Il sufismo tra misticismo e poesia

Di Sofia Calderone – Di rado, in Italia, si sente parlare del Sufismo, la dimensione esoterica dell’Islam. Ancor più raramente si viene a conoscenza dei numerosi cristiani, o atei, che tutt’oggi decidono di convertirsi all’Islam per intraprendere la via dei Sufi.

Ebbene l’at-Tasawwuf (sufismo  in turco), fenomeno religioso dall’inestimabile valore filosofico e multiculturale, è radicato tanto in Sicilia, quanto nel resto delle regioni d’Italia e d’Europa. Esattamente quattro mesi fa, un eremo nei pressi di Santa Cristina Gela (Pa) è stato la prima tappa italiana del Maulana («Maestro») siriano, Shaykh Muhammad Adil Ar Rabbani, figlio e discendente di Shaykh Nazim, ovvero il 40º Grande Shaykh – ovvero «guida spirituale» – della Tariqa Naqshbandi, una delle 40 “confraternite” (Tariqat in turco) presenti all’interno del sufismo.

In quell’occasione, circa ottanta membri sufi – provenienti dagli angoli più disparati del mondo – sono giunti nell’entroterra siciliano “in dergah” da sufi locali. Questa parola araba indica una forma di accoglienza piuttosto affascinante: per tre giorni, gratuitamente, vengono offerti pasti, letti e sacchi a pelo, non solo per i Sufi, ma anche, più in generale, per gli stranieri e i bisognosi che si trovano di passaggio. 

Cos’è il sufismo? Lo Shaykh ‘Abd al-Halim Mahmud, il capo dell’autorità religiosa in Egitto (Shaikh al-Azhar) fino alla sua morte nel 1978, nel suo libro di dichiarazioni legali (Fatawa) scrisse: «Abu Bakr al-Kattani affermò nella sua definizione di Sufismo (at-Tasawwuf) che [esso] consiste in comportamenti “kuluq[di qualità elevata]». 

«Il Sufismo consiste nel non possedere alcunché e che niente e nessuno possegga te» (il Maestro Samnunm) – o ancora – «nel raggiungere una stazione spirituale (nashr maqam) ed essere nell’unione costante (ittisal bi-dawam)» (Maestro Ali ibn ‘Abd al-Rahim al-Qannad). «Il Sufismo è abbandonare quello che hai nella testa, donare ciò che hai nella mano e non ritrarti da ciò che sopravviene» (Maestro Abu Said ben Abi-l-Khair).

Sufismo

Chi sono i Sufi? Partendo dall’etimologia: «Suf»: lana in arabo. I Sufi della prima ora erano asceti che vivevano nei deserti; non possedevano nulla fuorché un secchiello per l’acqua e una lunga tunica di lana, rattoppata. Queste toppe, cento come i nomi di Allah menzionati nel Corano, in epoca più tarda divennero colorate, fino a diventare il “costume” tipico del “Dervish” (poverello) del medioevo.

«Ahl us-Suffa»: quelli della veranda. I compagni del Profeta Muhammad lasciarono tutto per vivere vicino la dimora del Profeta, sotto una veranda. Vivevano senza possedere nulla, tra digiuni e devozioni, beneficiando della bontà dei Profeta che divideva – e moltiplicava – i pasti. «Safa», dall’arabo, purezza. Il sufi vive in ritiro, meditazione, preghiera e comunità. Mira ad astenersi dalle scelte e dagli impulsi dettati dal proprio Ego, per aumentare la propria purezza d’animo ed assumere le qualità di Dio (aklaq-Allah). «sophos», dal greco sapiente. Possibile derivazione etimologica,  quest’ultima, che è stata ampiamente criticata dagli orientali.

Oltrepassando le diatribe esistenti circa le molteplici derivazioni del termine sufi, essi vengono definiti dalla letteratura accademica come l’insieme dei mistici e degli spirituali che professano il “tasawwof”, termine arabo che indica l’atto di professare il sufismo (così come il termine “tashayyo significa professare lo sciismo e “tasannon”, professare il sunnismo).

Non è una definizione esaustiva, motivo per il quale – per avere un’idea più sostanziale del loro credo, del loro modus vivendi – concludiamo rifacendoci alle parole di un grande Maestro sufi, Fariduddin ‘Attar:

«Il sufi è tale che, quando parla, il suo linguaggio è l’essenza del suo stato, ciò significa che quando parla non dice nulla senza essere egli stesso quel qualcosa; e quando tace il suo comportamento esprime il suo stato e traduce all’esterno il distacco di esso.” […] “I sufi sono coloro che si sono liberati dalle sozzure dello stato umano e si sono purificati dalla macchia dell’ego e liberati dalle brame; perciò sono in pace con Allàh e sono situati nei primi ranghi della prossimità e nel grado piú elevato; sfuggiti da tutto ciò che non sia Lui, non sono né padroni né schiavi».


Redazione

Informazione su scala globale per sapere dove va il mondo

Un pensiero su “Il sufismo tra misticismo e poesia

  • 11 Agosto 2019 in 1:44
    Permalink

    Una precisazione, la parola Tariqat è presente anche nel Corano, quindi in Arabo, ed è un punto centrale perchè Wahabi e Salafi negano la necessità delle congregazioni con Maestfi e Discepoli, come appunto le Tariqat, ma è invece parte della shariat’Allah, ovvero di ciò che deve essere seguito per volonta divina:
    “Wa Allawi Astaqamu `Alá At-Tariqati/Se si manterranno sulla Retta via“ (72:16)

    È un nodo estremamente importante, perchè se oggi la comunità islamica è disorientata, è anche perchè questi gruppi [al soldo dei nemici dell’islam] non consentono la creazione delle Tariqat.

I commenti sono chiusi.