Sovranismi “mascherati”. Solidarietà nell’Ue ai tempi del coronavirus

Pochi giorni fa, quando si prospettava già per l’Italia un allargamento del contagio da coronavirus e una fase “successiva” dell’emergenza nazionale, si contava quel che si aveva per fronteggiare l’epidemia. In particolare, fra i dispositivi utili in gran numero, le mascherine – per ovvi motivi non propriamente “pluriuso” – potevano raggiungere un numero preoccupante che avrebbe richiesto l’aiuto immediato di altri paesi europei certamente lontani dalle condizioni italiane.

Il Meccanismo Ue di protezione civile entra in azione proprio in questi casi. Ma se alcuni stati fermano il proprio export di materiali utili all’emergenza il meccanismo perde significato. Poi se la Cina riesce a “salvare la faccia” all’Europa, l’altro meccanismo, quello della strumentalizzazione, risulta funzionare meglio di qualunque altro.

Francia e Germania – oltre a Repubblica Ceca e Lituania – hanno scelto di bloccare l’esportazione di mascherine e altri materiali, addirittura prima dell’Italia che aveva già fatto richiesta ai paesi Ue di mandare un sostegno concreto con l’invio di dispositivi sanitari utili. Al Consiglio straordinario dei ministri della salute europei, Parigi e Berlino sono state criticate per la rapidità della propria chiusura.

Lo stop di queste esportazioni è stato successivamente deciso anche dall’Italia e così in altri paesi, viste le tempistiche di produzione e l’altissima richiesta, non sempre conciliabili. In sostanza l’appello del nostro Roberto Speranza – datato 27 febbraio – è rimasto inascoltato, sommerso da “sovranismi con la mascherina”: in un momento in cui il virus si sta diffondendo in tutto il Continente nessuna capitale Ue si è concretamente fatta avanti.

Lo stesso commissario europeo per la gestione delle crisi, Janez Lenarcic, sottolinea come «se alcuni stati si chiudono il meccanismo non funziona». A Bruxelles, intervenendo in plenaria all’Europarlamento, il Commissario ha sottolineato che «per i paesi dell’Ue, questo è il momento della solidarietà». Ormai faccia a faccia – sempre a distanza di sicurezza! – con la crisi dell’epidemia di Covid-19, che minaccia di espandersi senza controllo in tutta Europa, dobbiamo credere che la solidarietà sia la strada da percorrere per uscire tutti vincitori nella lotta al contagio.

Parlare di solidarietà non significa parlare eccessivamente in astratto. La solidarietà a livello istituzionale europeo ha un importante impatto sulla questione degli appalti per gli acquisti comuni di materiale medico e sanitario. Acquisti che non possono e non devono mai diventare una “corsa al supermercato”, come ne abbiamo viste nel nostro e negli altri paesi. «Senza solidarietà non andremo lontano» ribadisce Lenarcic.

La Commissione non possiede i propri stock di equipaggiamenti protettivi, mascherine e gel. Essendo state – ed essendo – molto diverse le situazioni emergenziali europee, la distribuzione avverrebbe in maniera appropriata alle necessità e alla portata dei fenomeni nazionali. L’Italia sarebbe la prima a ricevere una consistente scorta. Ma non essendoci un deposito comune per le emergenze, i paesi, banalmente, dipendono dal concetto e dall’applicazione concreta della solidarietà.

Giunti alla conclusione del Quadro finanziario attuale (2014-2020), le riserve nel bilancio della Commissione sono esigue e anche per questo motivo, risulta utile raggiungere presto nuovi accordi per il prossimo quadro (2021-2027) e attivare nuovi investimenti. Lo stesso commissario al Mercato interno, Thierry Breton, ha fatto presente come le due grandi capitali europee si siano barricate troppo presto, sottolineando che l’impegno italiano è da considerarsi «assolutamente ammirevole, pensando a coloro che lavorano oggi in Italia e che rischiano di mancare di materiale e in particolare di materiale di protezione».

Breton afferma che «le barriere che si sono alzate non sono compatibili non solo con il funzionamento del mercato, ma anche con la situazione e la necessità di solidarietà». Il blocco di alcuni prodotti per uso nazionale resta comunque un limite possibile alla libera circolazione delle merci in casi di emergenza, ed è consentito dai trattati europei.

La Commissione europea ha chiarito da tempo come gli oltre 6 miliardi di spese italiane per la gestione dell’emergenza coronavirus verranno “sterilizzati” per non avere ripercussioni su deficit e debito. La solidarietà riesce comunque ad arrivare per altre strade: era già nell’aria l’apertura europea verso il massimo della flessibilità possibile sui conti e un alleggerimento delle misure europee sugli aiuti di Stato.

Nell’ultima conferenza stampa di questo 11 marzo, Giuseppe Conte ha annunciato il nuovo piano che fa lievitare il piano italiano per contrastare gli effetti disastrosi dell’epidemia. Il Consiglio dei Ministri ha portato infatti a 25 miliardi di euro lo stanziamento emergenziale (20 miliardi sono netti nell’indebitamento) – una cifra pari a poco più dell’1% del Pil italiano – molti di più dei 7,5 miliardi che erano stati annunciati la scorsa settimana.

È lunga la lista della spesa. Si sta preventivando l’arrivo di 5 mila postazioni di terapia intensiva con cui il nostro Paese tornerà a respirare. È stato avviato anche l’acquisto di mascherine chirurgiche (oltre a guanti, occhiali e tute) per un totale di 22 milioni di prodotti che dovrebbero essere disponibili a partire dal 12 marzo.

È previsto inoltre l’arrivo di quasi 2 mila ventilatori polmonari ad alta intensità per la terapia intensiva; oltre 3 mila ventilatori polmonari per terapia subintensiva a turbina; 5 mila monitor e oltre 350 mila accessori per ventilatori polmonari, pompe infusionali e peristaltiche. La Commissione presserà ulteriormente gli Stati membri affinché aiutino l’Italia – in condizioni nettamente più difficili di ogni altro stato europeo, basti guardare le classifiche mondiali su infetti e decessi – con un sostegno concreto alla macchina sanitaria.

E i Cinesi che fanno? Dopo l’isolamento pressoché totale dell’Hubei – la regione focolaio del coronavirus e abitata da oltre 60 milioni di persone – e lo stop alla vita quotidiana a Wuhuan, sembra vedersi la luce in fondo al tunnel. Una notizia arrivata nelle prime pagine italiane di questi giorni è stata la «solidarietà cinese» per aiutare l’Italia a combattere il coronavirus. Ieri il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha infatti annunciato l’arrivo di mille respiratori da Pechino. Il costo di questa operazione, oltre che effettivo, dato che non si tratta di un regalo, è sicuramente politico.

Alla chiusura europea, l’alternativa cinese arriva idealmente a rattoppare il vuoto di solidarietà. Mentre l’Europa blocca (giustamente) i viaggi da e per l’Italia, arriva la comunicazione dello stesso Di Maio dell’arrivo in Italia di «1000 ventilatori polmonari, 100.000 mascherine di massima tecnologia, 20.000 tute protettive, 50.000 tamponi per effettuare nuovi test e 2 milioni di mascherine mediche ordinarie» e soprattutto, tutto questo avviene «grazie alla collaborazione fra Italia e Cina».

La comunicazione del Movimento 5 stelle, poco dopo cancellata, non spiegava che si trattava di una comune operazione di acquisto e che ad arrivare sarebbero stati solo i 1000 ventilatori. Il colosso cinese, con un artificio tutto linguistico, è passato da causa a soluzione dell’epidemia di coronavirus in un attimo. Anzi, in un soffio. Arriveranno comunque professionisti direttamente dalla Cina ad aiutarci. Vero è che l’Italia e il mondo stanno studiando il modello cinese nel controllo della diffusione.

Ed è vero anche che da giorni il Governo sta subendo pressioni per andare verso un inasprimento delle misure in pieno “stile cinese” – e su questo il dibattito sulla efficienza emergenziale di una dittatura o di una democrazia ha fatto storcere più di qualche naso. Ma non bisogna dimenticare l’operato di Pechino sulla questione Hong Kong, sui campi “rieducativi” Uiguri, sul controllo della stampa e soprattutto sulla gestione della stessa emergenza coronavirus nei primi “casi chiave” andati incontro a censura governativa.


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