Gli aiuti dall’Albania, una nazione che non dimentica la storia

 

L’Italia si trova oggi a gestire una situazione delicata poiché l’emergenza Coronavirus ha colto tutti impreparati. Nonostante le difficoltà, lo Stato italiano sta facendo del suo meglio per garantire la sopravvivenza degli italiani al rapido diffondersi dell’epidemia da Covid-19.

Quella contro il Coronavirus non è una guerra, perché se così fosse l’Italia avrebbe saputo reagire con i metodi tradizionali del belligerare, bensì una crisi che ha sconvolto le vite di tutti, indiscriminatamente. Quando si verifica una crisi, chiunque si trova impreparato e impaurito perché ciò che credeva di conoscere perde la sua solidità e viene messo in discussione. Una crisi è una rottura che capovolge inevitabilmente lo status quo, mettendo alla prova le persone e, come in questo caso, la nazioni.

L’Italia è una delle molte nazioni che, attualmente, si trova in una condizione particolarmente esposta a rischi che mai avrebbe potuto immaginare. Lo sforzo a cui l’Italia è sottoposta è notevole e la precarietà delle circostanze odierne sono sotto gli occhi di tutti, Europa compresa. La richiesta di aiuti da parte dell’Italia all’Europa non è da interpretare come una supplica ma come un’esortazione ad un coinvolgimento consistente e forte perché, come ha dichiarato il premier Conte durante la conferenza stampa, il 28 marzo: «C’è un appuntamento con la Storia, l’Europa deve dimostrare di essere all’altezza di questa chiamata».

Così, se da una parte troviamo una sfuggente Europa che stenta ad essere incisiva, dall’altra troviamo una nazione, l’Albania, che seppur timidamente progredita dal punto di vista economico, dimostra di essere all’altezza della criticità del momento e di saper fare bene i conti con la storia.

L’Albania dimostra di essere non “priva di memoria” e di conoscere e onorare la storia che più volte si è intrecciata con quella della vicina Italia. L’Albania, infatti, divenne obiettivo coloniale fascista, poi protettorato italiano nel periodo tra il 1939 e il 1943 dopo una dura resistenza. La caduta del fascismo ne determinò la fine e le nuove elezioni in Albania nel 1945 segnarono la vittoria del partito comunista, capeggiato da Enver Hoxha, il quale istituì un regime repressivo che portò al totale isolazionismo di quella che divenne la Repubblica Socialista d’Albania. Con la fine del comunismo, però, l’Albania si trovò a fronteggiare forti pressioni interne e riformiste a causa dei molti problemi legati al cattivi governi che si susseguirono. La fragilità finanziaria del Paese, la corruzione dilagante e la generale arretratezza agricola-economica dovuta ad anni di isolamento furono tutti elementi che animarono brutali scontri interni. Il popolo albanese chiedeva aiuti, e questi potevano solo essere garantiti da un intervento da parte dei Paesi occidentali vicini, che potevano intervenire per porre le basi di una transizione economica sul modello Occidentale.

Gli albanesi, così, iniziarono a guardare ad Occidente, e in particolare all’Italia, come ad un territorio ricco, pieno di risorse e che avrebbe garantito loro una speranza per condizioni di vita migliori.

Nel 1990 la storia dell’Albania si incrociò nuovamente con quella dell’Italia in quello che fu ricordato come il più grande esodo dai Paesi Balcanici. Il 7 marzo del 1991 circa 27 mila albanesi a bordo di una nave mercantile arrivarono al porto di Brindisi. Gente stremata, disidrata e bisognosa di cure venne accolta dalla popolazione locale. L’8 agosto del 1991, si verificò un’altra ondata di 20 mila migranti albanesi a bordo della nave Vlora, nave mercantile di costruzione italiana, che divenne subito simbolo di un popolo che fuggiva in cerca di aiuto. La Vlora, inizialmente respinta a Brindisi, venne poi agganciata da rimorchiatori e fatta sbarcare a Bari.

Profughi della Vlora in banchina a Bari, 8 agosto 1991

L’Italia, di quei tempi, non era pronta a governare due grandi migrazioni come quelle, e la gestione di questi migranti fu difficile e controversa; tuttavia l’importanza di fornire aiuto ad un popolo in difficoltà e l’accoglienza poi dimostrata dagli italiani furono elementi che, sicuramente, fecero la differenza. L’Italia si dimostrò loro amica, e molti albanesi sono ancora grati agli italiani per l’accoglienza mostrata nei loro riguardi durante quegli anni dolorosi.

In virtù di quella storia mai dimenticata e dell’aiuto disinteressato, elargito a chi si trovava in condizioni precarie, oggi Edi Rama, presidente dell’Albania, attraverso un discorso semplice, si espone, pronunciando parole dirette e spiegando il perché dell’invio di 30 medici albanesi in Italia per combattere insieme contro il Covid-19: «È vero che tutti sono rinchiusi dentro le loro frontiere, anche Paesi ricchissimi hanno girato la schiena agli altri, ma forse perché non siamo ricchi ma neanche privi di memoria, non ci possiamo permettere di non dimostrare all’Italia che gli albanesi e l’Albania non abbandonano mai l’amico in difficoltà. Questa è una guerra in cui nessuno può vincere da solo. E voi coraggiosi membri di questa Missione per la Vita state partendo per una guerra che è anche la nostra. Oggi noi siamo tutti italiani. E l’Italia la deve vincere questa guerra, anche per noi, per l’Europa e per il mondo intero».

Rama, attraverso un’attenta valutazione delle condizioni interne del suo paese, meno ricco degli altri, e uno sguardo diretto ai trascorsi storici, dà una lezione ai “potenti”, mostrando al mondo le grandi caratteristiche del suo Paese: solidarietà e gratitudine. In merito a quest’ultima, è opportuno ricordare come Cicerone interpretava la gratitudine, indicandola come “la più grande delle virtù ma soprattutto la madre di tutte le altre”. Allo stesso modo, chi non dimentica la storia e non è privo di memoria è già un vincitore.