 ha adottato la Risoluzione 1593 attraverso il potere di referral, attivando così la giurisdizione della Corte. In quel momento, l’attenzione della società internazionale e di alcune nazioni era concentrata sull’esistenza o meno di atti di genocidio in Darfur. Il Consiglio di Sicurezza si focalizzava su come punire chi fosse responsabile di tali atrocità, piuttosto che prevenirle.

Perché la Risoluzione 1593 è stata a lungo discussa: gli elementi di maggiore criticità

La Risoluzione 1593 è frutto di un compromesso politico e di negoziazioni intense. Tuttavia, essa presenta diversi elementi controversi che, non solo hanno impedito alla Corte di svolgere in maniera efficace il proprio lavoro, ma hanno condotto a diverse critiche da parte della comunità internazionale. 

Il paragrafo sesto della Risoluzione rappresenta l’elemento di maggiore criticità. Infatti, stabilisce che i cittadini, i funzionari o il personale di uno Stato, che non sia il Sudan e che non sia parte dello Statuto di Roma, sono soggetti alla giurisdizione esclusiva di tale Stato. Fondamentalmente, gli Stati chiedevano l’assoluta esenzione dalla giurisdizione della Corte Penale Internazionale dei peacekeepers messi a disposizione da uno Stato non parte. Se la Risoluzione 1593 non avesse previsto tale immunità, il Consiglio non avrebbe potuto approvare il referral considerando l’opposizione di Stati Uniti, Cina e Russia.

Infine, tra gli obiettivi del referral vi è quello di riconoscere la competenza della Corte rispetto a situazioni avvenute nei territori di Stati non parte (Sudan), per cui diventa difficile ignorare la contraddizione giuridica di una disposizione che prevede all’interno di questo strumento un’esenzione dalla giurisdizione nei confronti di alcune categorie di cittadini di Stati non parte. 

L’immunità nei confronti dei peacekeepers finisce per limitare l’azione giurisdizionale della Corte Penale, indeboliscono la fiducia nei confronti delle stesse operazioni di pace e, quindi, delle Nazioni Unite, incidendo negativamente sul processo di pacificazione.


Di Sofia Bianchi

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