Máxima Acuña, la voce di una donna contro l’estrazione mineraria

Dalla cima delle Ande peruviane, la storia della lotta di Máxima Acuña per il diritto alla terra e a un ambiente sano contro lo sfruttamento delle multinazionali dell’oro.


Cosa accomuna gli ulivi del Salento e i minerali del Perù, l’acqua della Palestina e le praterie dell’Argentina? Prendendo come minimo comune denominatore lo sfruttamento dell’ambiente a danno di intere comunità, possiamo racchiudere queste esperienze in un unico fenomeno globale che prende il nome di estrattivismo. Ma di cosa si tratta? 

La parola estrattivismo non è ancora molto diffusa. Il termine, infatti, è quasi del tutto sconosciuto in Italia e in gran parte dei Paesi europei, e spesso si è faticato a dargli un significato. 

Aldo Zanchetta, giornalista e scrittore, esperto di America Latina e Paesi indigeni, fermo ambientalista, ha descritto l’estrattivismo come «quel processo che coinvolge grandi interessi privati, nazionali ed esteri, lo Stato e la finanza, per accapararsi le risorse presenti sui territori contro gli interessi delle comunità locali e dell’ambiente da cui queste dipendono e trovano ancora in gran parte del pianeta il loro sostentamento e modalità di organizzazione della società». 

Viene associato all’industria estrattiva, ovvero quella mineraria come carbone, metalli preziosi, ma anche petrolio e gas estratti anch’essi dal sottosuolo. 

A destare particolare preoccupazione a tal proposito è l’America Latina, che presenta attualmente il più alto livello di militarizzazione riconducibile ai fenomeni estrattivi. 

Qui, infatti, è possibile trovare alcuni dei più grandi siti minerari del mondo, con impatti devastanti sull’ambiente e le comunità che li abitano (basti pensare che circa il 20% del totale del solo suolo peruviano, ad esempio, è interessato da concessioni minerarie). 

Tra questi il progetto Conga, un piano di espansione della già esistente miniera a cielo aperto di Cajamarca, a circa 4000 metri sulle Ande peruviane del nord, della locale compagnia mineraria Yanacocha, di proprietà della statunitense Newmont Mining Corporation. 

Il progetto Conga è uno dei più contestati del Paese e l’ipotesi di ampliamento ha scatenato proteste, che durano ormai da anni, da ogni parte della popolazione peruviana. 

Gli effetti dell’estrazione mineraria 

Per comprendere il malcontento che dilaga tra la popolazione peruviana, e in particolar modo quella della regione di Cajamarca, bisogna capire cosa rappresentano le miniere a cielo aperto

Esse funzionano tramite i cosiddetti sbancamenti di roccia, ovvero delle asportazioni massicce di terreno, le cui rocce vengono poi ulteriormente frantumate e trattate con soluzioni chimiche per produrre scioglimento. Si tratta di una tecnica estremamente impattante che frantuma tonnellate di roccia per ricavarne pochi grammi di minerale.

Tale processo, oltre a modificare radicalmente la morfologia del paesaggio su cui si installa, richiede anche una quantità di acqua considerevole per essere messo in atto. Il problema dell’acqua, tra i tanti, è uno dei maggiormente sentiti non solo per la conseguente scarsità che ne deriva per la popolazione, già messa a dura prova dai cambiamenti climatici che riducono l’apporto di acqua proveniente dai ghiacciai, ma anche per l’intensa contaminazione causata dello sversamento dei prodotti tossici.

Se da una parte, quindi, abbiamo la criticità derivante dal rischio di compromissione di un bacino idrico (quello su cui si installerebbe l’estensione di Conga) vitale per tutte le vallate circostanti; dall’altra constatiamo un enorme problema anche di salute pubblica, dovuto alle altissime concentrazioni di piombo, rame, arsenico, tallio, mercurio riscontrati nelle acque, nei terreni ma anche nel sangue della popolazione della Regione di Cajamarca che lentamente si sta contaminando a causa dell’attività di estrazione.

Una moderna leggenda di Davide e Golia 

Il progetto Conga, tuttavia, si scontra con la tenacia di una donna, Máxima Acuña de Chaupe, che dal 2010 lotta strenuamente per difendere i circa 25 ettari di appezzamento di terra del distretto di Sorochuco, Cajamarca, appartenenti alla sua famiglia, ma oggetto anche del piano di espansione della miniera.

Nel corso di questi ultimi dieci anni Máxima e la sua famiglia hanno subito minacce di ogni genere, intimidazioni, violenze fisiche e verbali, oltre che danni al raccolto e agli animali da allevamento che fanno da base al sostentamento della famiglia Chaupe. 

Le sono state offerte cifre considerevoli da parte della compagnia mineraria per andarsene, soldi che Máxima ha rifiutato in nome di un obiettivo più grande: la resistenza per la sua terra, a rischio di grave compromissione ambientale. 

Resistenza che nel 2016 le è valso anche il Goldman Environmental  Prize, uno dei più prestigiosi premi per i difensori dell’ambiente, per essersi distinta nella promozione del diritto alla salute, a vivere in un ambiente sano e per aver diffuso consapevolezza sullo sfruttamento delle risorse minerarie nella sua regione, pur esponendosi a rischi personali di varia natura ed entità.

Già due anni prima, infatti, Máxima era stata inserita nella lista della Commissione Interamericana per i Diritti Umani (Inter-American Commission on Human Rights – IACHR) che stabilisce misure precauzionali anche per altri 46 difensori dei diritti umani della regione di Cajamarca a causa delle molestie e violenze sofferte. 

La Commissione ha ordinato al Perù di adottare misure atte a garantire la vita e l’integrità di tutti gli attivisti coinvolti nella difesa dei diritti umani. 

Il fenomeno estrattivista, in questi contesti, diventa anche di natura sociale in quanto compito primario di uno Stato è quello di occuparsi della sicurezza e difesa dei propri cittadini. 

Se tale protezione venisse a mancare si darebbe spazio a scontri dovuti soprattutto all’instabilità delle forze in gioco, dal momento che non si può paragonare il potere di una grande multinazionale che opera su un territorio con il benestare dello Stato, con quello dei singoli cittadini che abitano queste zone depredate.


Articolo di Simona Zambrini

Immagine in copertina di A.Davey