Eco Culturale

Tornano i System Of A Down, riuniti per l’Armenia

 

I System Of A Down serrano le fila per sostenere il loro Paese, l’Armenia, dopo mesi di scontri con l’Azerbaijan. I SOAD tornano con due brani potenti e schierati, proprio come solo il metal sa fare.


«È la prima volta che pubblichiamo nuova musica in 15 anni. Il momento giusto per farlo è ora, perché abbiamo qualcosa di estremamente importante da dire», con queste parole il cantante dei System Of A Down annuncia il ritorno della storica band di “Toxicity” e “Chop Suey”, con due nuovi brani: “Genocidal Humanoidz” e “Protect the Land“. Due brani scritti appositamente per porre l’attenzione sulla guerra in Artsakh e Armenia, che dalla fine di settembre, per due mesi, ha tenuto il Paese nella morsa del terrore. Solo questa settimana, infatti, è arrivata la notizia che è stato firmato un accordo di pace, o meglio una tregua, tra Azerbaijan e Armenia, in cui si costringe quest’ultima a importanti concessioni territoriali.

Non un nuovo album dunque, dopo l’uscita di 15 anni fa dell’ultimo capolavoro della band, Hypnotize, che aveva riscosso un enorme successo scalando le classifiche fino al primo posto. Dopo di ciò la band non era riuscita a trovarsi in accordo sotto l’aspetto creativo e per questo motivo non ha prodotto più nulla sotto il nome di “System Of A Down”. I membri si sono impegnati in progetti separati, su tutti il chitarrista e compositore Daron Malakian, che ha fondato gli Scars On Broadway. Fino ad arrivare a questi ultimi mesi, dove l’aspetto umano, l’amore per il proprio Paese, ha superato di gran lunga ogni dissapore.


I bombardamenti sui civili perpetrati dalla Turchia e dall’Azerbaigian hanno sconvolto in particolare il batterista della band, John Dolmayan, che nei primi di ottobre ha inviato un messaggio al resto del gruppo: «non importa cosa pensiamo l’uno dell’altro, non importa quali problemi ci siano stati nel passato, dobbiamo metterli da parte perché quello che sta accadendo è più grande dei System Of A Down e più grande di tutti noi… dobbiamo fare qualcosa per sostenere il nostro popolo». 

Così la band si è riunita per mettersi a lavoro, pensando che avrebbe dovuto fare qualcosa per aiutare. «Tutti noi System ci rendiamo conto che questa è una battaglia esistenziale per la nostra gente, quindi è molto personale per noi», ha affermato il cantante Serj Tankian.

Il videoclip di “Protect the Land”, già online, è stato prodotto da Shavo Odadjian, bassista della band – che ha curato oltretutto la copertina e la grafica di tutto il progetto – e al suo interno troviamo immagini delle ultime proteste e lotte sul campo ad Artsakh, ovviamente in una chiave di lettura rivisitata. «Volevo mostrare l’unione della nostra gente in tutto il mondo per una causa comune, illustrando il potere in numeri, quindi abbiamo riunito persone di tutte le età e professioni che credono e lottano per questa stessa causa. Una cosa è avere un’idea, ma vederla prendere vita come è successo con questo video, è stato semplicemente incredibile» ha spiegato Odadjian.

«The enemy of man is his own decay / If they’re evil now then evil they will stay / If they will try to push you far away / Would you stay and take a stand? / Would you stay with gun in hand?» (Il nemico dell’uomo è la sua stessa decadenza, se ora sono malvagi allora rimarranno malvagi, se cercheranno di spingerti lontano, rimarresti e prenderesti una posizione? Staresti con la pistola in mano?)

Le due canzoni sono disponibili sul profilo bandcamp dei System Of A Down e i ricavati saranno devoluti all’associazione Armenia Fund. Si tratta di un fondo istituito già nel 1994 con l’obiettivo di ricostruire l’economia dell’Armenia e di ricostruire le principali infrastrutture danneggiate dalle guerre.

Un grande gesto e un grande esempio dato dal genere metal che troppo spesso viene associato alla violenza e ad altre accezioni negative; in molti casi, invece, con la potenza quasi rabbiosa di questo genere nascono veri e propri inni alla pace, condanne contro la guerra e l’orrore che essa genera. Possiamo portare, infatti, altri esempi di band rock e metal che hanno scritto canzoni di denuncia.

La canzone “Civil war”, dell’iconica band hard rock Guns N’ Roses, era stata inserita originariamente nell’album del 1990 Nobody’s Child per una raccolta di beneficenza per gli orfani della Romania. Il testo è una denuncia all’insensatezza della guerra, che «serve solo a nutrire i ricchi e a far morire di fame i poveri», e dell’espressione stessa di “guerra civile”, che viene ripresa a fine testo con la frase «ma poi cosa c’è di civile in una guerra?».

Gli Iron Maiden hanno scritto moltissime canzoni contro la guerra e la sua barbarie. Come la triste sorte dei soldati in “These colours don’t rundel 2006, dove il sacrificio e la desolazione del soldato è l’altra faccia del dolore che sempre ricopre di sangue il denaro di chi lucra sulla morte: «Sulle coste della tirannia si è infranta un’onda umana, pagherete per la mia libertà con le vostre solitarie tombe anonime». Ma anche in “Afraid To Shoot Strangers” del 1992, in cui un soldato cerca di giustificare le sue azioni («provando a giustificare a noi stessi il perché dobbiamo andare dovremmo vivere e lasciar vivere dimenticare e perdonare») e afferma la sua paura nell’uccidere altre vite umane, ma anche l’accettazione dell’ineluttabilità di questo gesto: «Ma come possiamo lasciare che continuino così? Il regno del terrore e della corruzione deve finire e noi sappiamo in fondo che non c’è altro modo nessuna speranza, nessun accordo, niente altro da dire».

Anche i Metallica, nel loro album Master of Puppets del 1986, hanno inserito una canzone che critica apertamente le contraddizioni dietro ogni guerra, “Disposable Heroes”. «I cadaveri riempiono i campi che vedo, [questa è] la fine di eroi affamati». Proprio dall’inizio della canzone un ragazzo – sicuramente un soldato – osserva lo scenario fatto di sangue e orrore: il ragazzo si rende conto di essere solo una pedina mossa da altri in un gioco macabro più grande di lui, gestito da burattinai che tirano le fila senza alcuno scrupolo, non vedendo più persone ma pezzi di carne sacrificabili: «Ventun’anni, figlio unico, ma ci ha servito bene addestrato ad uccidere, non a preoccuparsene, fai solo quello che ti diciamo […]. Torna al fronte, farai quel che ti dirò io, quando te lo dirò io ritorna al fronte, morirai quando te lo dirò io, tu devi morire».

Stesso mood per “War Pigs” dei Black Sabbath, che si impone contro il sistema politico dietro ogni guerra e l’idea che sottende il sacrificio umano, di poveracci mandati a morire. «Menti malvagie che pianificano distruzione, stregoni della costruzione della morte, nei campi bruciano i corpi mentre la macchina da guerra avanza, morte e odio per la razza umana, avvelenando le menti già plagiate […] I politici si nascondono hanno solamente iniziato la guerra perché dovrebbero andare là fuori a combattere? Lasciano questo ruolo al povero».

Ci sono davvero migliaia di brani nel mondo del metal che affrontano questo tema, che sembra forse banale. Non è mai abbastanza mettere nero su bianco l’orrore e le atrocità che portano le guerre. E noi, noi siamo sempre più addomesticati e assuefatti dalle immagini di bambini in lacrime in mezzo alle macerie, pensando che siano solo frammenti dentro la scatola del terrorismo psicologico e non la realtà. Ben vengano altri testi “banali” di artisti che si schierano apertamente e con potenza contro questa pioggia di denaro insanguinato. Abbiamo il potere di fare qualcosa? Forse no, e il silenzio è sempre una forma di assenso.


 
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Virginia Monteleone

Responsabile "Eco Culturale". Credo che l’arte sia una scelta di vita, e che la si sceglie in vari modi: la si fa, la si spiega, la si vende o la si compra. Io la svelo nella sua semplicità.