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USA, ritorno al far west: respinti i migranti haitiani

Agenti a cavallo che frustano i migranti haitiani alla frontiera messicana. Per proteggere i confini, gli Stati Uniti esordiscono con scene da far west.


Le immagini pubblicate nei giorni scorsi, che ritraggono i migranti haitiani respinti al di là del Rio Grande da parte degli agenti texani a cavallo con tanto di frustino alle mani, hanno richiamato nell’immaginario collettivo scene da far west i cui protagonisti si presentano sia nell’aspetto che nell’atteggiamento come dei cowboy.

Queste immagini hanno turbato l’intera opinione pubblica, o quasi: infatti, molti politici liberali, tra i quali lo stesso fotografo di queste immagini, Paul Ratje,  sostengono che in realtà gli agenti della Border Patrol – la polizia di frontiera degli Stati Uniti incaricata di impedire l’immigrazione clandestina e terroristica – non avrebbero mai usato le loro fruste contro i migranti, ma li avrebbero solo intimoriti con le redini dei cavalli mentre questi cercavano di scappare, svolgendo quindi il loro compito.

La circolazione delle immagini e la rapida diffusione della notizia ha scatenato tanto scalpore e diffuso anche un certo malcontento nei riguardi del neo presidente Joe Biden, il quale ha sempre dichiarato di voler gestire diversamente il problema dell’immigrazione clandestina rispetto all’amministrazione del suo predecessore, Donald Trump.

Nel frattempo, il segretario della sicurezza interna americana, Alejandro Mayorkas, ha dichiarato che verrà aperta un’indagine sui presunti abusi da parte della polizia di frontiera verso i migranti haitiani.

La dichiarazione del segretario Mayorkas, però, non ha certo placato le critiche sopraggiunte dalla National Association for the Advancement of Colored People (NAACP) che, attraverso un post di denuncia su Twitter, ha paragonato le immagini dei migranti haitiani colpiti dagli agenti a cavallo a quelle degli schiavi neri frustati dai coloni americani. Un perfetto parallelismo storico che ha forse illuminato molti ignari rispetto a quanto sta accadendo al confine tra Messico e Stati Uniti.

Bisogna inoltre tener conto che l’ordine legislativo conosciuto come Titolo 42, in vigore da marzo 2020 sotto l’amministrazione Trump, il quale vieta i “viaggi non essenziali” da e verso gli USA per il contenimento della diffusione del virus COVID-19, continua a rimanere tutt’oggi operativo. È per tale ragione che la polizia di frontiera ha potuto realizzare vere e proprie espulsioni di massa e rimpatriare gli haitiani richiedenti asilo, a eccezion fatta dei minori non accompagnati.

La frontiera al confine tra Stati Uniti e Messico è una delle più attraversate al mondo. Dall’11 settembre in poi, con l’ideazione e applicazione delle politiche di esternalizzazione delle frontiere, gli Stati Uniti hanno cercato non solo di impedire i flussi migratori con lo stazionamento militare, ma hanno letteralmente costruito un muro integrale di oltre 30 chilometri. A intralciare la barriera c’è la presenza del Rio Grande, ponte di passaggio naturale per centinaia di migliaia di migranti che tentano di attraversare il confine ogni anno. 

Secondo le stime fornite da Medici senza Frontiere, i migranti nei pressi di Tapachula attualmente sarebbero circa 40mila, mentre a tentare di passare il cavalcavia del Rio sarebbero tra i 12mila e i 14mila, tutti provenienti da Haiti. La forte presenza haitiana al confine messicano, in realtà, non è solo legata al recente disastro naturale causato dal terremoto dello scorso agosto o all’assassinio del presidente Jovenal Moise avvenuto un mese prima, ma anche dalla crisi economica e sanitaria che il  Paese si trascina dal terremoto di magnitudo 7.0 che nel 2010 ha causato 230mila morti. 

La politica statunitense, neoliberale per eccellenza, di fronte all’ennesima crisi umanitaria esordisce quindi lasciando in condizioni estreme chi per diritto dovrebbe varcare il confine nord del Messico, un diritto che seppur riconosciuto a livello internazionale, poi allo stato pratico non viene applicato. Il direttore esecutivo di Medici Senza Frontiere degli Stati Uniti, Avril Benoît, mostra la sua forte preoccupazione al riguardo, in particolar modo rispetto a come gli Stati Uniti stiano accelerando i voli di espulsione verso Haiti, mentre la crescente insicurezza e i conflitti armati all’interno del loro Paese costringono migliaia di persone a fuggire dalle loro case della capitale Port-au-Prince.

Una sentenza confermata lo scorso 24 agosto dalla Corte Suprema degli USA ordina all’amministrazione Biden la reintegrazione della politica “Remain in Mexico”, con la quale si prevede che tutti i richiedenti asilo debbano attendendere al confine meridionale con il Messico l’esito della loro domanda. Il Messico, da secoli terra di migrazioni e già al collasso per il contenimento dei cittadini del Triangolo Nord (Guatemala, El Salvador, Honduras), si schiera contro la pressione migratoria proveniente da Haiti. Le espulsioni, secondo Angel Urraza, presidente della Camera di Commercio locale, avverrebbero in autobus con partenza da Ciudad Acuña fino alla capitale haitiana.

Le condizioni estenuanti dei migranti sotto il cavalcavia, l’irrigidimento delle politiche di securitizzazione, il coinvolgimento dei Paesi limitrofi per il contrasto dei flussi e gli abusi da parte della polizia di frontiera sono tutte azioni che a noi europei non sembrano affatto nuove. Ogni giorno assistiamo alle stesse identiche scene che, peraltro, avvengono sotto i nostri occhi, così come vengono esercitate lì dove la migrazione di massa di persone appartenenti a etnie poco tutelate e spesso prive di passaporti forti, viene percepita come un pericolo per la sicurezza pubblica. Fintanto che il mondo sarà governato da cowboy bianchi, ricchi e occidentali, di certo saremo sempre costretti a guardare scene da far west


Immagine in copertina di °Florian