Giulio Regeni e la linea sottile tra diplomazia e omertà

Sembra che, ancora una volta, la giustizia non sarà possibile per Giulio Regeni, che la legge sia uguale per tutti a meno che non sia sconveniente, che la verità non sarà abbastanza per incriminare chi gli ha strappato la vita.


Arriva in un momento politico già troppo scomodo la sentenza della Corte di Cassazione che spegne le speranze di una giustizia per la morte del giovane ricercatore Giulio Regeni.

In seguito alla decisione della Terza Corte d’Assise di Roma che il 14 ottobre 2021 ha dichiarato la nullità del decreto che disponeva il giudizio degli imputati, seguita poi dall’ordinanza del Giudice dell’udienza preliminare del’11 aprile 2022 che disponeva la sospensione del procedimento pendente nei confronti di Tarik Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Usham Helmi e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, la Procura di Roma si era appellata per annullare la decisione e provare ancora una volta a portare avanti il processo che voleva fare giustizia a Giulio Regeni.

Tuttavia, la Suprema Corte ha escluso che i provvedimenti dei giudici possano essere impugnati con il ricorso per Cassazione, in quanto non abnormi.

I sospettati ci sono, ne conosciamo nome e cognome, sappiamo cosa fanno di mestiere ma non sappiamo dove si trovino (sarebbe strano il contrario, trattandosi di agenti dei servizi segreti), ma per la nostra legge quest’unica informazione mancante sarebbe sufficiente a bloccare tutto.

Nessuna verità, nessuna giustizia per Giulio, perché gli 007 di uno Stato formalmente Amico non hanno registrato l’indirizzo di residenza. 

Se tutto questo dovesse apparire assurdo, basterà osservarlo da un altro punto di vista. Smettiamo per un secondo di pensare alla tragedia umanitaria, alla violazione dei diritti umani che stanno dietro alla morte di Giulio Regeni e proviamo ad analizzare questo sillogismo:

1. La politica estera dell’Italia è fatta dall’Eni;

2. L’Eni ha enormi interessi in Egitto; 

3. L’Italia non avrà mai l’autonomia e la determinazione necessarie per perseguire verità e giustizia a proposito della morte di Giulio Regeni, barbaramente trucidato nel territorio di un così importante partner economico. 

Abbiamo scomodato Aristotele per provare a comprendere una verità che non può nascondersi dietro a un cavillo legale: non c’è atto di violenza abbastanza grande da non poter essere celato dietro una fornitura di gas naturale.

Era l’aprile di quest’anno quando il nostro Ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, puntava il dito verso i privati: «L’Italia non ha mai smesso di chiedere collaborazione al Cairo sul caso Regeni, l’intesa sul gas con l’Egitto è un accordo tra aziende», e con queste parole disegnava una linea sottile a dividere la diplomazia dall’omertà.

Benché la sentenza della Corte di Cassazione sia arrivata in un momento in cui il governo non può concentrarsi sulla ricerca della verità per Giulio, negli ultimi sette anni, forse, qualcuno ci avrebbe potuto provare. 

Avrebbe potuto convincere lo Stato Amico a collaborare, magari chiudendo i rubinetti del gas. Eppure, più si guarda il quadro completo, più il sillogismo sembra l’unica verità raggiungibile:

1. La politica estera dell’Italia è fatta dall’Eni;

2. L’Eni ha enormi interessi in Egitto; 

3. L’Italia non avrà mai l’autonomia e la determinazione necessarie per perseguire verità e giustizia a proposito della morte di Giulio Regeni, e noi dovremo spiegarlo alla mamma e al papà di Giulio, che ogni giorno lottano per una verità che non corrisponde all’interesse nazionale.


Immagine in copertina di Asiaecica

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