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Uccisa a 17 anni per un’agenda: la storia di Graziella Campagna

È il 12 dicembre 1985 e nel messinese la mafia sembra non esistere, non ci sono morti per strada. Eppure una giovane ragazza di 17 anni, Graziella Campagna, viene trovata morta tra le montagne, uccisa da mani mafiose per aver trovato un’agenda in un taschino. 


Tra le giovani vittime di mafia ci sono storie terribili oltre a quella di Rita Atria, la giovane collaboratrice di giustizia che si legò molto al giudice Paolo Borsellino. Quest’altra storia è invece ambientata in un paesino del messinese, Villafranca Tirrena, un posto tranquillo in una provincia tranquilla pronta a celebrare le ultime feste dell’anno. È il 12 dicembre 1985 e sarà un caso, un terribile caso, a scatenare una serie di eventi che culmineranno nell’assassinio di una giovane ragazza di 17 anni, Graziella Campagna

La ragazza abita a Saponara, ma lavora a pochi chilometri di distanza in una lavanderia di Villafranca Tirrena, un lavoro che le frutta 150 mila lire al mese per contribuire al bilancio familiare. Racconta il fratello Pietro che, come le aveva insegnato la madre, in quel periodo Graziella «stava facendo una maglia di lana, una maglia che non ha potuto completare, rimasta a metà». Una vera e propria esecuzione mafiosa la porterà via per sempre. 

Quella nera, nerissima sera di dicembre

Dove lavora Graziella, a Villafranca Tirrena, si chiude alle 20. Come sempre, Graziella esce dalla lavanderia assieme alla proprietaria e a una sua collega per recarsi alla fermata dell’autobus che la riporta a casa, a Saponara. Quel 12 dicembre, la giovane incontra un amico, un “pretendente” si potrebbe definire, Franco Giacobbe, che la incrocia fuori dalla lavanderia, scambiano qualche parola ma nulla di più. È questo l’ultimo incontro amichevole che avrà Graziella Campagna prima di essere rapita e portata via, nel buio di una sera invernale. 

A Saponara arriva l’autobus senza di lei: un autobus che, ovviamente, non l’ha mai accolta. I genitori si preoccupano e, parlando con il titolare della lavanderia, vengono rassicurati perché «sono cose che capitano, nulla di cui preoccuparsi». Anzi, dopo alcune ore, proprio lui avanzerà la prima ipotesi strampalata sulla scomparsa di Graziella: si tratterebbe, a suo avviso, di “fuitina”, la fuga di qualche giorno col fidanzato che, in Sicilia, vuol dire doversi sposare in fretta e con un’organizzazione meno costosa per celebrazioni e ricevimento. 

Ma Graziella non torna a casa. Al commissariato, sia il titolare che il maresciallo giungono alla facile conclusione che si tratta proprio di una “fuitina”. C’è anche una testimone che afferma di aver visto la ragazza salire spontaneamente a bordo di un’autovettura di grossa cilindrata – non come quella di Franco Giacobbe – e di essersi allontanata con un uomo in direzione Saponara. Il padre non ci sta, non è possibile, non è da Graziella e, ritrovatosi senza appigli e senza aiuto da parte di concittadini e autorità, chiama il figlio Pietro, carabiniere in servizio a Reggio Calabria.

Sarà lui, di fatto, ad aggiungere gli elementi più interessanti e decisivi per risolvere questa misteriosa fuga con un fidanzato sconosciuto. Pietro Campagna “interroga” il ragazzo che l’ha incontrata quella sera, Franco, ma è evidente che non c’entri nulla con la scomparsa – ormai da oltre un giorno – di Graziella Campagna

Quella di Graziella Campagna non è una “fuitina”

All’improvviso la notizia: è stata trovata una giovane donna con indosso un giubbotto rosso e dei pantaloni neri, proprio come quelli di Graziella, su in collina a poca distanza da un antico fortino, Forte Campone, oggi meta di escursionisti, nascosta dagli alberi in cima all’omonimo Monte Campone. Purtroppo è proprio lei, verrà riconosciuta: quello lassù è il corpo senza vita di Graziella Campagna, colpita più volte da un’arma da fuoco, un fucile da caccia per la precisione. Non è stata una fuitina. 

graziella campagna campone
Forte Campone (Villafranca Tirrena, Messina)

Graziella è stata fatta scendere dall’auto, ha guardato un’ultima volta il suo aggressore, ha alzato le mani e le braccia come per ripararsi ed è stata uccisa, come in una vera e propria esecuzione, senza apparente motivo. Il primo colpo l’ha colpita alla mano e al braccio, poi alla testa, allo stomaco, a una spalla e al petto, tutti a distanza ravvicinata, l’ultimo sparato con Graziella già a terra. Perché mai lei, una ragazza qualunque, doveva essere vittima di un’assassinio tanto brutale quanto insolito nel messinese, tanto più in una piccola località dove non succede mai niente, dove ci sono sempre le solite facce?

Graziella Campagna non è un “uomo delle istituzioni”, non è un boss mafioso, non è un giornalista e nemmeno un giudice, e non ha nessun legame con questo tipo di personalità: sono questi i morti ammazzati che in quegli anni si trovano sui giornali tra le notizie di cronaca nera e di mafia. Graziella è vittima di uno sfortunato caso e del favoreggiamento di una serie di personaggi che intorno a lei e nelle istituzioni locali hanno prima permesso, poi provato a nascondere la sua tragica morte.

Non proprio “le solite facce”

A Villafranca Tirrena sono arrivati da pochi giorni due uomini sotto falso nome, un certo ingegnere Cannata e il geometra Fricano. Altri non sono che il latitante di Cosa Nostra Gerlando Alberti Jr. (detto “u paccaré”) e Giovanni Sutera, il suo scagnozzo che lo accompagna in questa clandestinità dorata. 

Tutti portano i propri abiti, le giacche, i piumoni in lavanderia da Graziella. La ragazza, non è chiaro se all’interno di una tasca o raccogliendola da terra, trova un’agenda. Prima di lavare un indumento, si sa, è bene controllare che non ci sia nulla di delicato che si possa rovinare. 

Graziella, quel 9 dicembre – dunque tre giorni prima della sua morte – trova l’agendina in un indumento lasciato dall’ingegnere Cannata, lì dentro dei nomi e delle corrispondenze inequivocabili: è la prova che questo fantomatico ingegnere è in realtà un’altra persona, una persona che non ha mai sentito nominare e che è direttamente collegata alla mafia di Porta Nuova, a Palermo, appunto il latitante Gerlando Alberti Jr. 

Sarà questo ritrovamento fortuito a condannarla a morte. L’agendina le verrà subito tolta di mano in lavanderia dalla collega, Agata, ma Graziella racconterà comunque l’accaduto alla madre che, ovviamente, non immaginava cosa sarebbe accaduto alla figlia pochi giorni dopo.

Le indagini e una “difficilissima” giustizia

I carabinieri e alcuni loschi figuri che gravitano intorno alle indagini sul territorio sono ancora convinti che il giovane pretendente, Franco, c’entri con la morte di Graziella Campagna, e lo trattengono, torturandolo, come affermerà lo stesso ragazzo che parlerà di bruciature di sigarette sul corpo, pratica comune per estorcere una confessione. 

La Polizia invece è di un altro avviso: crede che la 17enne sia stata sequestrata, portata con una scusa e con persone di cui si fidava – Graziella accettava passaggi solo dal fratello, dai genitori e dai titolari della lavanderia – fino al bosco tramite una strada che in un primo momento sembra andare verso Saponara e poi, nei pressi del Forte Campone, interrogata e successivamente uccisa. Il fratello di Graziella Campagna, rimasto inascoltato a lungo, aveva fatto notare evidenti prove all’interno del fortino: tracce del passaggio di un’autovettura, resti di un fuoco, cicche di sigarette e bottiglie di plastica. Di fatto, un vero e proprio luogo di attesa per un rapimento.

Nonostante il rifacimento del procedimento contro i due imputati – i due mafiosi rintracciati nel messinese – il pubblico ministero e il giudice istruttore sono d’accordo per il proscioglimento dei latitanti. Secondo loro non c’entrano nulla con la morte di Graziella, soprattutto perché entrambi i funzionari, come altri esponenti delle istituzioni locali, sarebbero stati corrotti. 

I riflettori torneranno su Graziella Campagna e su Messina solo dopo il 1998, all’indomani dell’omicidio eccellente di un medico universitario, il professore Matteo Bottari, al centro di un’ingarbugliata faccenda tra affari e criminalità organizzata. Si scoperchia un vaso di pandora: la provincia non è certamente “a-mafiosa”, non è scevra di eventi criminali e legami mafiosi importanti. Chi protegge latitanti accresce il proprio prestigio e il proprio potere presso Cosa Nostra.

Già nel 1996, alla trasmissione Chi l’ha visto? era stato riportato il caso agli occhi del grande pubblico. Escono fuori diversi mafiosi “pentiti” sul caos che ha avvolto, nel frattempo, la città dello Stretto: ben nove cominciano a parlare e a fare nomi. Esce fuori che la lavanderia è un crocevia di latitanti e mafiosi. In questo periodo, si riaprono le porte della giustizia anche per il faticoso percorso della famiglia Campagna. 

graziella campagna chi l'ha visto

Vengono indagati per favoreggiamento anche Franca Federico, titolare della lavanderia dove lavorava Graziella, suo marito, Francesco Romano, sua cognata, la collega di Graziella, Agata Cannistrà, e suo fratello Giuseppe Federico. Tutti coloro che potevano sapere cosa era accaduto il giorno del disvelamento inconsapevole dell’identità del latitante. 

Solo l’11 dicembre 2004, quasi vent’anni dopo, sono stati giudicati colpevoli e condannati all’ergastolo sia Gerlando Alberti Jr. sia Giovanni Sutera; Franca e Agata sono state condannate a due anni di penitenziario, gli altri sono stati prosciolti. La famiglia di Graziella Campagna, distrutta e senza giustizia per troppo tempo, ha lottato a lungo per una eccellente ragazza qualunque, un omicidio mafioso che per molti anni è stato coperto o mascherato da continui depistaggi, negligenze e mancanze da parte delle autorità e di chi, nel proprio ruolo, avrebbe dovuto cercare la verità per una ragazza che lavorava e la cui unica “colpa” è stata quella di mettere una giacca a lavare.


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Daniele Monteleone

Caporedattore, responsabile "Società". Scrivo tanto, urlo tantissimo. Passione irrinunciabile: la musica. Ho un amore smisurato per l'arte, tutta.