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Blue economy, il IX Rapporto sull’economia del mare 2021

La pandemia ha messo in crisi parti dell’economia tradizionale imponendo una rivalutazione di nuovi settori per la crescita e la resilienza. La blue economy può essere fra questi?


Ormai è risaputo che la pandemia da Covid-19, oltre a colpire fortemente il nostro sistema sanitario, ha minato anche il nostro sistema economico e sociale. Ha cambiato modi di vivere e di lavorare, facendoci conoscere una realtà completamente nuova e a cui non eravamo abituati. Ormai, infatti, l’homo economicus è stato messo in discussione in favore di alcuni valori che richiamano un benessere che va al di là della mera ricchezza. Lo si può rintracciare in alcune nicchie della nostra economia globalizzata, come sostenuto da Fabio Cucculelli, in “Economia civile, sociale, solidale”.

In particolare, oggi sono i cambiamenti nei comportamenti sociali, sintetizzabili con il neologismo coniato da Gideon Lichfield del Mit di “shut in economy”, ossia di un sistema di relazioni basato sul distanziamento sociale, sul lavoro da casa e sulle attività online.

Quindi, in accordo con Ruskin, è necessario interrogarsi meglio sulla natura del Pil, che non sembra essere più un indicatore affidabile, poiché il quadro socio-economico che ci restituisce la pandemia porta a dover rivalutare in positivo indici che mettono in risalto l’importanza di altri aspetti dello sviluppo socio-economico dell’uomo, come l’Index of Sustainable Economic Welfare o ISEW e che in Italia è rappresentato dal BES (Indice di Benessere Equo e Sostenibile) previsto, anche, dalla Legge di bilancio.

Anche a livello europeo, in un’ottica di una crescita economica intelligente, sostenibile ed inclusiva e nel quadro degli obiettivi delle due Agende fondamentali del nostro tempo (Strategia Europa 2020 e Agenda Onu 2030 per lo Sviluppo Sostenibile), è in atto un processo di cambiamento. I suoi punti di partenza sono la strategia di Lisbona 2000 (rapporto Jean Figel), con il concetto lifelong learning e i successivi documenti, lo Shaping Europe’s digital future e il Libro Bianco sull’intelligenza artificiale.

È chiaro quindi come siamo di fronte ad un cambiamento del nostro sistema economico che è importante comprendere da un lato, ma che bisogna saper intercettare dall’altro, al fine di investire in quei settori o branche dell’economia che oggi possono fare davvero la differenza. Fra questi, è bene ricordare il turismo (fra i settori più colpiti dalla pandemia), ma anche ciò che oggi è conosciuta con il nome di Economia del mare o “Blue Economy”.

Quando si parla di Economia del mare ci si riferisce, in particolare, ad un modello economico che viene considerato come uno sviluppo della Green Economy, ma con alcune differenze. Infatti, mentre quest’ultima ha come obiettivo a livello globale una riduzione di CO2, la Blue Economy ha quello di arrivare ad emissioni zero di CO2. Entrambe hanno in comune l’uso di energia ricavata da fonti rinnovabili per la creazione di prodotti sostenibili, ma l’Economia del mare ha anche lo scopo di salvaguardare la “purezza del mare”. Ciò è possibile attuando una pesca sostenibile, come indicato da Gunter Pauli precursore di tale modello e autore del libro intitolato “The Blue Economy: 10 years, 100 Innovations. 100 Million Jobs”.

In sostanza, l’Economia del mare prevede un modello in cui non è necessario investire di più nella tutela dell’ambiente, ma prevede piuttosto minori investimenti, creazione di più posti di lavoro e quindi un ricavo maggiore. Il tutto sarebbe possibile grazie all’utilizzo delle innovazioni di tutti i settori dell’economia che usano sostanze già presenti in natura.

A sottolineare l’importanza sociale ed economica che avrebbe l’Economia del mare è stato proprio il IX Rapporto sull’Economia del mare 2021 scritto dal Centro Studi Tagliacarne e da Unioncamere e promosso da Informare. Esso ha messo in evidenza proprio il peso che essa ha per l’economia italiana. Infatti, già nel 2019 aveva prodotto 47,5 miliardi di valore aggiunto, pari al 3% dell’economia nazionale complessiva e cresceva inoltre ad un ritmo più sostenuto (nel 2019 si stimava circa una crescita di +12,4%).


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Figura 1 – Fonte IX Rapporto sull’Economia del mare – Centro Studi Tagliacarne e Unioncamere

L’aspetto più interessante di questa analisi è stato quello di evidenziare come questo settore sia in grado produrre degli effetti moltiplicativi in senso economico su tutta la filiera produttiva che coinvolge. A livello generale, come si può notare dalla figura seguente, si genera un effetto moltiplicatore per cui ogni euro prodotto dalla filiera ne ha attivati 1,9. Quindi si è stimato come 47,5 miliardi ne hanno prodotti altri 89,4, per arrivare ad un ammontare complessivo di 136,9 miliardi, cioè pari all’8,6% del valore aggiunto prodotto dall’intera economia nazionale.


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Figura 2 – Fonte IX Rapporto sull’Economia del mare – Centro Studi Talgiacarne e Unioncamere

Come detto in precedenza, questa capacità moltiplicativa è evidente anche per i singoli settori della filiera produttiva dell’economia del mare, come mostra chiaramente la figura in basso. Infatti, per ogni valore prodotto dalla singola attività c’è un valore aggiunto che attiva il moltiplicatore economico per tutta la filiera.


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Figura 3 – Fonte IX Rapporto sull’Economia del mare – Centro Studi Tagliacarne e Unioncamere

È stata fatta anche un’analisi a livello macro regionale per cui è risultato che il “moltiplicatore” è leggermente più elevato al Nord (cioè 2,3 Nord Est e 2,1 Nord Ovest) rispetto al Centro e al Mezzogiorno, dove è pari rispettivamente a 2,9 e 1,5. Da qui si capisce come questo settore può essere determinante per lo sviluppo e la ripresa economica di un paese come l’Italia. Lo si intuisce anche in senso opposto: infatti, questo effetto moltiplicatore ha inciso in senso negativo, su tutta la filiera, durante la pandemia e lo dimostra il fatto che nel 2020 c’è stata una perdita di circa 10,7 miliardi, cioè quasi un quarto del valore complessivo.

Ciò è stato dovuto in gran parte alla battuta d’arresto del turismo, aspetto già segnalato in modo preoccupante da una nota di BlueMonitorLab nel 2020. Infatti, nel settore turistico «che per circa il 70% è in Italia turismo di mare, l’ipotesi, a fine anno, è di una perdita netta di fatturato fra i 55 e i 60 miliardi, con impatto sull’industria alberghiera, sulla ristorazione, ma anche sugli stabilimenti balneari che “occupano” il 36% del litorale italiano».

Inoltre, è bene ricordare, che proprio il turismo ha anche un suo effetto moltiplicativo nelle sue diverse sfaccettature. Ad esempio, in uno studio fatto dall’Unioncamere nel 2014, il sistema produttivo turistico-culturale vantava un moltiplicatore pari a 1,67. Questo significa che per 1 euro di valore aggiunto prodotto da una delle attività di questo segmento se ne attivano sul resto dell’economia (commercio, i trasporti, l’edilizia, l’agricoltura) altri 1,67.

Ciò equivale a dire che gli 80 miliardi di euro prodotti nel 2013 dall’intero sistema produttivo culturale hanno attivato 134 miliardi di euro, arrivando così a totalizzare 214 miliardi di euro circa. Nel 2020, tornando a parlare dell’economia del mare, come mostra la figura seguente, è stato in grado di reggere, nonostante un’evidente contrazione dell’11%, solo il settore nautico.


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Figura 4 – Fonte IX Rapporto sull’Economia del mare – Centro Studi Tagliacarne e Unioncamere

Partendo da questi presupposti, e tenendo presente che il mare unisce tradizioni e settori diversi dell’economia all’interno di un tessuto imprenditoriale diffuso, potenziare l’economia del mare e riattivare quindi anche il turismo potrebbe essere determinante per il rilancio dell’Italia che, fra le sue innumerevoli risorse, ha anche il mare.


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