Audre Lorde

Audre Lorde: l’opera di una poetessa guerriera

Nera, lesbica, guerriera: il messaggio di Audre Lorde, una delle grandi voci del black feminism del secolo scorso, è più attuale che mai.


Nera, lesbica, guerriera, madre, poetessa, insegnante, attivista. Nata a Harlem nel 1934 da genitori immigrati dalle “Indie Occidentali”, Audre Lorde è stata una delle grandi voci del black feminism del secolo scorso. Ben prima che si cominciasse a parlare di “intersezionalità”, Lorde era consapevole che nessuna forma di oppressione esiste in un vuoto, ma che ciascuna coesiste nello stesso sistema: armata di penna, ha dedicato la sua vita a combattere contro razzismo, sessismo, classismo e omofobia.

Sin da bambina, la poesia è per lei un vero e proprio strumento di comunicazione. «Parlavo attraverso la poesia – raccontava in Black Women Writers – Leggevo poemi, li memorizzavo. Quando persone mi chiedevano, cosa ne pensi, Audre. Cosa ti è successo ieri? Io recitavo una poesia e da qualche parte in quella poesia ci sarebbe stato un verso o un sentimento che avrei condiviso».

Fra i dodici e i tredici anni, non trovando poesie che esprimessero il suo sentire, Lorde inizia a scriverne. Divenuta adulta, lavora come bibliotecaria in alcune scuole pubbliche di New York. Si sposa nel 1962 con Edward Rollins – secondo alcune fonti anche lui omosessuale – da cui ha due figli, Jonathan ed Elizabeth. I due divorziano nel 1970. Ogni aspetto della sua vita diventa uno spunto di riflessione: dall’essere una donna lesbica che cresce un giovane uomo fino alla sua lotta contro il cancro al seno.  

Nei suoi occhi ogni forma di oppressione ha la medesima radice, «un’incapacità di riconoscere la nozione di differenza come una forza umana dinamica, una che arricchisce piuttosto che minacciare il sé definito, quando ci sono degli obiettivi condivisi». Le differenze che intercorrono fra le persone vanno celebrate, riconosciute. Come giustamente sottolineato da Nancy B. Kerano nell’introduzione alla raccolta di suoi scritti Sister Outsider, «Audre Lorde non ci chiede più di quanto faccia lei stessa: che prestiamo attenzione a quelle voci di cui ci è stato insegnato di diffidare, che articoliamo cosa ci insegnano, che agiamo su quanto conosciamo».

Ed è forse proprio in Sister Outsider che Lorde esprime in diversi saggi un punto più che mai attuale: le donne devono essere in grado di riconoscere le differenze che corrono fra di loro, accoglierle e combattere per smantellare l’oppressione sistematica che colpisce altre sorelle – di cui loro stesse possono essere fautrici più o meno consapevoli. Lorde si rivolge non solo alle femministe bianche, ma anche alle donne nere e di colore eterosessuali.

«La lesbica nera è una minaccia emozionale solo per quelle donne nere i cui sentimenti di vicinanza e amore per altre donne nere sono visti come in qualche modo problematici […]. Alle donne nere viene insegnato a guardarsi con sospetto, competitrici senza cuore del maschio scarseggiante, il più importante premio che può legittimare la nostra esistenza» scriveva Lorde in Scratching the Surface: Some Notes on Barriers to Women and Loving. Un sentimento, questo, basato sulla falsa nozione che “una certa quantità di libertà” debba essere divisa fra di loro. «Quindi, invece di combattere insieme per ottenere di più, litighiamo fra di noi per la fetta più grande della singola torta».

In tutta la sua carriera, Lorde si è più volta rivolta al femminismo radicale delle lesbiche bianche, sottolineando il paradosso della sua natura esclusionista. In una lettera aperta a Mary Daly, nel 1979, Lorde critica la sua prospettiva eurocentrica della storia femminile.

«Quando la teoria femminile radicale lesbica esclude [le donne di colore], incoraggia la sua stessa fine. Questa esclusione si erge come un vero blocco nella comunicazione fra di noi […]. Il prossimo passo dovrebbe essere la Guerra fra di noi, o la separazione? L’assimilazione all’interno di una storia femminile [“herstory” da “her” e “history” ndr] esclusivamente europeo occidentale non è accettabile». Oltretutto, precisa, non tiene conto delle forme e dei gradi dell’oppressione esercitata dal patriarcato: «Le donne bianche con il cappuccio in Ohio che distribuiscono scritti del KKK per strada potrebbero non gradire quello che tu hai da dire, ma a me sparerebbero a vista».

In un altro saggio, The Master’s Tools Will Never Dismantle the Master’s House, Lorde approfondisce il tema dell’interdipendenza fra le donne basata sulle differenze. «Promuovere la mera tolleranza delle differenze fra donne è il più grossolano riformismo. È una negazione totale della funzione creativa delle differenze nelle nostre vite. Le differenze non vanno appena tollerate, ma viste come un fondo di necessarie polarità fra le nostre creatività per accendere una dialettica».

Lorde continua: «Come donne, ci è stato insegnato a ignorare le nostre differenze, o a vederle come una causa di separazione e sospetto piuttosto che una forza di cambiamento. Senza comunità non c’è liberazione, solo il più vulnerabile e temporaneo armistizio fra un individuo e la sua oppressione».

«Il futuro della nostra terra potrebbe dipendere dalla capacità di tutte le donne di identificare e sviluppare nuove definizioni di potere e nuovi modelli di rapportarsi attraverso le differenze» scriveva Lorde. «Le vecchie definizioni non sono servite a noi, né alla terra che ci sostiene. I vecchi modelli, non importa quanto ingegnosamente risistemati per imitare il progresso, ci condannano ancora a ripetizioni alterate cosmeticamente degli stessi vecchi scambi, lo stesso vecchio senso di colpa, odio, recriminazione, lamento e sospetto».

L’appello di Audre Lorde per una sorellanza che abbracci le differenze che intercorrono fra donne, a 87 anni dopo la sua nascita – ricordata lo scorso 18 febbraio da Google – e 29 dalla sua morte, è più che mai attuale. Ancora oggi, attiviste di colore accusano il femminismo bianco di essere sordo alle voci delle donne nere.

Il mondo femminista è profondamente diviso sui temi di genere, con il crescere del movimento femminista trans-escludente (o “gender-critical”), che si scaglia contro le donne trans, accusandole di rappresentare una minaccia ai diritti conquistati dalle donne cis (termine da esse considerato un insulto), senza tenere conto delle specifiche forme di oppressione vissute quotidianamente. Il panorama e il linguaggio del dibattito sul mondo femminile si è di certo ampliato, ma troppo spesso sembra venire a mancare una sincera alleanza tra donne.

Il cammino verso una vera giustizia sociale è ancora lungo. «Non sono libera se una qualsiasi altra donna non lo è, anche se le sue catene sono molto diverse dalle mie. Non sono libera finché una persona di colore rimane incatenata. Né lo è nessuno di voi». 


Immagine in copertina di 350 Vermont

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