Epifania in Sicilia: la festa di “li tri re”

Che festa è il 6 gennaio? Parliamo delle tradizioni legate al folklore tipiche dell’Epifania, festa ricca di simboli e riti, e del sentimento religioso con cui viene celebrata da secoli in Sicilia.


A conclusione delle festività natalizie, il 6 gennaio si celebra tradizionalmente la festa dell’Epifania – dal greco antico epifàneia, che letteralmente significa “manifestazione”. In questo giorno, infatti, la visita dei tre Re Magi alla grotta di Betlemme viene festeggiata come prima occasione in cui Gesù bambino si manifesta agli occhi del mondo come il Salvatore e viene riconosciuto e adorato da questi re pagani.

La festa dell’Epifania in Sicilia è da oltre due secoli accompagnata da celebri e sacre rappresentazioni che si svolgono in numerosi piccoli centri dell’Isola. Tra quelle più famose, ricordiamo la celebrazione a Piana degli Albanesi e in tutti i comuni di origine albanese in cui si pratica il rito greco-bizantino (Contessa Entellina, Mezzojuso, Palazzo Adriano e Santa Cristina Gela) e la festa de “li tri re” a Canicattì e Castelvetrano. 

Quella di Piana degli Albanesi è una cerimonia unica nel suo genere, che connette la recente memoria della Natività con il ricordo del battesimo di Gesù nel fiume Giordano. Il sacerdote infatti immerge per tre volte la croce nelle acque della fontana dei “Tre Cannoli”; segue il volo di una colomba bianca, che ricorda la discesa dello Spirito Santo.

Seppure non si menzionino direttamente i Re Magi, per i quali la ricorrenza del 6 gennaio è divenuta celebre, resta il fatto che in questo giorno si celebri il ricordo della prima Teofania, cioè della prima occasione in cui Gesù venne riconosciuto come “figlio di Dio” (l’episodio del battesimo al Giordano è infatti il primo episodio di pubblico riconoscimento successivo ai brevi racconti dell’infanzia).

Dopo il rito religioso, dei giovani vestiti con gli abiti tradizionali arbëresh distribuiscono delle arance benedette ai partecipanti: gli abiti sono ricamati a mano in filo d’oro e arricchiti da pietre preziose. La festa è molto sentita da tutta la comunità perché racchiude il meglio della tradizione religiosa greco-ortodossa che si è radicata in Sicilia sin dalla fine del XV secolo.

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Festa dell’Epifania 1978 – Piana degli Albanesi – foto: Demetrio Salerno

Le feste de “Li tri re” di Canicattì e Castelvetrano sono invece vere e proprie feste popolari, durante le quali viene rappresentato l’arrivo dei tre Re Magi alla grotta di Betlemme. I ruoli, fin dalla fine dell’800 (periodo in cui la festa iniziò a essere celebrata in questo modo) vengono distribuiti fra gli abitanti del paese: c’è sempre un re Erode, una grotta con il presepe vivente, i tre studiosi stranieri riccamente vestiti in groppa a dei cavalli, l’angelo che li avverte in sogno di non tornare dal re e persino la stella cometa.

Giunti davanti la chiesa di Santo Spirito (dal bellissimo prospetto Settecentesco) ha luogo la recita degli episodi evangelici che riguardano l’arrivo dei Magi, ricchi di una simbologia religiosa che connette ebraismo, cristianesimo e antichi culti persiani. Li tri re vengono da sempre acclamati dal popolo in questo modo per il semplice fatto che non è possibile distinguere chi sia Melchiorre, Baldassarre o Gaspare, ma sono tutti identificati come gente di l’Oriente

Nel trapanese, in particolare, era antica usanza regalare – in questo giorno – degli abiti nuovi a un bambino povero della zona. La “Vestiziuni di lu Bamminu”, scelto per simboleggiare proprio la povertà con cui Gesù bambino è venuto al mondo, avveniva presentandolo a tutti durante la messa, dopo averlo spogliato in sacrestia dei suoi vestiti ormai logori. Il bimbo veniva vestito con una tunica e una coroncina (cioè da Bambinello) e da ultimo rivestito con gli abiti nuovi donati dalla comunità; infine, era riportato a casa con tanti altri regali offerti in dono. Al termine delle celebrazioni rituali, di solito avevano inizio i festeggiamenti del Carnevale, da cui deriva il detto: «Dopu li tri Re, olè, olè».

Nell’immaginario comune i Re Magi sono delle figure davvero affascinanti: si trattava infatti di re/studiosi (“Magi” è il plurale di “mago”, che non è da intendere nel senso di “stregone” ma come “studioso” o “filosofo” e deriva dal persiano magush da cui il greco màgos), sovrani illuminati che conoscevano e studiavano tutte le scienze – geografia, storia, testi sacri, antiche profezie, matematica. In particolare erano esperti astronomi e astrologi, sapevano leggere la volta celeste, e confrontavano i moti degli astri con le simbologie e le profezie di tutte le tradizioni religiose (infatti pur non essendo ebrei erano a conoscenza dei contenuti delle profezie sul Messia).

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L’Adorazione dei Magi di Simone De Wobreck, Pinacoteca di Castello Ursino, Catania

Si narra dunque che al sorgere della stella cometa (in molte tradizioni orientali la figura di un re potente era associata al sorgere di una stella particolarmente brillante) essi riconobbero che si trattava dell’imminente realizzazione di una profezia riferita a una terra lontana e decisero clamorosamente di mettersi in cammino per verificare di persona la correttezza delle loro previsioni. I nomi dei tre Re Magi che la tradizione ci ha lasciato sono: Melchiorre, Baldassarre e Gaspare e, dai pochi indizi forniti dai testi sacri e dagli storici dell’antichità (e.g. Erodoto), furono con molte probabilità dei sacerdoti Zoroastriani, un culto diffuso in Media (altro nome della Persia). 

Le fonti principali sulla venuta dei Magi sono contenute nel Vangelo di Matteo, che racconta di come questi re astronomi e astrologi giunti in Palestina dall’Oriente (dall’impero persiano) si recarono dal re Erode (re cliente dell’impero romano) per chiedere a lui maggiori dettagli sulla nascita di quello che le profezie definivano il “Re dei Giudei”. 

Come noto, i magi non ricevettero alcun aiuto da Erode che, al contrario, sentendosi minacciato dalla profezia, meditò l’emanazione del famoso ordine con cui fece uccidere tutti i primogeniti maschi al di sotto dei due anni che si trovassero a Betlemme in quel momento. La città di Betlemme era infatti specificatamente indicata dal profeta Michea (vissuto sette secoli prima) come la patria del vero re di Israele: «Il Signore dice: Betlemme-Efrata, tu sei una delle più piccole città della regione di Giuda. Ma da te uscirà colui che deve guidare il popolo di Israele a nome mio» (Michea 5.1). 

I tre Magi perciò trovarono da soli la via per raggiungere la piccola città, abitata soprattutto da pastori (una delle classi sociali più povere ed emarginate del tempo) e riconobbero nel piccolo neonato nella stalla colui che le profezie indicavano come Messia. La loro prostrazione in segno di adorazione e riconoscimento dell’autorità del bambino appare ancora oggi un gesto davvero sorprendente, di grande apertura mentale, dal momento che si trattava di tre uomini estranei all’identità religiosa ebraica tradizionale. Simbolicamente, quindi, la loro visita è davvero un momento di manifestazione “per tutti i popoli” e non un avvenimento che riguarda solo il popolo di Israele.

La tradizione, infine, ci ricorda i famosi doni che questi sovrani portarono con sé, che sono stati interpretati come simboli dell’intero significato della vicenda di Cristo durante la sua vita terrena: l’oro, simbolo di autorità regale; l’incenso, simbolo dell’investitura sacerdotale; e la mirra, un’erba aromatica utilizzata per la sepoltura dei cadaveri. 

La tradizione cristiana dell’Epifania come festa di poco successiva al solstizio d’inverno resta comunque portatrice di residui culturali precedenti, che nel tempo si sono sedimentati accanto a quelli religiosi, formando un mix decisamente eterogeneo che ci restituisce tutta la tridimensionalità del folklore con cui viviamo questa festività anche oggi.