Caster Semenya e la lotta delle atlete intersessuali

Secondo la World Athletics, le atlete con alti livelli di testosterone devono sottoporsi a “test del sesso”, trattamenti specifici per poter gareggiare in alcune competizioni femminili. Caster Semenya, Aminatou Seyni e Annet Negesa sfidano le norme, difendendo la causa delle atlete intersessuali.


«Non è davvero una donna», «è biologicamente maschio». Sono alcune delle frasi che atlete intersessuali come Caster Semenya e Aminatou Seyni si sono sentite ripetere negli anni, anche dalla federazione internazionale di atletica, la World Athletics (precedentemente nota come IAAF, International Association of Athletics Federations). Dal 2019, infatti, le atlete con alti livelli di testosterone possono partecipare alle competizioni fra i 400 e 1500 metri solo a patto che accettino di sottoporsi a delle verifiche – anche dette “test del sesso” – e terapie che ne riducano il livello. 

Sempre più atlete, come Semenya, hanno deciso di opporsi a questa norma, combattendo nei tribunali e cercando di gareggiare in batterie dove queste non valgono, come i 200 metri. La mezzofondista, che dà il suo meglio sulla 800 metri, è ora in attesa di un giudizio della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, presso cui ha fatto appello; in precedenza, due suoi tentativi di rovesciare la controversa regola sono falliti. 

Con grande probabilità, l’atleta sudafricana non parteciperà alle prossime Olimpiadi di Tokyo: la scadenza per la qualificazione è il 29 giugno, e la velocista sudafricana rischierebbe di sottoporre il suo corpo a eccessive pressioni, data la sua età. Per la categoria si è invece qualificata la nigeriana Seyni: una conferma arrivata alla fine di aprile, dopo un momento di incertezza, in cui sembrava che non le sarebbe stato permesso di partecipare. 

Cosa significa intersessuale? 

Si definiscono intersessuali le persone nate con caratteristiche sessuali che non rientrano nelle tipiche nozioni binarie del corpo maschile o femminile. Intersessualità, quindi, è un termine ombrello che racchiude numerose variazioni fisiche che coinvolgono le parti considerate “sessuate” del corpo. 

Ciò detto, bisogna fare una precisazione: la biologia del corpo umano è più complessa del binario XY e XX, che viene insegnato agli studenti delle medie. Come scrivono in Science, Sport, Sex, and the Case of Caster Semenya (Issues in Science and Technology 36, n.1, 2019), Roger Pielke Jr., professore all’Università del Colorado, e Madeline Pape, atleta olimpica e ricercatrice post-dottorato alla Northwestern University, «anche se la maggior parte degli uomini hanno 46 cromosomi XY e la maggior parte delle donne 46 cromosomi XX, la scienza biologica oggi riconosce che ci sono anche uomini con 46 XX e donne con 46 XY». 

Caster Semenya

«Ogni sforzo di determinare chi sia maschio e chi sia femmina è complesso, perché il sesso biologico non è un attributo binario, ma appare in uno spettro» affermano i due autori, citando la storica Alice Dreger: «Agli esseri umani piace avere le loro categorie sessuali nette, ma alla natura non interessa. La natura non traccia davvero una linea fra i sessi. Se vuoi una linea, la devi disegnare sulla natura». 

Molte persone intersessuali non ne vengono a conoscenza per anni, e per quanto possano presentarsi problematiche sanitarie – come nella fertilità – queste non sono inevitabili e l’intersessualità non è una condizione clinica. Secondo Intersex Human Rights Australia (IHRA), il numero di persone intersessuali è almeno di una ogni 2.000 nascite: ma questa è una stima al ribasso, la statistica più credibile è vicina all’1,7 per cento. 

Occorre inoltre specificare che l’intersessualità non deve essere confusa con l’identità di genere: le persone intersessuali possono essere tanto trans quanto cis, a seconda che si riconoscano o meno nel genere attribuito loro alla nascita. Lo stesso discorso vale per l’orientamento sessuale. Per questo gli acronimi “LGBTI” e “LGBT” non sono intercambiabili. 

“Test del sesso” 

«Le atlete intersessuali sfortunatamente si confrontano con significative difficoltà ad essere accettate come donne, anche se siamo donne e abbiamo vissuto come ragazze/donne la nostra intera vita» commenta a Eco Internazionale Tony Briffa, direttrice del Comitato Intersessuale di ILGA World. «Le nostre variazioni biologiche non ci rendono meno femminili delle altre donne.» 

Sono anni, infatti, che le atlete vengono sottoposte ai “test del sesso”, che fanno la loro prima apparizione negli anni ’60, quando le atlete furono costrette a sottoporsi a verifiche visive. A queste sono seguiti i test dei cromosomi e quelli più recenti degli ormoni. All’origine delle norme del 2019 vi è la percezione secondo cui le donne con determinate “variazioni dello sviluppo sessuale” – con cromosomi XY – e una produzione congenita di testosterone superiore alla media abbiano un vantaggio importante sulle altre atlete. 

Se nell’ambito scientifico esiste un dibattito acceso su quanto il testosterone influisca positivamente sulla prestazione di un’atleta, molti esperti sportivi commentano che in ogni caso esso è solo uno dei molti fattori in gioco – al pari, per esempio, della densità capillare o della capacità a tollerare alti livelli di acido lattico. 

Nel marzo del 2019, il Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU ha criticato le norme. Due mesi dopo, l’Associazione Medica Mondiale ha consigliato ai medici in tutto il mondo di astenersi dall’implementare le suddette. Dello stesso parere la Women’s Sports Foundation e l’International Working Group on Women and Sport, secondo cui queste regole scoraggiano l’eccellenza tra le atlete, basandosi su caratteristiche connaturate e incoraggiando lo scrutinio del corpo femminile. 

«I policymaker affermano che le donne con testosterone naturale sopra un certo limite, scientificamente arbitrario, hanno un vantaggio sulle altre competitrici» spiegano a Foreign Policy, Morgan Carpenter, bioetico e co-direttore esecutivo di IHRA, e Katrina Karkazis, ricercatrice per la Global Health Justice Partnership all’Università di Yale. «Ma ciò ignora l’ampia e complessa letteratura sul rapporto tra testosterone e atletismo che sfida queste affermazioni semplici e mina la loro logica dichiarata. Non c’è un singolo attributo che rende un atleta grande; è una combinazione di genetica, allenamento, risorse, psiche, e molto altro.»

Su questo punto si è espressa la stessa Semenya, in un’intervista a The Guardian. «Le braccia di Michael Phelps sono larghe abbastanza per fargli fare quello che vuole. I polmoni dei nuotatori sono diversi dalle altre persone. Giocatori di basket come Lebron James sono alti. Se a tutti i giocatori altri fosse vietato giocare, il basket sarebbe lo stesso? Usain ha delle incredibili fibre muscolari. Fermeranno anche lui? I miei organi potranno essere diversi e io posso avere una voce profonda, ma sono una donna.» 

Violazioni dei diritti umani: il caso di Annet Negesa 

Il trattamento delle atlete va a inserirsi in un contesto di discriminazione e abusi subiti dalle persone intersessuali, spesso sottoposte a interventi chirurgici non consensuali – anche nei primi anni di vita – che non hanno alcun valore medico, ma il solo scopo di “normalizzare” la persona all’interno dei binari prefissati del sesso. 

In un rapporto di 120 pagine dello scorso dicembre di Human Rights Watch, emerge un quadro preoccupante di abusi dei diritti delle atlete, degli effetti umilianti dei “test del sesso” a cui si aggiunge anche l’aspetto razziale, visto che le colpite da queste norme provengono dal Sud Globale, e in particolare dai Paesi africani. 

Come accennato, l’ONU stessa nel suo Consiglio dei Diritti Umani ha condannato la pratica, e in una risoluzione si è rivolta agli Stati perché non mettano in atto pratiche che costringono o fanno pressioni «su donne e bambine affinché si sottopongano a procedure mediche non necessarie, umilianti e dannose» per poter partecipare a competizioni sportive femminili. 

Appare dolorosamente esemplificativa l’esperienza di Annet Negesa. L’atleta ugandese, nata con organi sessuali esterni femminili e interni maschili, nella sua testimonianza racconta che le venne annunciato improvvisamente che non avrebbe potuto partecipare alle Olimpiadi di Londra, e che vi era un problema con il suo esame del sangue. Le venne detto di dichiarare di essere infortunata e di restare a casa senza muoversi. 

Qualche settimana dopo fu condotta a Nizza, dove venne sottoposta ad altri esami, e successivamente che doveva sottoporsi a una procedura per poter tornare a correre. «Mi dissero che avrebbero fatto un’iniezione, ma quando mi svegliai scoprii che avevo dei tagli. Dissi, ‘whoa!’, hanno fatto qualcosa su cui io non avevo concordato. E davvero, ero così spaventata.» Le avevano rimosso gli organi sessuali interni, una procedura irreversibile che causa sterilità. 

Il recupero fu doloroso e durò mesi, senza che l’atleta riuscisse mai a tornare allo stato fisico di prima. Tuttavia, Negesa non si arrende: «Devo combattere per il mio sogno. Devo combattere. Questo è il mio futuro ora. Mi sto concentrando sul mio sogno, che mi è stato portato via dalle regole del IAAF».

Di certo, nemmeno Semenya si arrenderà presto: «Ho raggiunto i miei obiettivi – afferma – Certo, sono una campionessa olimpionica. Sono una campionessa mondiale, ho vinto i maggiori titoli. Quindi, al momento, stiamo cercando di raddrizzare le cose per le future generazioni, perché stanno uccidendo le ottocentiste».


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Maddalena Tomassini

Nerd della comunicazione da sempre, scrivo come giornalista da tre anni. Attenta alle tematiche sociali e dei diritti umani, spendo in penne più di quanto dovrei.