Anche in Ucraina la politica deve soccombere alle “leggi non scritte”

Tutte le volte che la guerra si ostina a sfondare l’orizzonte delle leggi della vita, viene invocato un ordine superiore: lo spazio della vita, uno spazio che, forse, non è in grado di essere compreso da tutti allo stesso modo.


Lo scontro iniziato già da qualche settimana in Ucraina ha portato il mondo intero ad assistere attonito ad una aggressione senza precedenti che in Europa rammemora tristemente gli eventi scatenanti della Seconda Guerra mondiale – l’invasione della Polonia il primo Settembre del 1939. Tra polemiche e rimpiattini, i vertici europei e statunitensi non sono finora riusciti ad intervenire in maniera incisiva, a parte l’isolamento russo. 

Chi invoca il finanziamento di armi e munizioni per l’Ucraina sta paradossalmente anche dalla parte della pace che, come al solito, rischia di restare per certi mercati un’alternativa “a ribasso” e, quindi, sconveniente. Dall’altro lato ci sono i popoli, russo e ucraino, fratelli in tutto fuorché nella colpa, dal momento che – in guerra come nella vita – ognuno dovrà fare i conti con le proprie responsabilità.

Ci sono già giunte immagini raccapriccianti di carri armati che schiacciano come inerti formiche automobili di civili che tentano con ogni mezzo di scappare dalle città ucraine bombardate. Ma ci sono giunti anche filmati che hanno immortalato scambi tra esponenti degli eserciti nemici al limite dell’ironia, botta e risposta con toni amichevoli, quasi divertiti, tra soldati ucraini e alcuni russi rimasti impantanati nella neve. «Vi diamo un passaggio se volete, vi riportiamo indietro in Russia».

I toni farseschi con cui alcuni episodi si stanno verificando, al limite del tragicomico, cozzano però con i primissimi (incerti) bilanci delle vittime: 352 civili ucraini tra cui anche bambini, vittime di bombardamenti che nessuno strumento tecnologico potrà mai rendere precisi al punto tale da essere considerabili inoffensivi per la popolazione. 

Parole di guerra, parole contro la vita

Appaiono ridicole, di fronte a queste immagini, le parole di chi da parte russa ha affermato, senza però poi doverlo garantire, che l’aggressione non riguarda il popolo ucraino, ma solo «la giunta in carica», il governo Zelensky. Erano state queste le parole telegrafiche di risposta rivolte dal presidente della federazione russa all’ambasciatore ucraino presso le Nazioni Unite, Sergiy Kyslytsya.

Le sue parole, per le ragioni teoriche di questo articolo che sono, per scelta, filosofiche e non politiche, rappresentano un esempio efficace del confine che, in caso di guerra, la politica supera quando pretende di sconfinare nel territorio della vita, minacciando l’esistenza stessa degli individui e dei popoli. Non a caso, Kyslytsya ha concluso il suo intervento con un tono di misticismo che va ben interpretato e che suona come un rimprovero dal sapore profetico: «Non c’è purgatorio per i criminali di guerra, vanno direttamente all’inferno, ambasciatore». 

Sarebbe riduttivo interpretare questa frase solo come espressione della rabbia, perché c’è di più. Il contenuto dell’avvertimento sembra esprimere infatti a chiare lettere un concetto: qui la politica, in quanto pratica umana, deve cedere il passo, qui si entra nel campo della vita, campo dei destini non scritti se non da Dio solo, per chi ci crede, o dal caso. 

Le leggi non scritte della vita

Nel campo del destino, come insegna Hegel, non esistono infatti opposizioni assolute, nemmeno le leggi che, appartenendo a diversi ordinamenti o preordinate a soddisfare mire o interessi particolari, possono legittimare questa invasione di campo di ciò che non è sospeso nelle mani degli uomini, ovvero le esistenze.

E il fenomeno che costantemente accompagna tutti i Creonte della storia, coloro che si illudono di poter giocare a scacchi con la vita degli altri e di poterne persino decidere, sulla base di leggi o progetti politici, anche il destino di morte, è il sorgere della loro Antigone. 

Le ragioni di Antigone, avulse dalla pervicacia suicidaria del personaggio sofocleo, restano più forti delle ragioni dei Creonte di turno, perché appartengono ad un ordine del discorso differente, non politico, esistenziale.

Come voce dei legami di sangue, Antigone non riconosce potere alle leggi degli uomini, obbedendo soltanto alle leggi non scritte della vita, la quale ordina il rispetto e la compassione per i fratelli. Potremmo dire che questa legge rompe con la legge del padre, quella che Lacan individua e fa coincidere con l’ordine costituito e con la dimensione del logos umano.

La legge non scritta della vita, che la psicoanalisi non prevede, si identifica chiaramente con le mani, simbolo della cura. Le mani delle madri accolgono e allevano i figli rinnovandone ogni giorno la vita, e con le loro mani costruiscono in loro la costellazione fusionale dell’empatia, della rassicurazione e della consolazione. 

L’ordine paterno si occupa di spezzare questa fusionalità dal pericolo di essere autistica, presentando il mondo come teatro della vita, la quale occorre che si stacchi dal sogno di un godimento autarchico e si apra invece all’altro, al diverso, all’estraneo, amministrando l’irreparabile rottura dell’idillio mitico di soddisfazione attraverso le parole, le leggi, i discorsi, gli affari.

Madri contro l’ottica mascolina della guerra

Non è un caso, dunque, che tutte le volte che la guerra, che è un atto di hybris – la tracotanza e la superbia dell’uomo accecato dal proprio ego – si ostini a sfondare l’orizzonte delle leggi della vita, un ordine superiore venga sempre invocato. È opinione di chi scrive che questo ordine possa essere definito come legge della madre e che Antigone sia la figura più adatta a esprimerla.

Da Roma a Berlino, da Mosca a New York, le piazze che in queste ore stanno manifestando contro la guerra in Ucraina sostengono tutte la legge della madre, indicando alla politica, come acqua di un fiume in piena, di ritornare nei suoi argini a non minacciare la vita. 

“Russian mothers, still silent? The blood of Ukranian children is on you too!”. Questa frase, scritta sul cartello di un’attivista presente ad una manifestazione, non è uno slogan ma un importante segnale di confine, un monito rivolto alle donne e che forse le donne (ma non solo) possono sentire ed incarnare in maniera emblematica.

Lo spazio della vita, della sua invocazione e preghiera, del suo farsi nel grembo e del suo sostenersi nell’alimento, quello spazio di coscienza che è e sarà sempre legato alla cura, è importante per il mondo ed è cruciale in queste ore. Esso resta l’unico contraltare possibile, presente, arrabbiato e moralmente sanzionatorio rispetto all’ottica mascolina della guerra e non andrebbe marginalizzato al discorso ideologico legato ai ruoli di genere. 

Se la pace è custodita dalle mani di una madre, tutti gli uomini che si impegnano per essa saranno madre, così come finanche Dio è madre, come disse saggiamente Papa Luciani (Giovanni Paolo I) il 10 Settembre 1978, in piena Guerra Fredda.


Copertina ROPI via ZUMA Press