Conclusione al dossier “Primavere Arabe”

Di Davide Renda – Nei precedenti sette appuntamenti con il dossier sulle così denominate “Primavere arabe”, che si chiuderà con questo articolo conclusivo, abbiamo affrontato da molti punti di vista un fenomeno che ha sconvolto lo scenario statale, umano e geopolitico di un’area comprendente decine di paesi appartenenti al mondo arabo e musulmano.

Seguendo uno schema che ha dato risalto, con articoli dedicati, alle vicende dei sei maggiori paesi coinvolti dalle primavere arabe (Tunisia, Siria, Yemen, Egitto, Libia e Iraq) abbiamo parlato di come ogni paese è stato caratterizzato sì, da avvenimenti che possiamo trattare con una lente infrastatale (come agli inizi delle rivolte) ma anche di come la storia unica di ogni popolo e territorio ha fatto evolvere gli avvenimenti del 2011 in destini e vicende profondamente diversi da uno stato all’altro. 

Nella conclusione dell’articolo dedicato all’Egitto, si affermava di come sia difficile esprimere in questo momento dei giudizi sul successo o insuccesso delle richieste portate avanti dai movimenti e dalla società civile che si è impegnata a voler cambiare il corso della sua storia. Questo processo ha portato ad una forte frattura nelle comunità e nelle strutture statali che hanno caratterizzato il Nord Africa e il Medio Oriente per decenni, e di certo il processo di transizione è ancora lungo e incerto. Ma le rivolte e le rivoluzioni sono state anche un esempio straordinario di una società civile che può mettere da parte le divisioni per lottare verso un destino comune, come nel caso egiziano ma anche in quello tunisino, siriano e iracheno (per una fase molto breve).

Il caso emblematico è la piazza Tahrir del Cairo, dove in poco meno di venti giorni si è creata una comunità interculturale e interreligiosa di una portata storica non indifferente. Ma è indubbio che, anche con una forte intenzione da parte dello stato come nelle vicende siriane, molti territori sono stati attraversati da guerre civili e divisioni che nel corso degli anni si sono acuite e hanno fatto perdere completamente lo spirito rivoluzionario e di cambiamento che hanno animato gli avvenimenti del 2011.

I media o gli analisti di geopolitica si sono spesso cimentati in giudizi che, come già affermato, possono soffrire di eccessiva precocità; la rivoluzione dei Gelsomini, ad esempio, è spesso bollata come l’unica esperienza vincente delle primavere arabe. Se è pur vero che alle rivolte non è seguita una guerra civile e il dittatore Ben Ali è stato cacciato, molti dei suoi fedelissimi o sostenitori sono presenti nelle istituzioni tunisine o comunque nel mondo della politica. Inoltre, le statistiche su economia e disoccupazione in Tunisia sono davvero preoccupanti e addirittura i numeri sembrano peggiorare rispetto al periodo pre-2011. Ma è stata avviata una transizione che, come nel caso del premio Nobel al Quartetto di sindacati e associazioni, ha dato vita a momenti di esperienza democratica spesso all’avanguardia nel mondo arabo.

Rimane, tuttavia, l’esigenza di rimandare un giudizio onnicomprensivo sull’esperienza tunisina, che rimane uno degli stati meno difficili da analizzare rispetto all’esperienza siriana, che come è stato più volte affermato, è un caso umano e diplomatico di estrema complessità.

Per concludere, emerge come ogni paese merita di essere studiato e analizzato secondo la sua storia e le sue caratteristiche uniche. Dalle tribù libiche all’esercito egiziano, dal partito di Assad agli sciiti yemeniti, ogni elemento in questo panorama così complesso deve essere preso in considerazione se vogliamo lanciarci nell’analisi del fenomeno delle primavere arabe e delle sue implicazioni passate, presenti e future.

Le fonti principali utilizzate per la scrittura degli otto articoli del dossier:

Libri

Egitto

Siria

Siti web, dossier e reports