Etna, grande e terribile bellezza per letterati e poeti di ogni tempo
A vederlo «stentiamo a credere di essere ancora sulla Terra», ma è tutto vero: l’Etna vive e respira in Sicilia, raccontato da sempre da centinaia di autori e cronisti che ne hanno ammirato la bellezza.
Il vulcano più alto d’Europa, l’Etna, vive di improvvise accensioni ma non si è mai spento. Per la sua costante attività non è mai passato inosservato a narratori e cronisti storici che lo hanno ammirato, affrontato e, talvolta, sofferto. Non è – per nessuno – un’impresa facile raccontare questa montagna viva, dalle viscere alle sue estensioni rocciose. Da sempre l’Etna è un vulcano spaventoso, capace di affascinare per la sua forza e per la sua bellezza: è stato fonte d’ispirazione per letterati e artisti di ogni secolo, anzi, ogni millennio, e continuerà a esserlo finché continueremo a conviverci “pacificamente”.
L’Etna, dalla mitologia greca alla letteratura latina
Nell’Odissea di Omero, il ciclope Polifemo scagliò contro Ulisse dei blocchi di lava che, guarda un po’, sarebbero quelli sul lungomare di Acitrezza, in provincia di Catania. Ed era dentro l’Etna che i Ciclopi, secondo la mitologia greca, in qualità di fabbri di Efesto, forgiavano le saette di Zeus. Tutto fa pensare che siamo di fronte a un vulcano davvero mitico e profondamente significativo per la tradizione mediterranea ed europea.
Pare che la Montagna catanese sia stata anche il luogo prescelto per l’atto finale del filosofo greco Empedocle. Vissuto intorno al V secolo a.C., si narra che, una volta caduto in disgrazia, scelse di gettarsi nel cratere dell’Etna, perché oggetto principale dei suoi studi naturalistici. Secondo la leggenda, di lui fu risparmiato dalla lava soltanto un sandalo di bronzo, in modo da gridare al mondo il gesto compiuto dal filosofo.

Nel giro di un secolo, diversi cronisti greci, da Pindaro a Tucidide, raccontano diverse grandi e pericolose eruzioni che minacciarono Catania. Eppure, quella del vulcano etneo, è una storia di protezione, sia per i Greci che per i Romani. Gli dei consacrarono l’Etna come grande difensore capace di intrappolare Tifeo (o Tifone), un gigante che si aggirava nelle zone vulcaniche che, sotto il peso del vulcano, non poté che vomitare saette.
Andando ai latini, per Virgilio, l’Aetna è luogo natìo della “Didone abbandonata”, la parte irrazionale che alberga dentro di noi, ma è anche prigione di pietra per Encelado, il gigante ribellatosi a Zeus e incatenato per punizione sotto l’isola di Trinacria.
Encelado, infatti, urla di rabbia e scuote la terra nel tentativo di liberarsi, mentre il suo corpo gigantesco brucia. «È fama che d’Encelado le membra, dal fulmine bruciate e ancor spiranti, sentano ancora quanto quel monte pesa che il fuoco aspira dai camini ardenti; e quante volte, stanco, muta lato, tutta Trinacria con fragor si scuote e il ciel di nubi ardenti si ricopre» (Eneide, libro IV). E che dire di Ovidio? I boschi nei pressi del vulcano sono la scenografia scelta dall’autore latino per il rapimento di Proserpina compiuto da Plutone nella “Metamorfosi”.

La letteratura del ‘700 e il “Viaggio in Sicilia e a Malta”
A spasso nel tempo, l’Etna è raffigurazione della passione per Lorenzo de’ Medici e luogo carico di fascino come nessun altro per Patrick Brydone. L’autore scozzese parlò proprio del vulcano siciliano nel suo unico volume Viaggio in Sicilia e a Malta – di grande successo, tanto da andare ben trenta volte in ristampa – dove parla del suo viaggio intrapreso nel 1770.
Quella descritta da Brydone sembra l’alba più bella e commovente che un essere umano abbia mai visto sulla faccia della Terra: «Tutta l’atmosfera cominciò gradatamente a illuminarsi, lasciando scorgere appena appena i vaghi particolari di un panorama sconfinato. Mare e terra erano bui e confusi, come se stessero emergendo allora dal caos originario, e luce e tenebre sembravano ancora indivise; finché il mattino, avanzando pian piano, non ne completò la separazione. Le stelle allora si spengono e le ombre scompaiono. […]
La scena si allarga ancora, l’orizzonte sembra aumentare d’ampiezza ed espandersi da ogni lato; finché il sole, come il grande Creatore, compare ad oriente, e con la sua sorgente di luce modella e completa la scena immane. Tutto è incanto e stentiamo a credere di essere ancora sulla Terra. I sensi, inavvezzi alla scena sublime, sono sbalorditi e confusi, ed è soltanto dopo un certo tempo che riacquistano la capacità di distinguere e valutare i vari oggetti che di quella scena sono parte».
Sicilia, cuore di intellettuali europei e culla dei “maestri del vero”
Narrato anche da illustri europei che lo sceglievano come tappa “obbligata” per i viaggi in lungo e in largo per il Mediterraneo, da Guy de Maupassant a Johann Wolfgang von Goethe, fu il biologo Lazzaro Spallanzani a paragonare senza mezzi termini il Vesuvio all’Etna. Definì quello partenopeo come un «vulcano da salottino» di fronte alla «bellezza e grandiosità del vulcano etneo» e alla «sublime sua elevatezza».
Con Giovanni Verga tornano i boschi etnei per la drammatica vicenda di Maria, la protagonista di Storia di una capinera, primo successo editoriale dello scrittore catanese.
«Com’è bella la campagna, Marianna mia! Se tu fossi qui, con me! Se tu potessi vedere codesti monti, al chiaro di luna o al sorger del sole, e le grandi ombre dei boschi, e l’azzurro del cielo, e il verde delle vigne che si nascondono nelle valli e circondano le casette, e quel mare ceruleo, immenso che luccica laggiù, lontan lontano, e tutti quei villaggi che si arrampicano sul pendio dei monti, che sono grandi e sembrano piccini accanto alla maestà del nostro vecchio Mongibello!».
La narrazione di questo paesaggio incantato, però, striderà violentemente con la vicenda della giovane donna sacrificata dalla famiglia alla vita del convento.
Oltre il bucolico, non può mancare il lato tragico che, in occasione dell’eruzione del 1886, si legge nella novella Agonia di un villaggio. Verga racconta la devastazione che colpì le campagne del paese di Nicolosi; lo scenario è quello che possiamo riconoscere come una carovana di profughi: «E colla roba, sui carri, a piedi, uomini e donne taciturni, recandosi in collo dei bambini sonnolenti, coi volti accesi dalla caldura e dall’ambascia [difficoltà respiratoria]».

L’Etna nei racconti del ‘900
Persino quando i racconti sono motivati dal puro interesse professionale e scientifico, c’è spazio per la passione. Nel caso di Federico De Roberto, biologo del primo Novecento, la colata lavica di fine Ottocento, drammatica per le popolazioni colpite, fa emergere considerazioni squisitamente emotive. La sua cronaca uscita nel 1910 con l’articolo Alle rabide sorgenti del gran fiume di fuoco sull’Etna, sa di fascinazione per il gigante etneo.
«Poeti antichi e moderni, scrittori d’ogni età e d’ogni paese hanno cantato e decantato l’Etna per l’enormità della sua mole e la terribilità della sua ira; pochi hanno detto che questo monte tremendo è anche uno dei più belli. Spaventoso ed incantevole, non somiglia a nessun altro. Non è un monte, è un mondo. Vi sono tutti i climi, dall’eterno tepore delle radici immesse nel mare di Venere e nei fiumi venerati un tempo come divinità, al gelo eterno dei culmini. […]
Vi errarono gli Dei dell’Olimpo e i cavalieri della Tavola Rotonda; fu la fucina di Vulcano e la porta dell’Inferno cristiano; se lo disputarono genti, accorse dai quattro angoli della terra: i Greci dall’Oriente, e gli Iberici dall’Occidente, i Normanni dal Nord e gli Arabi dal Sud».
E non ci sono parole più degne per concludere questo racconto, che sarà sempre parziale, del vulcano siciliano ed europeo per eccellenza. Oggetto di ispirazione, tappa di numerosi viaggi e parte integrante della letteratura italiana e straniera, l’Etna continuerà a meravigliarci e ammaliarci.
In copertina Pietro Fabris, Veduta del Teatro greco di Taormina con il vulcano Etna, 1779