Vaccinazione, la scoperta (e il desiderio) più grande dell’umanità

 
 

Quarant’anni fa, nel 1980, la scienza otteneva uno dei successi più importanti del secolo. Il mondo della medicina, in particolare, metteva a segno un duro colpo contro il vaiolo, dichiarandolo “eradicato” dopo decenni di lotta e di vaccinazioni di massa. L’8 maggio di quell’anno l’OMS dichiarava: «il mondo e i suoi popoli hanno ottenuto la libertà dal vaiolo, una delle malattie più devastanti manifestatesi con epidemie in molti paesi sin dai tempi più remoti, lasciando morte, cecità e deturpazione lungo la sua scia». Oggi, come in quegli anni, gli scienziati, i leader mondiali e i popoli tutti sono chiamati alla missione umana più importante di tutte, da sempre: salvare vite. Speriamo solo di non dover combattere per secoli contro il coronavirus.

Sono tanti i temi che inevitabilmente si vanno a toccare parlando dell’emergenza attuale: la crisi dei sistemi sanitari arrivati in diversi paesi del mondo quasi al collasso, le fasce di popolazione più colpite per motivi anagrafici, i poveri e gli invisibili lasciati al margine dalle misure di prevenzione, l’importanza della salute e della ricerca nelle agende politiche di tutto il mondo, la creazione e la distribuzione del vaccino al numero più ampio di persone possibile senza diseguaglianze, le assurde distorsioni che portano alle teorie no-vax (e guarda caso sempre nei paesi più sviluppati).

Gli studi su un vaccino contro il coronavirus adesso, ad alcuni mesi di distanza dallo scoppio della pandemia, tengono col fiato sospeso miliardi di persone. Sta diventando pressante nell’ultimo periodo costellato di “Fasi 2” annunciate o avviate in tutto il mondo, la prospettiva di convivere con il virus poiché non ci sono alternative: prima di vivere con la sicurezza del vaccino passerà molto tempo e nel frattempo l’umanità non può restare immobile.

Oggi il nuovo coronavirus ci ha messo davanti all’evidenza che un vaccino per tutti non solo è necessario, ma è anche l’unica soluzione per eliminare una malattia che continuerà a uccidere tantissime persone più o meno “esposte” che verranno contagiate, e che colpirà in maniera ancora più tragica nei paesi dove l’assistenza sanitaria è insufficiente. Come per la lotta globale al vaiolo, per cui la vaccinazione andata avanti dalla fine degli anni Sessanta fu estesa a livello globale fino al raggiungimento dell’eradicazione della malattia, la pandemia da coronavirus richiederà sforzi straordinari e un impegno scientifico finalizzato alla tutela planetaria.

La storia recente dell’umanità è segnata da “battaglie sanitarie” culminate con la scoperta di un vaccino e portate avanti con le vaccinazioni di massa, unico vero colpo di grazia utile per debellare un nemico comune e, ahinoi, invisibile. Ma come è iniziata la lunga storia del vaccino, quando era ancora un aggettivo e non un sostantivo?

Il termine “vaccino” è collegato alla parola vacca ed è utilizzato per indicare anche l’aggettivo “bovino” in espressioni come latte vaccino o carne vaccina. Originariamente si indicava come vaccino o vaiolo vaccino il “vaiolo bovino”, una malattia che venne contrastata per la prima volta alla fine del XVIII secolo. È da allora che il termine ha acquisito anche il significato medico.

Il vaccino venne impiegato per praticare l’immunizzazione attiva contro il vaiolo umano. Come fu possibile? Nel 1796 Edward Jenner osservò che le mungitrici che contraevano il vaiolo bovino (una forma lieve del vaiolo umano), e che guarivano, non contraevano mai il vaiolo umano. Jenner provò a iniettare del materiale preso dalla pustola di vaiolo bovino in un bambino che, una volta vaccinato, non risultò mai contagiato e ammalato.

Questa operazione fu anticipata nel 1717 dalla “variolizzazione” di Lady Mary Wortley Montagu, scrittrice inglese e donna all’avanguardia che intuì l’utilità del virus per prevenire l’insorgere dell’infezione. La sua pratica era molto simile al principio della vaccinazione sebbene molto più pericolosa: prevedeva infatti l’inoculazione di materiale prelevato dalle pustole di un paziente in guarigione dal vaiolo, materiale che serviva a immunizzare un altro soggetto dal vaiolo. Il metodo funzionò realmente ma era molto rischioso iniettare un virus senza la certezza che non fosse “attenuato”, ovvero indebolito o inoffensivo. Fu questo uno dei primi significativi esempi di applicazione dell’antico principio similia similibus curantur (i simili si curano con i simili), secondo cui una malattia si sconfigge con l’aiuto di alcuni dei suoi stessi elementi. In un momento storico come quello di Lady Montagu in cui la dottrina prevalente era invece contraria contrariis curantur, è curioso notare come la pioniera della vaccinazione applicò un principio affermatosi quasi un secolo dopo e proprio grazie a un personaggio per certi versi antitetico come Samuel Hahnemann, fondatore dell’omeopatia.

Epidemia di vaiolo a Leopoldville, Congo (1962)

Ma dal vaccino alla pratica sistematica della vaccinazione di massa passeranno molti anni, soprattutto dopo l’affinamento degli studi e delle tecniche di applicazione e, ovviamente, a seguire dello sviluppo scientifico stesso. In ogni caso, la scoperta della vaccinazione è tranquillamente paragonabile alle più grandi conquiste dell’umanità come l’energia elettrica nelle case o l’accesso all’acqua potabile. Ed è il suo diretto impatto sull’aspettativa di vita delle popolazioni umane che ne determina il così alto valore scientifico ed etico.

L’importanza delle vaccinazioni è così grande poiché la sua applicazione su larga scala ha registrato ogni volta dei benefici immensi nei risultati epidemiologici e clinici. La scoperta che ha fatto compiere un balzo considerevole all’umanità consiste nel principio di azione dei vaccini. Ciò che fu scoperto e studiato fu la cosiddetta “immunizzazione attiva”. Di che si tratta? Per prevenire determinate infezioni, si rende necessaria l’esposizione di un soggetto ad una piccolissima quantità degli stessi agenti infettivi ma inattivati (virus o batteri, uccisi, modificati o parti di essi); questi risultano “fingere” la naturale presenza dell’infezione ma non provocano la malattia. Qui viene giocato il tiro mancino all’intruso che tenta di ammalare il vaccinato: le componenti del vaccino attivano tutti i meccanismi di riconoscimento e difesa da parte del sistema immunitario che riesce a sconfiggere l’agente patogeno quando si ritrova esposto al contagio.

Tali complessi meccanismi non erano noti ai tempi del primo vaccino antivaiolo. Le scoperte nel campo della batteriologia a partire da Louis Pasteur, inventore della moderna microbiologia, e della virologia, tra la fine del diciannovesimo e l’inizio del ventesimo secolo, portarono ad una sempre maggiore conoscenza e consapevolezza dell’uso degli agenti immunizzanti. Altri step che hanno contribuito a far crescere la vaccinologia – una scienza a tutti gli effetti perché oggetto di dimostrazioni empiriche – sono lo sviluppo dei sistemi di coltura cellulare per i virus e la ricerca su vaccini virali inattivati e viventi attenuati. Un percorso storico saldamente poggiato sulle evidenze scientifiche che estende le frontiere della scienza immunologica e che punta a diversi e nuovi settori. Gli ultimi anni, ad esempio, hanno visto importanti studi su vaccini diretti contro patologie autoimmuni e su altri vaccini utili nella cura di patologie cronico-degenerative, tutti studi che solo in futuro potranno essere verificati.

Le vaccinazioni non costituiscono solo un aiuto fondamentale in situazioni cliniche o epidemiologiche, ma si collegano direttamente alle conseguenze economiche che portano con sé epidemie e pandemie. La vaccinazione può inoltre – senza giri di parole – promuovere la crescita economica dei paesi proprio per l’attributo intrinsecamente vitale di cui è portatrice. Per questi, e per tanti altri motivi, l’ulteriore valore economico delle vaccinazioni (e della Ricerca scientifica in generale) è un motivo più che sufficiente a favorirne la massima priorità e soprattutto ad aumentarne la consapevolezza dell’utilità, non solo in situazioni emergenziali.


 

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