Il Ritorno Di Misha

 
 

A un anno dall’inizio della sua presidenza dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky ha scelto di nominare Saakashvili capo della commissione nazionale per le riforme. Ma chi è Saakashvili? E quali sono i motivi della scelta di Zelensky?

Mikheil Saakashvili, detto “Misha”, è un uomo alto e corpulento, con gli occhi vispi e una parlantina niente male. Classe 1967, Misha ama i bei vestiti, le donne e le riforme economiche. Presidente della Repubblica georgiana dal 2004 al 2013, Misha è stato governatore della provincia ucraina di Odessa; è stato cittadino sovietico, georgiano, ucraino; è stato apolide; è stato deportato in Polonia; è stato in guerra contro la Russia; è stato condannato a 6 anni di detenzione per abuso di potere dal tribunale georgiano; è stato interpretato da Andy Garcia in un film… e sicuramente stiamo dimenticando qualcosa. Ha chiamato Putin “lillipuziano”; ha duramente represso le manifestazioni antigovernative a Tbilisi nel 2007; ha tenuto un comizio su un tetto dopo essere sfuggito alla detenzione; ha sfondato un cordone doganale che ne impediva il rientro in Ucraina… sempre con l’aiuto dei suoi numerosi e abili supporters.

Durante la sua presidenza, la Georgia ha visto crescere la propria economia del 70%, lo Stato ha fatto piazza pulita della criminalità organizzata retaggio dell’epoca sovietica, i cittadini georgiani hanno conosciuto un notevole snellimento di procedure burocratiche, una notevole facilitazione delle procedure di avvio per nuovi business e una modernizzazione generale del Paese che ha portato la Georgia al vertice di indici internazionali per sviluppo economico, libertà civili e sociali, e democratizzazione. Con Saakashvili la Georgia ha fatto tutto ciò che ogni Paese vuole fare dopo la caduta del comunismo: liberalizzare l’economia e la società e diventare “occidentale”. E poi, alle volte, ritornare sui propri passi. Ma questa è un’altra storia.

Una figura complessa e controversa, amata e odiata; fatto sta che dal punto di vista dell’opinione pubblica georgiana, Saakashvili non è semplicemente un uomo, ma un simbolo. Incarna nella sua figura un periodo di rinascita economica e di rivalsa nazionale nei confronti del difficile vicino russo e il suo peso carismatico e simbolico echeggia ancora, anche oltre i confini georgiani, soprattutto in Paesi che, come l’Ucraina, sua patria d’adozione, con la Georgia hanno vissuto un’esperienza parallela, dal crollo del comunismo, agli sforzi di modernizzazione, alla guerra con la Russia.

Politicamente, Saakashvili è stato dichiarato morto più volte, da più un esperto e in diversi momenti della sua vita pubblica, ma nonostante i numerosi epitaffi ha continuato ad avere successo politico anche al di fuori del proprio Paese natale.

La sua stella non si è eclissata neppure dopo la parabola discendente che ha avuto il suo punto più basso nel 2018, con la condanna da parte della Georgia e la cacciata dall’Ucraina di Poroshenko. Adesso, mentre l’establishment attualmente al potere in Georgia fa capo al suo arci-nemico Bidzina Ivanishvili, che lo vorrebbe vedere dietro le sbarre a Gldani, Misha è tornato in Ucraina, dice che la decisione del tribunale georgiano è mero ostracismo politico, continua a fare politica e se ne infischia. Insomma, il politico georgiano è lontano dall’aver esaurito le proprie risorse.

Ma andiamo a Zelensky. Il giovane presidente ucraino compirà fra poco il primo anno di mandato. I cittadini ucraini, come hanno già più volte reso piuttosto chiaro in passato, vogliono fondamentalmente tre cose: riforme economiche, la fine della guerra nel Donbas e che venga posto un freno alla corruzione. Zelensky ha condotto una campagna elettorale fresca, giovane e prudente: ha saputo calibrare in maniera molto accorta posizioni anti-russe e filo-europeiste con la necessità di non esacerbare ulteriormente le relazioni con Mosca e all’elettorato ha saputo fare le promesse che esso desiderava gli venissero fatte. Ma adesso il giovane presidente ed ex comico è stato vagliato nella sostanza: “cosa ha fatto in questo primo anno di presidenza, Volodymyr?”, è stato chiesto.

Il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky

Ecco cosa ha fatto. Ha mosso un primo passo nelle negoziazioni per il Donbas, una cosa non facile, anzi quasi impossibile, che è stata giudicata negativamente da alcuni, ma che è in realtà un passo enorme nella direzione di ciò che il popolo ucraino vuole, cioè la pace. Sul fronte della lotta alla corruzione Zelensky è stato ampiamente criticato: ha fatto dei cambi ai vertici di diversi enti nazionali, ci sono stati degli arresti, ma ciò non è stato sicuramente sufficiente a estirpare la malapianta della corruzione. E l’economia?

Con una guerra in corso che ha fatto più di tredicimila morti, con la crisi economica dalla quale l’intero mondo non si è ancora ripreso e con in più una bella pandemia di mezzo, il giovane Zelensky cosa può mai fare, se non una mossa simbolica? E qui entra in gioco Misha, “il riformatore”. Misha, “l’americano”. Misha, “il simbolo”.

È così che qualche settimana fa il Presidente Zelensky ha ufficiosamente offerto il vice-premierato a Saakashvili e si è scatenato l’inferno. Il governo georgiano ha reagito furiosamente, dicendo che era inaccettabile che un condannato assumesse una carica politica di tale rilievo nell’amica Ucraina, che avrebbe ritirato il proprio ambasciatore e che i rapporti bilaterali ne avrebbero risentito gravemente.

È allora il parlamento ucraino a salvare momentaneamente Zelensky dall’incidente diplomatico: il vice-premierato è una cosa che va messa ai voti, e i voti – forse – non ci sono, gli si dice. Quindi, abort mission. Di nuovo gli indovini di politica estera dichiarano Misha morto e stramorto, e quella di Zelensky una sparata eccentrica, una ragazzata, uno scherzo degno della sua vecchia carriera di comico.

E invece dopo un paio di giorni, il 7 maggio, Volodymyr Zelensky decreta: Misha sarà a capo della commissione esecutiva del Consiglio nazionale per le riforme. Nessuna votazione: un incarico tecnico, probabilmente di potenza alternata, di peso modulabile, non troppo rischioso, per Zelensky. Forse un po’ più rischioso per Saakashvili – che potrà eseguire il mandato efficacemente, e confermarsi un “magico” riformatore, o potrà fallire, ed essere dichiarato morto di nuovo. Nel farlo avrà comunque soltanto parzialmente in mano il destino proprio e del proprio incarico, perché per fare le riforme ci vogliono fondi e appoggio politico e Misha dovrà dimostrarsi all’altezza di condurre un gioco di squadra, una posizione nuova per lui. Immediata la risposta georgiana, che all’indomani della nomina ritira il proprio ambasciatore in Ucraina. Ma l’Ucraina ha deciso, “Saakashvili è cittadino ucraino” e abbiamo bisogno di avvalerci della sua esperienza, dice la portavoce del Ministero degli esteri Zelenko, con tante scuse a Tbilisi. Solo il tempo dirà se ne sarà valsa la pena.

Intanto, Zelensky potrà dare in pasto all’opinione pubblica qualcosa che la accontenti almeno momentaneamente, almeno su uno dei tre punti che più a gran voce chiede. Per quanto la figura di Saakashvili sia controversa, la possibilità di contare su un tale magnete dell’attenzione pubblica, e su un eventuale grosso capro espiatorio in caso di fallimento, sono per Zelensky motivazioni più che valide per fare questo passo. Saakashvili torna dunque in primo piano e Zelensky si riconferma un politico accorto e furbo nonostante la poca esperienza.

Invece, al massacrato popolo ucraino va l’augurio che il governo sia in grado di rispettare gli impegni elettorali e che la sua splendida patria possa ottenere al più presto la pace e la prosperità che ormai da anni le vengono soltanto promesse.

Di Claudia Palazzo


 
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