Giulio Regeni e Patrick Zaki: quando le ragioni di Stato mettono in secondo piano i diritti umani

Il 4 dicembre si chiuderanno le indagini sul caso Regeni e la Procura si prepara a rinviare a giudizio i cinque membri dei servizi segreti indagati di omicidio. Sempre in questi giorni è arrivata l’udienza per Patrick Zaki che conferma altri 45 giorni di detenzione preventiva.


In questo momento in cui l’attenzione dell’opinione pubblica continua a essere tutta concentrata sulla pandemia, si è tornato a parlare, un po’ distrattamente, di due vicende che spesso vengono accomunate ma che tutti ci auguriamo abbiano un esito diverso: i casi di Giulio Regeni e Patrick Zaki.

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Le indagini sulla morte Giulio Regeni, il giovane ricercatore torturato e ucciso il 25 novembre 2015 in Egitto, verranno chiuse entro il 4 dicembre, data in cui i Pm di Roma notificheranno l’avviso di conclusione ai cinque agenti della National Security, i servizi segreti egiziani, accusati dell’omicidio. 

Gli elementi raccolti sono stati definiti dalla procura di Roma «univoci» e «concordanti» nel dimostrare il coinvolgimento dei cinque membri dell’Nsa nel rapimento e nell’omicidio di Regeni e tutti i successivi tentativi di depistaggio all’indomani del ritrovamento del corpo. Ma se il sostituto procuratore Sergio Colaiocco, che indaga con caparbietà sul caso dal 2016, e il procuratore Michele Prestipino, sembrano certi di essere vicini alla verità, la collaborazione praticamente nulla da parte delle autorità egiziane probabilmente porterà ad un processo in contumacia. Se i cinque indagati non dovessero eleggere un domicilio in Italia per la notifica degli atti giudiziari, la procura procederà ugualmente con la discovery dell’atto di accusa, l’emissione del decreto di irreperibilità e  il processo a loro carico si terrà comunque.

Nonostante la scarsissima collaborazione del governo di Al Sisi alle indagini, i continui depistaggi (ne sono stati accertati almeno quattro) da parte della National Security, la Procura è riuscita a fare luce non solo sui responsabili delle torture e dell’omicidio del ricercatore friulano,  ma anche sulla fitta rete di controllo creatasi attorno a Regeni nei mesi antecedenti al rapimento, spiato attraverso persone a lui vicine: il coinquilino Mohamed El Sayad, che prima e durante il sequestro ebbe diversi contatti con la Ns; l’amica Noura Wahby, che riferiva ogni conversazione a un informatore della Ns; e soprattutto Mohamed Abdallah, presidente del sindacato degli ambulanti del Cairo, con cui Giulio entra in contatto per le sue ricerche e che è tra i maggiori indiziati nell’aver favorito il rapimento.

Di qualche giorno fa è la telefonata tra il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e il presidente Al Sisi, durante la quale Conte sollecita una collaborazione sul caso Regeni, ricordando al presidente egiziano che con la chiusura delle indagini il 4 dicembre “non c’è più tempo” per rimandare la collaborazione. Il portavoce di Al Sisi, Bassam Radi, ha successivamente ribadito all’Ansa che il presidente ha già impartito “istruzioni” a tutte le autorità egiziane a «cooperare pienamente con le controparti italiane» per «giungere alla verità». E che la collaborazione fra la magistratura egiziana e quella italiana è «senza precedenti nella storia giudiziaria dell’Egitto».

E mentre si attende la chiusura delle indagini sul caso Regeni e la quasi certezza che non avverrà mai l’estradizione in Italia dei cinque indagati, l’atteggiamento paranoico e di repressione nei confronti di ogni dissidenza al regime trova conferma in un caso che comunque ci riguarda: la vicenda di Patrick Zaki

Lo scorso 21 novembre è stata rinnovata la custodia cautelare per altri 45 giorni nelle carceri del Cairo dello studente egiziano dell’Università di Bologna arrestato il 7 febbraio e accusato di propaganda sovversiva dal regime.

Sempre in questi giorni è stato arrestato il terzo esponente dell’Ong Eipr, Egyptian iniziative for personal rights, con cui collaborava anche Zaki: il direttore esecutivo Gasser Abdel Razek. Stessa sorte era già toccata ad altri due personaggi di vertice dell’organizzazione non governativa nei giorni precedenti. L’accusa: fare parte di un’organizzazione terroristica, diffondere false dichiarazioni che disturbano la sicurezza pubblica, danneggiare il pubblico interesse ed utilizzare un account online per diffondere false notizie. L’Eipr, in questi mesi si è fatta portavoce con i media internazionali del caso di Patrick oltre a fornirgli supporto legale. Una cattiva notizia anche per Zaki dal momento che tali accuse potrebbero riverberarsi anche sullo studente.

«Non ci sono parole per definire questo accanimento del potere giudiziario egiziano. Non ci sono parole per definire l’assenza di un’azione forte da parte del governo italiano», ha scritto in un tweet Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia

E in effetti di azioni forti da parte del governo italiano per ottenere giustizia per Giulio Regeni e per ottenere la libertà di Patrick Zaki non se ne sono viste moltissime e mai niente di veramente incisivo, se non per la parentesi del 2016 al momento richiamo a Roma dell’ambasciatore italiano. In quei mesi le autorità egiziane fornirono elementi utili alle indagini sulla morte di Regeni

È vero che l’Egitto è un partner importante e complesso da maneggiare per l’Italia da diversi punti di vista. Economico innanzitutto, per le numerose aziende italiane che lavorano sul territorio, non solo l’Eni, e per le commesse militari come le due fregate recentemente vendute; ma anche per ciò che riguarda gli equilibri geopolitici e la stabilizzazione di tutta l’area del Mediterraneo, sia per quello che riguarda i migranti che il terrorismo.

Insomma l’Italia mantiene un basso profilo e toni dismessi nei confronti dell’autocrate egiziano, e nonostante i buoni propositi quest’ultimo non sembra intenzionato a cambiare strada, disvelando così un sistema di repressione dell’opposizione politica. Nel corso dell’ultima udienza Zaki ha avuto modo di parlare davanti ai giudici dei suoi studi, aggiungendo che «un bene per il Paese che uno dei suoi figli sia professore all’estero». All’Egitto evidentemente non importa; ma la vera domanda è: all’Italia importa dei suoi figli, dei suoi cittadini, naturali o acquisiti che siano? All’Italia importa di Giulio e di Patrick?


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