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Covid in Africa e vaccino: chi ha parlato di disastro?

Se l’Occidente procede a passo spedito nella somministrazione dei vaccini, la lotta al Covid in Africa riflette una situazione complessa, fra difficoltà strutturali, accordi bilaterali e Covax.


L’Africa non è nuova alle questioni pandemiche. La sua storia clinica contempla un ricco quadro epidemiologico che tocca diversi secoli e ha permesso a molti paesi di non farsi trovare impreparati e di mettere in campo un modello di risposta già collaudato. Gioco forza sono stati alcuni fattori esterni: dall’adozione di misure restrittive quando il virus era di casa solo in Occidente, ad una condizione demografica che vede l’età media intorno ai 19 anni e che ha favorito un limitato numero di casi, molti dei quali positivi asintomatici o con sintomi meno evidenti. 

Ogni stato, con i propri mezzi, è riuscito a contrastare l’ondata pandemica; la seconda più nutrita della prima, registrando, a metà Gennaio, un numero giornaliero medio di contagi di oltre 25.000 casi

La situazione africana è assai differenziata ed è difficile, se non impossibile, parlare di Africa come un unico comparto nazionale, omettendo differenze interne che definiscono l’identità di ogni Stato: il Marocco non è il Sudafrica, l’Eritrea non è la Mauritania.

É del 20 Gennaio l’annuncio della scomparsa, per cause riconducibili al Covid, di Sibusiso Moyo, Ministro degli affari esteri e del commercio internazionale dello Zimbabwe. Il paese è diventato teatro di infezioni con un picco natalizio che ha fatto registrare più della metà dei 28.675 casi totali e buona parte degli 825 decessi totali. 

Anche il mondo politico del Malawi è a lutto per la scomparsa dei due leader politici Lingson Berekanyama e Sidik Mia, rispettivamente Ministro del governo locale e Ministro dei trasporti. Il Ministro del lavoro Ken Kandodo ha contratto il virus ma dichiara di essere in fase di guarigione mentre un altro Ministro, Rashid Gaffar, è in isolamento domiciliare. Nello stato che ha registrato 9027 contagi e 203 morti, il Presidente Lazarus Chakwera ha proclamato il lutto nazionale per commemorare i membri anziani del Malawi Congress Party (MCP). 

Chakwera è stato al centro di polemiche per aver preso sotto gamba la pandemia. Quando la seconda ondata ha iniziato a registrare numeri nutriti, lui ha deciso di snellire l’agenda istituzionale e ha attuato una campagna di reclutamento di personale sanitario facendo richiesta al ministro delle finanze di 23 milioni di dollari per far fronte all’emergenza.

Situazione ben diversa in Nigeria dove, a fronte dei 114.691 contagi e 1.478 decessi, il Presidente, Muhammadu Buhari ha approvato la creazione di impianti di produzione di ossigeno in 38 siti. Contestualmente alla notizia, resa nota in una riunione dell’organo consultivo del Consiglio economico nazionale (NEC), si prevede un rilancio economico di 16,94 milioni di dollari. La Nigeria, come altri paesi, si trova a pagare le conseguenze economiche della pandemia. Qui, dove il calo del PIL ammonta allo 6,1%, sono state intraprese riforme nel settore dell’energia e delle telecomunicazioni e incrementati gli investimenti in soluzioni digitali. Una politica analoga interessa il Sud Africa dove la contrazione è stata del 17,1%, 

Nell’Africa subsahariana il calo del -3,3% del PIL ha cancellato almeno cinque anni di progressi.  Per far fronte alla situazione sono state adottate 166 misure di protezione sociale in 46 paesi. Situazione analoga in quei paesi con un’economia dipendente dal turismo come Capo Verde, Mauritius e Seychelles. Differente e più confortante il quadro di paesi come Costa d’Avorio, Etiopia e Kenya, dove un’economia diversificata ha permesso una contrazione meno brusca.

 I tempi del vaccino

In uno scenario in cui si intrecciano scelte politiche e conseguenze economiche, il continente nero dovrà attendere prima di assistere alla prima inoculazione del vaccino anti-Covid facendosi spettatore di disuguaglianze distributive denunciate tra gli altri da The Vaccine Alliance (GAVI).

Gli ostacoli che sbarrano la strada alla campagna vaccinale sono diversi: dalle scarse infrastrutture per l’approvvigionamento e la distribuzione delle dosi (situazione messa in evidenza anche dall’Associazione Zimbabwe dei Medici per i Diritti Umani)  all’assenza di una strategia sulle priorità nella distribuzione del vaccino fino alla mancanza di mezzi refrigeranti utili alla conservazione del farmaco. 

covid in africa

Le quantità destinate all’Africa sono utili a coprire il 30% della popolazione e questo determina prospettive poco rassicuranti per ridurre l’impatto pandemico. Si apre qui la strada di aiuto rivolta a Russia e Cina col rischio di incrementare, soprattutto con quest’ultima, la quota di debito già maturata e consolidando un rapporto di dipendenza. Un accordo bilaterale di questo tipo determinerebbe una situazione di svantaggio per il sistema COVAX.

Si tratta di uno strumento nato per garantire la copertura vaccinale della popolazione africana nel suo complesso. A sostegno di questa azione, l’Unione Africana ha assicurato altre 270 milioni di dosi a cui si aggiunge la donazione di African Export – Import Bank, che per sostenere la strategia vaccinale ha deciso di fornire fino a 2 miliardi di dollari alle case produttrici.

Quella di COVAX è un’iniziativa nata in seno all’ACT (Access to COVID-19 Tools Accelerator), un accordo di collaborazione tra l’OMS e i suoi partner, per favorire parità di accesso a strumenti di diagnosi e cura e fornire almeno 2 miliardi di dosi vaccinali ai paesi più poveri del mondo.

COVAX vuole scongiurare la nascita di accordi bilaterali che possono incrementare il costo del farmaco, determinato anche dalle ingenti richieste dei paesi più ricchi che fanno passare in secondo piano quelle dei paesi in difficoltà. Un caso eclatante è quello del Sudafrica, che si trova a fare i conti con una nuova variante e che dovrà pagare i vaccini sviluppati da AstraZeneca ad un prezzo maggiorato di 2,5 volte rispetto a quello proposto ai paesi ricchi: 4,32 euro anziché 1,78. 

L’Organizzazione Mondiale della sanità (OMS) ha messo in guardia nei confronti di questa pratica nociva e il Direttore Generale Tedros Adhanom ha parlato di “catastrofico fallimento morale”: in un mondo dove 55 milioni di dosi sono state distribuite in 51 paesi, nessuno di questi è in Africa e solo 25 dosi sono state destinate ad un paese povero. Una proporzione allarmante che rende la tutela alla salute strettamente legata al PIL, in un contesto in cui la popolazione ricca ammonta solo al 14% del totale mondiale.

Questa politica si rivela controproducente e va a minare la possibilità di una risposta coordinata e continuativa nella lotta contro il virus. Adhanom ha esortato gli stati a lavorare insieme per il bene comune. Eliminare le disuguaglianze, attraverso una maggiore trasparenza negli accordi, conviene a tutti.

Nel frattempo, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha annunciato lo scorso 19 Gennaio l’avvio di un meccanismo che garantirà la condivisione dei 2,3 miliardi di dosi che l’UE ha già prenotato per i suoi stati. Questo avverrà secondo le indicazioni stabilite dal GAVI, che definisce il numero di dosi che ogni paese dovrà donare. Al momento non si conoscono i dettagli sui tempi di realizzazione della manovra, dal momento che i due vaccini in circolazione, Pfizer-BioNTech e Moderna, inizieranno a diminuire.


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Maria Martina Bonaffini

Viaggiatrice solitaria alla volta di nuove terre, mai immobile e sempre (o quasi) con l'ironia in tasca.