Maneskin e il rock italiano nel mondo. Ma che vuol dire «rock»?

Abbiamo “sfornato” una rock band, i Maneskin, che sta macinando record su record e sta inorgogliendo gli italiani, odiatori a parte. Sarà anche ora di essere sfacciatamente rock o restiamo quelli di “Volare”?


Il rock italiano non aveva mai avuto così tanta visibilità e così tanto seguito. Il 2021 ha significato tantissimo per il Bel Paese, non solo per le tante soddisfazioni sportive divenute, a un certo punto, fin troppo “ricercate”. Dopo gli Europei di calcio, infatti, sono cominciate a sbucare fuori competizioni di livello mondiale ma molto poco conosciute da tantissimi italiani, eppure motivo di orgoglio e di sbeffeggiamento dell’avversario – spesso, bisogna dirlo, un avversario inglese. Questo trend del “made in Italy” in ascesa ha trascinato con sé praticamente di tutto e, come dicevamo, la musica non ha fatto eccezione.

La musica italiana ha avuto nell’ultimo secolo – ma anche nello scorso – motivi di orgoglio per il “bel canto” portato elegantemente all’estero e con grandi successi di pubblico. Ma chi avrebbe mai detto che il rock, proprio lui, un genere tutt’altro che “nostro”, sarebbe stato esportato dall’Italia e apprezzato in tutto il mondo?

Stiamo parlando di Damiano, Victoria, Thomas e Ethan, aka Måneskin, una band dalla lunghissima gavetta, dal fascino indiscutibile già dai tempi della partecipazione al talent show X Factor e oggi affermata nelle classifiche di mezzo mondo.

Risultati che raccontano un trionfo

L’ultimo lavoro dei Måneskin in sala di registrazione, Teatro d’ira – Vol. I, è Disco di Platino e ha collezionato oltre mezzo miliardo di stream. Non serve elencare i grandi risultati raggiunti dalla band romana, ma tanto per dare un’idea: vittoria al Festival di Sanremo e vittoria all’Eurovision Song Contest; quinto posto raggiunto nella Uk Singles Chart con I wanna be your slave; prima band italiana nella top ten britannica nella storia; con Beggin hanno conquistato lo scettro di canzone italiana più ascoltata nel mondo, stando ai dati di Spotify, e miliardi di stream su e giù fra le applicazioni di ascolto. Una collaborazione con Iggy Pop, la prestigiosa apertura del concerto dei Rolling Stones a Las Vegas, “Best Rock” agli Mtv Ema davanti a band come Coldplay e Strokes.

Si tratta di una consacrazione a tutti gli effetti per i Måneskin, esportatori di rock all’estero come non lo era stato mai nessuno prima d’ora. Little Steven, uno dei musicisti della mitica E Street Band di Bruce Springsteen, ha dichiarato: «I Måneskin stanno riportando da soli il rock nel mainstream mondiale». Ha ragione. L’Italia non era mai stata così “rock”, così trasgressiva agli occhi del mondo. I quattro componenti della band e la loro squadra discografica devono aver fatto un grande lavoro sulle corde come sulla presentazione del progetto.

È un momento magico che non può che rendere orgogliose generazioni e generazioni di appassionati del genere, sia del rock contemporaneo che di quello più “attempato”. Poi ci sono i cosiddetti rosiconi, ma quelli ci sono sempre e fanno bene alle tasche delle piattaforme social e sono utili per incrementare click e popolarità dei post dei bersagli. Ci sono anche gli hater che non sopportano l’outfit, il trucco, le linguacce di questi ragazzi poco più che ventenni e sulla vetta del mondo della musica. E questi, invece, sono solo ridicoli.

Perché è importante questo successo?

La musica italiana aveva già conosciuto (e conosce) motivi di orgoglio fuori dalla patria tricolore. L’Italia fino a un anno fa era conosciuta per quegli autori che per noi fanno già parte della storia italiana come Domenico Modugno, Toto Cutugno, Andrea Bocelli. Questi importanti autori all’estero possono rappresentare un “presente senza fine”, un’immagine della musica italiana inevitabilmente stereotipata, come accade per l’immagine che ogni Paese comunica indirettamente al “grande pubblico”, ovvero nell’idea generale di ascoltatori numerosi ma poco attenti agli sviluppi discografici e stilistici degli altri paesi.

Ci sono anche cantautori contemporanei come Eros Ramazzotti e Laura Pausini che spopolano e raccolgono numeri importanti fuori dall’Italia, negli stadi come nelle piattaforme di streaming. Ma il rock, un genere da sempre visto come “di proprietà” degli americani – che lo hanno inventato – e in seconda battuta degli inglesi, capaci di sfornare decine di dischi-capolavoro ogni anno, con l’esplosione dei Måneskin, è una storia diversa.

Performer eccezionali, personaggi a tratti provocatori, politicamente schierati (come quasi tutto il rock da cinquant’anni a questa parte), i Måneskin sono forse la nuova immagine musicale italiana che l’Italia aspettava da tantissimo tempo. Come sempre, solo noi siamo capaci di creare gli ostacoli al “nuovo che avanza”, così come solo noi siamo in grado di abbattere pregiudizi e inutili polemiche sul reggipetto, sullo smalto o sulla matita agli occhi.

Se da un lato alcuni giornali e appassionati celebrano la band romana perché emerge «in mezzo a un mare di dischi finti fatti col computer e non con gli strumenti» – non c’è concetto peggiore che quello di demonizzare la tecnologia in fatto di musica, dato che questa vive del progresso informatico e tecnologico – dall’altro gli odiatori professionisti parlano di pagliacci, “musica per ragazzine” (una roba sessista tanto per cambiare), e di una band che «non è davvero rock».

Sì, perché secondo alcuni commentatori, anche autorevoli, rock non è solo un genere ma anche uno stile di vita. Infatti, una band “davvero rock” non dovrebbe suonare solo dei riff martellanti con un ritmo serrato e una voce graffiata, ma dovrebbe dimostrare sregolatezza, sconfinare nell’illegalità (abuso di alcol e droghe), risse da bar, distruzione di strumenti e palchi in giro per il mondo.

Ecco un altro pregiudizio da abbattere, quello del rock – e molto più spesso del metal – come un misto di rumore, capelli lunghi e pericolosi abusi. Sarà che bisognerà arrendersi prima o poi, anche nel nostro Paese spesso arroccato su ideologie superate, all’idea che la musica rock va suonata in ragione dell’esistenza proprio di questi blocchi monolitici di resistenza alle rotture. Insomma, non c’è rock senza “conservazione”, e non c’è rivoluzione senza rock. Ai Måneskin va il ringraziamento per una piccola rivoluzione.

Copertina dal videoclip di “Mamma mia”


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