brasile 8 gennaio

Attacco al parlamento brasiliano, la dura prima settimana di Lula

L’8 gennaio un gruppo di fanatici pro-Bolsonaro ha fatto irruzione nei palazzi delle istituzioni di Brasilia, minacciando di gettare il neo presidente Lula e il suo governo nel caos.


L’assalto al parlamento e ai palazzi delle istituzioni di Brasilia di giorno 8 gennaio è apparso agli occhi di tutti molto simile all’attacco a Washington del 6 gennaio 2021. In entrambi casi, un nuovo presidente era stato appena eletto, dopo aver prevalso contro un avversario i cui fedeli sostenitori avevano digerito male la sconfitta. Ad una settimana esatta dal suo insediamento, Lula Inàcio Da Silva ha dovuto fare i conti con migliaia di sostenitori di Bolsonaro, che hanno fatto irruzione nelle sedi del Parlamento, della Corte Suprema e del Palazzo Planalto distruggendo mobili, finestre e opere d’arte. 

Solo dopo diverse ore la polizia è riuscita a riprendere il controllo della situazione. Ad oggi sono più di mille le persone arrestate, mentre le indagini non sono ancora terminate. Inoltre, il giudice della Corte suprema Federale Alexandre de Moraes ha ordinato la rimozione del governatore del Distretto federale di Brasilia, Ibaneis Rocha, per 90 giorni. Rocha è accusato di aver contribuito all’assalto al Parlamento, colpevole di non avere mandato rinforzi e di avere accordato il permesso alla manifestazione pro-Bolsonaro in quel pomeriggio. 

L’attacco non è stato, infatti, una sorpresa, ma il frutto di una lunga pianificazione attraverso le chat di Telegram, piattaforma che era già stata sospesa lo scorso anno in Brasile proprio perché aveva permesso la diffusione di fake news.

I Bolsonaristi nei gruppi parlavano in codice, usando termini come “festa in spiaggia” e “solo per adulti che vogliono partecipare a dei giochi”. Una mappa del Brasile con i punti di ritrovo indicava, in realtà, i luoghi in cui ci sarebbero stati degli autobus pronti a portare i “manifestanti” nella capitale. Molte grandi aziende, soprattutto agricole, avrebbero finanziato l’attacco attraverso la messa a disposizione di grandi mezzi di trasporto.

Tuttavia, molti dei fanatici dell’ex-presidente brasiliano erano accampati nella capitale già da 70 giorni, ovvero da quando i risultati dell’elezione del 30 ottobre avevano visto il loro leader sconfitto. L’8 gennaio, il giorno dell’attacco, si sarebbe dovuta svolgere quella che il governatore del distretto di Brasilia Rocha aveva definito come una “manifestazione pacifica e tranquilla”. 

Indossando la bandiera brasiliana e con la faccia dipinta di giallo e verde – i colori del Brasile – la folla non ha quasi trovato resistenza. Il motivo è semplice:  tra i partecipanti vi erano anche membri della riserva dell’esercito, poliziotti, membri delle guardie municipali e altri funzionari pubblici. Secondo alcune testimonianze, alcuni poliziotti si sarebbero fermati tranquillamente a parlare e a scattare foto con i rivoltosi. 

A questo proposito, lo stesso presidente Lula ha accusato la polizia di essere venuta meno ai propri doveri, evidenziando come fosse stata la mancanza di sicurezza a permettere ai “sostenitori fascisti di Bolsonaro” di superare le barriere davanti il parlamento. 

Durante gli attacchi, Bolsonaro non era nel Paese ma si trovava in Florida, in cui si era “rifugiato” il giorno prima dell’inaugurazione del mandato di Lula, non partecipando così alla cerimonia. 

L’ex presidente non ha mai ammesso pubblicamente la sua sconfitta e ha sempre insinuato che il voto non fosse realmente valido. Nonostante abbia condannato gli eventi di domenica 8 gennaio, resta complice nel modo in cui ha gestito la sua campagna elettorale e gli eventi post-elezione. Il suo coinvolgimento emergerebbe anche da una recente perquisizione in casa dell’ex ministro della giustizia Anderson Torres, durante la quale è stata rinvenuta la bozza di un decreto golpista che proponeva di ribaltare il risultato delle elezioni. 

Il decreto, che comunque non riportava alcuna firma, avrebbe permesso l’introduzione dello “stato di difesa”, consentendo così a Bolsonaro di intervenire per la sicurezza pubblica nei mesi di novembre e dicembre in cui tecnicamente era ancora lui il capo di stato. 

Proprio Torres, attualmente a capo della sicurezza di Brasilia – e che si trovava in vacanza durante gli attacchi – è stato arrestato due giorni fa con l’accusa di aver intralciato i tentativi della polizia di bloccare i rivoltosi.

Per la terza volta presidente, Lula deve quindi fare i conti con una situazione instabile. Sebbene il 76% dei partecipanti ad un sondaggio abbia condannato gli eventi dell’8 gennaio, dovrà faticare ancora per arginare un’opposizione radicalizzata, che lo ritiene fautore di una campagna comunista che porterà il Paese alla rovina. 

Dal canto suo, con l’intento di rafforzare la democrazia all’interno dello Stato più importante dell’America Latina, Luiz è già intervenuto rispetto al tema della salvaguardia dell’Amazzonia e ha parlato di reindustrializzazione verde per il suo Paese. Inoltre, sembrerebbe anche che abbia da poco richiamato e licenziato il proprio ambasciatore in Israele, rinnovando il sostegno alla causa palestinese

Durante il suo discorso di insediamento, Lula ha affermato: «è stata un’era piena di oscurità, incertezza e grande sofferenza […] ma questo incubo è finito». L’intento è quello di rappresentare tutti i brasiliani, anche quelli che non lo hanno votato. Da come il mandato è iniziato, però, sembra sia un obiettivo non così semplice da raggiungere.