Il Metaverso è il futuro di internet?

Il termine Metaverso compare per la prima volta nel romanzo cyberpunk di Neal Stephenson dal titolo Snow crush pubblicato nel 1992. Ciò a cui oggi stiamo assistendo è l’applicazione dei dispositivi di Realtà Virtuale (RV) e Realtà aumentata (AR) alle logiche interattive dei social e delle videochat. L’introduzione sul mercato economico di questi strumenti determinerà davvero il “futuro di internet”? 


È già trascorso quasi un anno (ottobre 2021) da quando Meta, società creata da Mark Zuckerberg, precedentemente nota come Facebook, ha rilasciato un importante e lungo video consultabile su YouTube sull’idea di sviluppare attraverso le più recenti tecnologie di realtà virtuale e realtà aumentata un Metaverso, cioè uno spazio condivisibile completamente virtuale fruibile attraverso degli Avatar personalizzabili con i quali ci si potrà muovere all’interno della piattaforma digitale

La novità principale avanzata da Zuckerberg è che nel Metaverso si potrà fare un’esperienza immersiva di internet in grado di far esperire la “presenza”, cioè il sentirsi in un dato luogo a un dato tempo, come mai prima d’ora. 

L’altisonanza di queste promesse futuristiche, che a un anno di distanza sembrano tuttavia ancora dei propositi, ci offre la possibilità di riflettere sulla rapida ma importantissima trasformazione del concetto stesso di esperienza attraverso cui i gestori delle più grandi aziende del settore informatico ci stanno conducendo. 

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Laboratorio virtuale che abbatte le barriere fisiche

In primo luogo l’illusione del “noi”, ovvero, il fatto che l’introduzione delle potenzialità operative, comunicative e commerciali di un prodotto da parte della sua azienda produttrice vengano trasmesse al grande pubblico come il risultato di una impresa collettiva, un vero e proprio passo avanti nel progresso umano che se svolto da uno o solo da alcuni diventa immediatamente anche mio, tuo, nostro, anche se la maggior parte di noi sa poco o nulla dei processi di produzione e sviluppo di queste tecnologie. 

Il senso della collettività della scoperta, tuttavia è tipico di tutte le grandi rivoluzioni tecniche umane, è bastato infatti che un uomo solo atterrasse sulla Luna per poter affermare che l’umanità avesse conquistato lo spazio. 

Tuttavia, occorre non distrarsi troppo dal dato di fatto che i produttori e gli sviluppatori che operano nel mondo digitale, i cosiddetti creator, sono effettivamente gli unici detentori dell’effettiva manipolazione e gestione della piattaforma, rispetto ai quali tutti gli altri possono essere soltanto individuati come “utenti” più o meno tecnicamente abili (Gen Z rispetto alle generazioni precedenti) o di successo (utente medio rispetto agli influencer).

Ciò che maggiormente colpisce del lungo discorso di Zuckerberg è sicuramente l’enfasi posta sul carattere immersivo e incarnato (embodied) dell’esperienza virtuale che, a detta del suo ideatore, permetterà di sentirsi autenticamente presenti insieme ad altre persone abbattendo qualsiasi barriera fisica. 

L’abbattimento delle barriere, così come la promessa di una nuova gamma di veri e propri sensi corporei esercitabili durante le esperienze online, sembra davvero far pensare alla possibilità di trascendere la nostra fisicità umana per iniziare ad esperire il mondo anche in altri modi.

Questi “nuovi modi” tuttavia non possono che ricalcare quelli già esistenti e del tutto naturali tipici dell’interazione comunicativa face to face e sono: il contatto visivo, cioè sarà possibile guardarsi negli occhi attraverso i propri Avatar, o dovremmo dire avere la sensazione di guardare qualcuno negli occhi? Poi, la possibilità di condividere uno stesso spazio esperibile, o dovremmo dire avere la sensazione di star condividendo lo stesso spazio con qualcuno?

Poi ancora, le espressioni facciali e il linguaggio del corpo, che dovrebbero restituire alla comunicazione a distanza, il cui mezzo tipico è stato finora la scrittura, l’immagine o il video, quel senso di realtà tipico delle interazioni dal vivo. Non ultima la sensazione di potersi teletrasportare in giro per il mondo partecipando a concerti dal vivo attraverso i propri Avatar o ologrammi. 

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Insomma, l’idea alla base di tutto sembra proprio rendere il Metaverso il nuovo modo di utilizzo dei social network. L’obiettivo è quindi quello di socializzare: attraverso giochi, sport e momenti di hang out che aprono e chiudono finestre sul mondo ferme a quella superficie delle cose che è la visione. 

L’illusione inizia dando il primato alla vista, come unico organo di conoscenza del mondo. Se così fosse poco distinguerebbe gli esseri umani da telecamere e registratori sofisticati che catturano e memorizzano immagini, lo spazio per la riflessione verrebbe totalmente cancellato e il soggetto più che agire, nel Metaverso si limiterebbe a subire l’immane bellezza di un sogno lucido che egli stesso è in grado di plasmare. 

L’unica parola che resta da pronunciare di fronte a queste esperienze è “wow” – l’espressione dello stupore immediato e singolare per eccellenza – prima e dopo la quale non c’è storia perché a mancare è l’esclusività di uno spazio e di un tempo dedicato a qualcuno; al contrario, lo spazio estremamente condivisibile del Metaverso è uno spazio di totale vulnerabilità del soggetto che si ritrova nudo di fronte a un bombardamento anestetizzante di stimoli sensoriali, per la maggior parte visivi.

Breve nota sulla creator economy

Per quale motivo sembra diventare sempre più necessaria la creazione di contenuti sul web? Perché l’uomo sembra stare smettendo di investire le sue energie attive per trasformare il mondo concreto intorno a sé e si impegna sempre più attivamente a devolvere tutti i suoi sforzi – fatti di ore al pc – per condividere con gli altri il proprio talento, le proprie passioni o il proprio lavoro? Gli spazi Workplace del Metaverso saranno la nuova versione delle riunioni Zoom? Ma per il lavoro di chi?

Sarà sicuramente vantaggioso avere l’opportunità di entrare in contatto in modo “immersivo” con persone che studiano e lavorano molto lontano da noi, o magari addirittura frequentare corsi e università che si trovano dall’altro lato del mondo, ma siamo sicuri che l’integrazione del Metaverso negli ambienti di lavoro e/o di apprendimento basti per trasformare un utente in un agente? Dopotutto, feel present è esserci?

La parte più verosimile del discorso di Zuckerberg sembra essere piuttosto la destinazione di questi strumenti al fine di snellire tutta la serie dei numerosi passaggi del lavoro aziendale che necessitano del rapido feedback del supervisore, e dunque che il lavoro nel Metaverso sia concepito sul modello della logica aziendale, la quale ha fondamentalmente una struttura gerarchica. 

Da questo punto di vista, non sembrano esserci argomenti per ammettere anche solo la plausibilità che questo nuovo modo di “abitare” la rete possa in qualche modo favorire processi democratici o di democratizzazione della società, per il semplice fatto che l’ordinamento e la gestione delle piattaforme digitali sono votati all’organizzazione e al controllo, tipici elementi della struttura verticistica dei colossi aziendali informatici.

È ragionevole immaginare che l’AD di una multinazionale tra qualche anno, per supervisionare le filiali dell’azienda per cui lavora sparse in giro per il mondo, invece di viaggiare in aereo, troverà estremamente più semplice connettersi virtualmente con i suoi collaboratori per effettuare un sopralluogo o delle riunioni sfruttando piattaforme come il Metaverso

I cosiddetti momenti di briefing, che di persona necessitano di moltissima organizzazione, collidono con la loro necessità di essere brevi e saranno probabilmente interamente delegati a questa nuova opportunità di teleporting virtuale, la quale viene considerata, dallo stesso Zuckerberg come una modalità per ridurre anche l’impatto ambientale degli spostamenti veri e propri – dando per scontato che tutta l’energia per alimentare i nostri dispositivi sia Green, quando sappiamo bene che non lo sia. 

Rinunciare saggiamente a eccessivi e spesso superflui spostamenti in aereo ma rifiutare categoricamente, allo stesso tempo, i limiti che il qui ed ora corporeo impone, è un’idea che alimenta tuttavia la convinzione che la fluidità della comunicazione a livello globale avrà come effetto un maggiore consolidamento della comunità umana, e che quindi più interazioni o interazioni più “vivide”, per usare il termine del presidente Zuckerberg, si traducono necessariamente in tempo di qualità e arricchimento reciproco. 

Partendo dallo stabilire un’uguaglianza decisamente discutibile tra dialogo e interazione, o tra informazione e views sorge probabilmente il predominio dell’hang out, letteralmente quell’ “uscire con gli amici” che il Metaverso dovrebbe consentire agli utenti garantendo loro tutta un’altra atmosfera di comfort, in grado di coinvolgere alcune delle nostre facoltà sensoriali.

Ultima nota sull’apprendimento virtuale. In questo caso, per poter esercitare le proprie competenze tecniche, prima di svolgerle in modo vero e proprio, il Metaverso sembra essere ancora una volta uno strumento a vantaggio dell’esercito di tecnici che il mondo aziendale di oggi richiede. 

Anche in campo medico la sproporzione tra competenze tecniche e pratica della cura, la quale coinvolge la necessità di un rapporto col paziente, si farà evidente nel momento in cui curare significherà sempre di più quasi esclusivamente saper utilizzare determinati dispositivi tecnologici.    

Resta da chiedersi: questa enorme libertà di scelta, di creazione e di personalizzazione degli ambienti digitali posta innanzi agli occhi degli utenti è reale? O il Metaverso completerà la trasformazione di internet in un grande centro commerciale digitale su cui si concentrerà l’economia globale capitalistica per cercare di fuggire dalle crisi sistemiche ricorrenti aprendo nuovi spazi di marketing e inducendo bisogni virtuali sempre più distanti dalle urgenze poco colorate e personalizzabili che la realtà ci impone? 


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