Addio Libia

Di Antonio Di Dio – Si sta preparando la battaglia finale per Tripoli assediata. La Turchia, al vertice arabo di Doha, ha confermato di essere pronta a inviare truppe a sostegno del governo Sarraj contro il generale Khalifa Haftar, aiutato da Russia, Egitto ed Emirati.

Come tutti sappiamo, in questo momento ci sono due schieramenti in Libia: il governo di Tripoli, presieduto da Al Sarraj, riconosciuto dall’Onu e sostenuto da Turchia, Qatar e Italia, e le truppe del generale Khalifa Haftar di stanza a Tobruk, appoggiato da mercenari russi, Egitto, Emirati Arabi e Arabia Saudita.

L’eventuale presa di Tripoli da parte del generale Haftar non avrebbe conseguenze definitive ma i segnali in arrivo dall’ex colonia italiana sono comunque allarmanti. Il rischio di uno scontro indiretto tra Russia e Turchia nel nostro cortile di casa appare sempre più probabile.

Il generale delle LNA Khalifa Haftar

La Turchia pare intenzionata a far sentire il proprio peso sullo scacchiere geopolitico mondiale, non solo in Libia: in particolare ha inviato droni a Cipro, nella base aerea di Geçitkale, nella Repubblica Turca di Cipro Nord. È la prima volta che la Turchia invia mezzi aerei a Cipro dal ritiro degli F-16 nel 2000. La mossa di Ankara va naturalmente inquadrata nella crescente proiezione di forza nel Mediterraneo Orientale, che ha ricevuto un impeto notevole dai due recenti accordi con il governo di Tripoli sulla delimitazione dei confini marittimi e il dispiegamento di truppe turche in Libia.

Il Mediterraneo Orientale, insieme al Levante e alla Mesopotamia, rappresenta una delle direttrici fondamentali dell’attuale geopolitica turca. Per la prima volta, la Turchia stringe un accordo con un paese straniero per la delimitazione della propria EEZ, ovvero della zona economica esclusiva: un’area del mare, adiacente le acque territoriali, in cui uno Stato costiero ha diritti sovrani per la gestione delle risorse naturali, giurisdizione in materia di installazione e uso di strutture artificiali o fisse, ricerca scientifica, protezione e conservazione dell’ambiente marino.

L’accordo con Tripoli – valido dalla prospettiva del diritto internazionale – permette ad Ankara di recidere la continuità tra le EEZ di Grecia e Cipro greca e dunque di asserire con maggior forza i diritti della comunità turco-cipriota sulle risorse di gas dell’isola mediterranea (stimate in 70 mila miliardi di metri cubi, l’1,5% del totale a livello globale). Risorse sulle quali la Turchia ha messo non solo gli occhi ma anche le trivelle: attualmente nel bacino cipriota operano due navi da ricerca e due navi da perforazione, naturalmente protette dalla Marina militare. In questo contesto la Libia è da considerare un tassello importantissimo del puzzle: nelle settimane scorse i Fratelli musulmani (operativi in Tripolitania) hanno ottenuto alcune vittorie tattiche contro Haftar, che dopo l’incontro con il viceconsigliere per la sicurezza nazionale Usa ha minacciato di umiliare Erdoğan e i suoi clienti nel deserto libico. Si riapre così il fronte del conflitto tra l’asse turco-qatariota e il blocco saudo-emiratino, competizione in corso tra il Golfo di Sirte e lo Stretto di Hormuz.

La disponibilità turca a esporsi militarmente è una conferma della centralità assunta dal Mediterraneo Orientale nella propria geopolitica, oggi sempre più imperniata su Cipro. La mossa di Ankara risponde a due esigenze strategiche. La prima è consolidare il controllo dei Fratelli musulmani (nemici del governo egiziano di Al-Sisi) sul governo di accordo nazionale sulla Tripolitania e, in prospettiva, assicurarsi lo sfruttamento delle locali risorse petrolifere. La seconda, direttamente legata alla prima, è bloccare l’offensiva di Haftar su Tripoli.

A 20 giorni dalla firma degli accordi militari ed economici tra il governo di accordo nazionale libico (GNA) e Recep Tayyip Erdoğan, le unità militari turche sono già sul campo.

Secondo il presidente egiziano Al–Sisi, i combattenti e le armi rischiano di sconfinare sul territorio egiziano: per questo motivo, l’Egitto avrebbe il diritto di interferire negli affari della Libia. Per tutta risposta, Tripoli aveva minacciato di «stipulare più accordi internazionali» per rafforzare la propria rete difensiva – come riportato dal canale televisivo libico con base in Qatar Al Ahrar. D’altronde già Al–Sisi aveva dichiarato in precedenza che il GNA è «ostaggio di milizie terroristiche» e che il conflitto libico rappresenta una minaccia per la sicurezza nazionale del Cairo.

Secondo quanto dichiarato dal portavoce dell’esercito di Khalifa Haftar, Ahmed al Mismar, «la presenza dei turchi a Tripoli non si limita più ai consiglieri e agli ufficiali che addestravano le milizie, ma è ora attiva a protezione dell’aeroporto di Mitigia con uno squadrone in possesso di un carro armato. Non escludiamo che lo stesso carro armato sia turco».

La notizia è particolarmente rilevante per l’Italia perché si sta irrigidendo un fronte decisivo del nostro estero vicino, già nel caos (Libia e potenzialmente Algeria-Tunisia) o fortemente instabile (Balcani occidentali). In questo senso, il fattore di maggiore rischio è dato quindi dall’ambizione della Turchia di tornare potenza mediterranea, utilizzando lo strumento militare a Cipro, in Libia e in Siria.

L’Italia sostiene Tripoli ma la Turchia, con l’appoggio di Sarraj, contesta i nostri diritti di esplorazione del gas offshore a Cipro e invia droni nella parte turca dell’isola. In particolare la Turchia ha fatto firmare al governo Sarraj un accordo che contesta i diritti dell’Italia e di altri Paesi a esplorare le risorse di gas offshore a Cipro greca nella “zona di sfruttamento esclusivo”: in poche parole l’Italia deve decidere se conservare le risorse libiche o puntare su quelle del Mediterraneo orientale. Una scelta complicata perché la Libia è strategica. Per l’Italia quindi la scelta è tra una Libia in mano a Erdogan o una in pugno a Haftar e a Mosca. L’Italia potrebbe sostenere Erdogan in Libia perché fa, in parte, i nostri interessi; tuttavia, dovrebbe stare sotto il suo ricatto a Cipro, dove anche altre potenze (Unione europea, Israele, Francia e Stati Uniti) hanno consistenti interessi.

Il primo ministro del Governo di Accordo Nazionale della Libia Fayez al-Sarraj

L’Italia ha annunciato che nominerà un inviato speciale in Libia: «Ho avuto incontri proficui con Haftar e al Sarraj, e con loro sono stato molto chiaro», ha detto Di Maio rientrando in Italia da Tripoli, annunciando anche che Haftar sarà a Roma «nei prossimi giorni».

«Esiste una soluzione diplomatica alla crisi libica», ha concluso il ministro. «Siamo pronti a lavorare nell’ambito di conferenza Berlino (che dovrebbe tenersi a gennaio) ma anche direttamente come Italia a una soluzione politica».

Il ruolo dell’Italia è però sempre più marginale dal momento dei bombardamenti occidentali contro Gheddafi nel 2011. Oggi, la pace e la guerra in Libia la decidono realisticamente Erdogan e Putin; questo grazie anche al ruolo ambiguo degli Stati Uniti, i quali, attraverso la figura di Trump, stanno letteralmente consegnando le sorti di tutto il Mediterraneo Orientale (Libia, Siria e Kurdistan) a Erdogan e Putin.

In sintesi l’Italia ha demandato ad altri il destino dei suoi interessi nel Mediterraneo. La rivincita di una Turchia “neo-ottomana”, intesa a riappropriarsi di un territorio strategico perso nel 1911, sembra già iniziata.


3 commenti

I commenti sono chiusi