‘’La banalità del male’’ che colpisce l’Afghanistan

Il ritorno dei talebani in Afghanistan evidenzia preoccupazioni e paura sulla pericolosità della ‘’banalità del male’’ diretta contro il popolo afghano. 


Nel 1963 Hannah Arendt, pensatrice politica, filosofa e storica tedesca naturalizzata statunitense, coniò l’espressione ‹‹banalità del male›› durante la stesura dei resoconti del processo contro Adolf Eichmann. 

Eichmann, il cosiddetto ‹‹burocrate della Shoah››, eseguì gli ordini che contribuirono alla commissione dei crimini contro l’umanità e al genocidio nei confronti degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale e fu processato e condannato dal tribunale di Israele. 

Hannah Arendt, a seguito di un’attenta osservazione della natura comportamentale dell’imputato, si rese conto di un particolare interessante, divenuto poi negli anni un punto essenziale di analisi sulla natura dell’animo umano. 

La filosofa tedesca comprese l’esistenza di un legame connaturale tra l’individuo e la sua capacità di produrre azioni malevole nei confronti di altri uomini, senza la predominanza sostanziale di particolari qualità, caratteristiche psicologiche o cognitive, che lasciano trapelare vere e proprie inclinazioni criminali. 

Tutti gli uomini, di conseguenza, sono in grado di arrecare del male agli altri, banalizzando la commissione di atti crudeli in semplici e ordinarie azioni, talvolta svuotate delle loro materiali conseguenze.

La concettualizzazione del male analizzata da Hannah Arendt ha messo in luce la sua banalità e sconcertante ordinarietà. Eichmann, difatti, era la perfetta rappresentazione di queste caratteristiche, poiché non possedeva particolari doti di intelligenza né tanto meno capacità straordinarie, che lo eleggevano a ricoprire un ruolo di leader

Nell’esame della natura comportamentale dell’imputato, ciò che la filosofa tedesca produsse fu un semplice ma graffiante ragionamento analogico, secondo il quale, se perfino un uomo così ordinario e senza particolari meriti aveva reso possibile la commissione di indicibili crimini, il male, di conseguenza, poteva essere causato da chiunque, anche dall’essere più insignificante.

La banalità del male, dunque, risiede nell’inconsistenza mista a mediocrità, dove ciò che emerge è la prevedibilità della crudeltà umana.

Questa è la stessa banalità che sta colpendo Kabul per mano dei talebani.

Dopo vent’anni dall’arrivo delle truppe statunitensi con l’obiettivo di combattere il terrorismo islamico, infatti, l’Afghanistan è tornato nelle mani del gruppo fondamentalista islamico, il quale vuole ripristinare la sharia, ovvero quel complesso di norme atte a regolare i rapporti, i comportamenti e la stessa vita quotidiana all’interno del nuovo Emirato Islamico. 

È bastato il ritiro dei militari statunitensi dal territorio afghano per compromettere lo status quo nel Paese, per cui risulta facile interrogarsi su quanto questa decisione possa aver avuto un peso determinante nella prevedibilità di ciò che sta, effettivamente, accadendo oggi in Afghanistan.  

La banalità del male della nostra epoca contemporanea è quella che mette a rischio l’avvenire del popolo afghano e, nello specifico, quello di migliaia di donne e bambini, perché se si vuole ottenere il potere e il controllo, di conseguenza, si colpisce direttamente il fulcro dell’emancipazione e del progresso. La sottomissione e la violenza, la privazione dei diritti e la paura sono gli strumenti, già noti, mediante i quali i talebani stanno compromettendo il futuro stesso dell’Afghanistan. 

La libertà di scelta sulla propria vita e sul proprio corpo, così come il diritto all’istruzione, saranno solo alcuni dei diritti negati. Negli ultimi giorni, i talebani hanno annunciato restrizioni all’esercizio di determinati diritti, come la partecipazione delle donne all’interno di programmi radiofonici e televisivi

L’intento di questo divieto è quello di voler evitare di dar voce e seguito a pensieri e idee dissonanti rispetto a quelli supportati dal nuovo Emirato e, insieme al divieto di ascoltare musica, si cerca di soffocare la circolazione e diffusione del pensiero libero.

Tuttavia, si prevede, per il popolo afghano, un’ulteriore stretta e una drastica perdita in termini di riconoscimento dei diritti e delle libertà fondamentali per un ritorno al passato, all’oscurantismo e al conservatorismo islamico più radicale.

Nonostante cambino i contesti, gli scenari e gli attori sociali e statali rispetto all’epoca di Hannah Arendt, la crudeltà del male rimane la stessa, travolgendo e abbandonando una Kabul sempre più debole e spaventata alla mercé dei suoi vecchi nemici. 

Così, la banalità del male è quella che non cessa di esistere, che è tanto inconsistente da non cambiare rispetto al passato, diventando ripetitiva e scontata, come lo sono le intenzioni dei talebani che, a vent’anni di distanza, vogliono assoggettare nuovamente l’Afghanistan, rendendo vani tutti gli sforzi finora compiuti per proteggere quelle persone e garantire loro un futuro degno di essere vissuto.

Oggi come ieri, quindi, il popolo afghano è bersaglio di giochi di potere e crudeltà, così come l’ideologia talebana rimane la stessa del passato e con essa il modo di ‘’governare’’ ed esercitare il potere attraverso la paura, le minacce e la violenza.

Mentre la maggior parte dei Paesi occidentali e orientali rimane a guardare, spettatori inermi di un disastro umanitario già in corso, le immagini dei bambini afghani lasciati passare dai militari statunitensi oltre il filo spinato dell’aeroporto di Kabul, rimarranno impresse nella nostra memoria collettiva. 

Su molti graverà il peso di questi tragici eventi, mentre il futuro del popolo afghano passa attraverso quel filo spinato e prosegue verso un destino che rimane ancora troppo incerto.