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Professione Avvocato, record di cancellazioni dagli albi

Tremiladuecento avvocati in meno nel 2021 rispetto all’anno precedente. Una fotografia della contrazione più notevole registrata dalla professione forense.


Si tratta di una vera e propria emorragia nella cancellazione dagli albi. Il risultato del Rapporto Censis sull’Avvocatura 2022 è il prodotto di un sondaggio condotto su un campione di 30.231 avvocati e che mette in luce tutti gli aspetti di un fenomeno già annunciato: “la grande fuga dalla professione”.

Che la pandemia da Covid-19 abbia reso il terreno delle libere professioni ancor più franoso e scosceso è un dato di fatto, ma la strada dell’avvocatura è interessata già da parecchio tempo da ostacoli di matrice diversa che hanno reso la sua percorrenza sempre più difficoltosa. Problematiche proprie di una professione che, negli ultimi anni, non ha saputo superare le sue contraddizioni: difficoltà reddituali, iniquità dei compensi professionali, insufficienti tutele, gender pay gap e densità di competitor fittissima.

Per la prima volta, dopo 37 anni, il numero degli iscritti diminuisce in termini assoluti (-3.200 unità). E ciò è in parte dovuto alle cancellazioni dagli albi di molte avvocatesse (circa 6.000) che hanno portato a un saldo negativo, fra nuove iscrizioni e cancellazioni, di 1.604 unità.

La libera professione attrae sempre meno giovani. Non è una narrazione tipica di un banale luogo comune ma una cruda verità. Gli altissimi oneri fiscali e previdenziali, correlati alla percezione di un futuro privo di prospettive e garanzie, fa perdere appeal a una delle professioni più prestigiose come quella dell’avvocato.

Tra le varie difficoltà, come anticipato, questione dirompente è quella reddituale. E si presenta ben prima del fatidico traguardo dell’abilitazione: il 73% dei praticanti non percepisce alcun emolumento, con importanti conseguenze in termini di soddisfazione dei singoli professionisti, i quali inevitabilmente traducono la loro posizione come marginale e incerta.

Per i giovani avvocati, purtroppo, la situazione non migliora di molto. Se è certamente di più difficile lettura il dato degli innumerevoli talenti che non si iscrivono all’albo per gli elevati costi fissi che ciò comporta, i giovani avvocati under 30 dichiarano nel 2021 un reddito medio pari a 13.271 Euro. Gli avvocati di fascia d’età compresa tra i 40-44 anni ne dichiarano sino a 30.000 e solo gli over 50 arrivano a 50.000 annui.

Va inoltre sottolineato come le maggiori difficoltà determinate dalla pandemia si siano prevalentemente riversate sui giovani professionisti. Tra coloro i quali hanno dovuto far ricorso a contributi assistenziali, il 62 per cento aveva meno di 30 anni e il 57 per cento un’età compresa tra i 30 e 40 anni.

Lo stato di salute della categoria è messo a rischio se si analizza la percentuale di avvocati che sta prendendo in considerazione l’ipotesi di lasciare la propria attività. Sarebbe di quest’avviso circa un terzo degli avvocati, il 32,8 per cento, di cui il 63,7 afferma per ragioni legate ai costi eccessivi e al ridotto riscontro economico.

Preoccupante la sostanziale differenza tra reddito medio di una donna avvocato e quello del rispettivo collega uomo. La distanza tra i due redditi è tale che occorre sommare il reddito di due donne solamente per avvicinarsi a quello percepito da un uomo: 23.576 contro i quasi 51.000.  La condizione reddituale, a inizio carriera, appare quasi equivalente tra donna e uomo, ma con il passare degli anni la forbice tende ad allargarsi in maniera costante e sempre maggiore.

Ma la questione del reddito non è il solo discrimine quando si parla di gender gap. Tra le principali cause percepite che determinano la diversa remunerazione vi sono gli impegni familiari e la difficoltà di conciliare famiglia e professione, la presenza di discriminazioni dal lato della clientela ma, soprattutto, una minor valorizzazione del proprio lavoro.

È maggiore la quota di donne che sta pensando di lasciare la professione (37,3 per cento contro il 28,3 per cento), o che reputa l’attuale condizione professionale molto critica o abbastanza critica (65,7 per cento contro il 56,9 per cento degli uomini).

E ancora, in termini di conciliazione vita/lavoro la situazione è drammatica: quasi la metà degli intervistati oggetto del sondaggio afferma di dedicare all’attività professionale almeno nove ore al giorno e, di questi, il 12,8 per cento dichiara di lavorare anche oltre le dieci ore.

Impegno totalizzante, instabilità normativa, elevata durata dei processi, eccessiva burocratizzazione, ritardo dei pagamenti, poche e inesistenti tutele (si pensi tra tutte a quella legata alla condizione di maternità o paternità che, nonostante gli slanci dell’ultima legge di Bilancio 2022, risulta ancora a dir poco flebile), spinge sempre più professionisti alla ricerca del tanto agognato “posto fisso” e la conquista di un futuro più certo. 

Complici le decine di concorsi pubblici banditi solo nell’ultimo anno, primo fra tutti quello riguardante l’Ufficio del processo (in tutto, oltre 16.000 assunzioni a tempo determinato), che offre l’opportunità ai vincitori che abbandonano la professione di consegnare toga e tesserino impegnando le proprie competenze all’interno degli uffici giudiziari.

La scelta di lasciare la professione a favore di un’immissione a ruolo nella PA, e tutti i vantaggi che ne conseguono, appartiene ai più giovani, ma non solo. Sono molti gli over 40 che decidono di cambiar rotta poiché percepiscono il loro percorso di carriera in dirittura di arrivo e non più professionalmente incisivo.

È indubbio che la professione di Avvocato stia cambiando pelle, affacciandosi a un contesto sociale e internazionale in continuo aggiornamento. I neo laureati riversano sempre meno nella libera professione le loro aspettative, ma è ancora possibile tratteggiare dei percorsi di ripresa.

Servono nuove e più incisive politiche fiscali a sostegno del reddito, ma urge soprattutto ripensare la professione di avvocato in un’ottica innovativa, imparando a leggere la nuova domanda dei servizi legali. A fronte di percorsi di studio universitari ad oggi anacronistici e poco allineati con le richieste del mercato del lavoro, si potrebbe auspicare una riforma all’accesso alla professione, che preveda una stretta collaborazione tra avvocatura e università per una migliore acquisizione di competenze specialistiche e trasversali da parte dei professionisti di domani.

Allo stesso modo occorrerebbe trovare forme di finanziamento per promuovere la frequenza di corsi di specializzazione in linea con gli attuali settori in costante espansione.

Si tratta di ambiti non tradizionali che possono favorire una formazione trasversale e multidisciplinare, come quelli legati alle nuove tecnologie, alle truffe on line, alla tutela dei dati personali, ma anche al diritto sportivo ed europeo.

Appare necessario abbracciare un contesto in continua evoluzione in termini di concorrenza e rispondere prontamente acquisendo competenze nuove e vantaggiose.

L’evoluzione della professione è irrefrenabile e chiama alla responsabilità delle azioni che rispondano non solo a difesa di ciò che si è conquistato ma che abbandonino quell’atteggiamento conservativo deleterio a vantaggio della ricerca di nuove prospettive.

Lilly Di Nolfo