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Le “donne di fora” siciliane, chi erano in realtà le streghe perseguitate per secoli dagli inquisitori

Le donne di fora godono di documentazioni storiche e studi che ne rivelano l’origine e le verità nascoste o sottaciute. Dai tribunali inquisitori ai racconti popolari, ecco la verità su queste “streghe”.


«Un po’ streghe e un po’ fate»: così vengono descritte le donne di fora (o donas de fuera) figure appartenenti ad un “altrove” misterioso, alle volte benevolo, altre malevolo. L’unica certezza che abbiamo è la presenza di queste donne dotate di poteri magici in un solo luogo, la Sicilia. Le testimonianze su queste entità, radicate nelle credenze popolari, infatti, sono state documentate attraverso i secoli nella tradizione folklorica siciliana oltre che nei resoconti dei tribunali inquisitoriali spagnoli e vescovili. 

L’espressione “donne di fora” trae il suo significato principale dall’abilità di lasciare il corpo e volare in aria. Queste figure femminili hanno assunto una duplice valenza, venendo considerate dagli inquisitori come streghe e, allo stesso tempo, popolarmente come degli spiriti benevoli, assimilabili alle fate della tradizione britannica: i siciliani infatti identificavano streghe e fate in un’unica figura. 

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La loro è una storia antica e capace di durare diversi secoli: prima ancora che comparissero nei documenti inquisitoriali, i riferimenti alle donne di fora si trovano nei manuali dei predicatori del primo Quattrocento. Forse, la loro origine può essere anche di matrice pagana, passando per i seguaci di Diana, una divinità romana. È sorprendente come le fonti del Quattrocento e quelle ottocentesche arrivino a convergere disegnando un’unica lunghissima storia di magia e mistero.

La storia delle donne di fora è stata ricostruita grazie soprattutto al lavoro dell’antropologo Giuseppe Pitrè alla fine dell’Ottocento. Pitrè descrisse queste donne mitiche come “un po’ streghe e un po’ fate” e condusse le sue ricerche attraverso le testimonianze popolari in 172 comuni siciliani. Le sue fonti capaci di raccontare le donne di fora nel folklore siciliano erano costituite da racconti di contadini, casalinghe, lavoratori manuali e lavandaie. Stando ai resoconti di Pitrè, le donne di fora descritte dalla popolazione siciliana erano entità soprannaturali considerate perlopiù positive, da consultare per la protezione della casa.

Come mai la Sicilia ha raccolto così tanta documentazione storica sulle donne di fora? Nel Regno di Sicilia, inoltre, coesistevano diverse istituzioni capaci di identificare e giudicare moltissime donne per fatti inerenti la stregoneria. Le “donne de fora” raccontate dalle relazioni inquisitorie sarebbero quelle che dichiaravano di uscire, durante la notte, in uno stato spirituale incorporeo, per partecipare a raduni esoterici organizzati da spiriti e streghe.

Una descrizione simile appare per la prima volta nel Trecento. Si trova un primo accenno all’esistenza di alcune donne-fate nella Practica inquisitionis hæreticæ pravitatis di Bernard Gui – quello citato da Umberto Eco ne Il nome della rosa – descritte come esseri a metà tra il naturale e il soprannaturale.

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Oberon, Titania and Puck with Fairies Dancing (1786) – William Blake

Non solo fonti di archivio: una piazza nel cuore storico di Palermo, precisamente nel quartiere Ballarò, porta con sé l’aneddoto di alcune donne magiche, appunto piazza delle Sette Fate. La tradizione popolare vuole che, in questo luogo, sette affascinanti fate scegliessero fortunosamente un individuo da portare con loro in luoghi straordinari. L’incanto, rigorosamente notturno, svaniva con la luce del giorno e le fanciulle sparivano. Fu proprio Pitrè a suggerire all’ufficio toponomastico il nuovo nome “piazza delle Sette Fate”. Come emergeva dalle sue ricerche, era questo il punto di ritrovo di quelle fate che il popolo chiamava donne di fora.

Anche aneddoti del genere, comuni tra la documentazione inquisitoria e le credenze popolari, raccontano una storia perlopiù al femminile e, indubbiamente, di oppressione delle donne. C’è stato un momento in cui, politicamente, l’Inquisizione ha via via demonizzato una serie di pratiche pagane. Negli studi di storici come Bonomo, Henningsen e Ginzburg si indaga l’evoluzione di questa narrazione che ha portato certe istituzioni a condannare alla prigionia, all’esilio o a morte diverse donne siciliane. Nei processi delle donne di fora, d’altronde, si fa spesso riferimento a banchetti, danze e incontri gioiosi. Che personaggi erano queste donne? 

L’analisi della categorizzazione degli “esseri malvagi” fatta dai demonologi tra la fine del Medioevo e la prima età Moderna è servita a rintracciare nelle relaciones de causas la realtà di queste donne inquisite: non erano altro che guaritrici. Contemporanei dell’epoca parlavano delle donne di fora come di donne in carne e ossa che curavano le malattie delle persone, e sono molti i racconti e processi che mettono sul banco degli imputati delle donne note alla popolazione come praticanti di “arti curative”. Senza dubbio un ruolo troppo importante e “pericoloso” per l’autorità della Chiesa.

Di tutta la complessa questione sociale e politica, comunque, non sempre gli inquisitori erano pienamente consapevoli. L’importante era dimostrare di avere un punto di vista chiaro e unico, capace di identificare un colpevole e dimostrare un crimine inequivocabile. Le inquisizioni, da quella spagnola a quella romana, dovevano portare avanti la demonizzazione del fenomeno delle donne di fora. 

Eppure, l’azione repressiva e violenta non ha cancellato un mito, oltre che un rito, che è vissuto per secoli, evolvendosi e mutando. La storia delle donne di fora siciliane, anche se ancora in parte ignota, ne è uscita rafforzata, continuando a lasciare tracce dal Medioevo fino all’età contemporanea.

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