L’eredità politica e culturale di Pio La Torre

A quarant’anni dalla sua uccisione, ricordiamo Pio La Torre, sindacalista e politico siciliano. Esponente di spicco del PCI, legò il suo nome alla legge che introdusse il reato di associazione mafiosa e la confisca dei patrimoni. 


Nato nella borgata Altarello di Baida, il 24 dicembre 1927, Pio La Torre è il quarto di cinque figli, di una famiglia contadina. Nonostante non voglia seguire le orme del padre, prende parte a diversi moti di protesta e di occupazione delle terre, durante uno dei quali, a Bisacquino nel 1950, viene anche arrestato assieme a dei contadini nullatenenti. Uomo semplice e schivo, riesce a parlare un linguaggio diretto che arriva subito al cuore delle cose. La sua vita ha radici profonde nella terra e nella difesa di quella comunità di contadini siciliani che, a Portella della Ginestra e in tutta l’isola, reclamano il loro diritto al lavoro, alla terra, al futuro. Una terra, la Sicilia, che rappresenterà il suo faro costante nell’impegno sindacale e politico.

Nel 1952 La Torre viene eletto al consiglio comunale di Palermo e nel 1959 diventa segretario regionale della CGIL. Nel 1962 subentra a Emanuele Macaluso nel ruolo di segretario regionale del PCI. Quando, nel 1969, si trasferisce da Palermo a Roma, lo fa non per ambizioni di carriera, ma per portare avanti in maniera ancora più efficace la causa di quel movimento contadino che aveva difeso da sempre. Il 1972 è l’anno di svolta su scala nazionale, dato che viene eletto deputato alla Camera, nel collegio Sicilia occidentale.

Nel corso della sua lunga esperienza parlamentare, La Torre ricopre numerosi incarichi: componente della V Commissione (bilancio e partecipazioni statali), componente della Commissione parlamentare per l’esercizio dei poteri di controllo sulla programmazione e sull’attuazione degli interventi ordinari e straordinari nel Mezzogiorno, componente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, componente della XI Commissione (agricoltura e foreste), componente della VII Commissione (difesa).

Ancor prima che un siciliano, La Torre era un palermitano e comprendeva molto bene le dinamiche della città. Avendo studiato la legislazione sulle opere pubbliche, non gli erano sfuggite le inspiegabili fortune dei Gioia, dei Salvo, dei Matta, così come aveva assistito al famigerato sacco di Palermo, sotto le amministrazioni guidate da Salvo Lima e Vito Ciancimino. La sua profonda conoscenza del tessuto territoriale nonché la sua esperienza di sindacalista e politico, lo avevano convinto della necessità di un cambio radicale nelle strategie di contrasto al fenomeno mafioso. «La via della semplice repressione, che colpisce l’escrescenza, ma che non modifica l’humus economico, sociale e politico nel quale la mafia affonda le sue radici, non ha portato e non poteva portare a risultati definitivi», così nel 1976 scriveva nella relazione di minoranza per la Commissione d’inchiesta antimafia

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La legge Rognoni-La Torre 

Il 31 marzo 1980, La Torre presenta alla Camera, come primo firmatario, un disegno di legge per combattere le mafie e per sostenere i contesti territoriali: una definizione precisa di “associazione criminale di stampo mafioso”, che consentirà poi di istruire tutti i più importanti processi, e l’introduzione delle misure di prevenzione patrimoniali, che consentono di togliere tutto quello che è stato strumento o profitto di azioni illecite agli indiziati di appartenere a organizzazioni criminali di stampo mafioso. Alla formulazione tecnica della legge contribuirono anche i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, all’epoca in servizio presso la Procura della Repubblica di Palermo. 

Fino al 1982, per contrastare la mafia si faceva ricorso all’articolo 416 del codice penale, che puniva l’associazione per delinquere, ma tale fattispecie risultò ben presto inefficace di fronte alla vastità e alle dimensioni del fenomeno mafioso e alle sue manifestazioni tipiche. Tra le finalità perseguite dai soggetti uniti dal vincolo associativo vi erano anche quelle lecite e ciò costituiva un limite all’applicazione dello stesso articolo 416 del codice penale.  

L’articolo 1 della norma, ideata da La Torre, introdusse nel codice penale italiano l’articolo 416-bis, che delinea la fattispecie del reato dell’associazione di tipo mafioso e che così dispone al suo terzo comma: «l’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza dell’intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici, o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali».

La nuova fattispecie prevedeva l’individuazione dei mezzi e degli obiettivi in presenza dei quali ci si trovava di fronte a un’associazione di tipo mafioso. Il legislatore prendeva così atto della tipica manifestazione del fenomeno mafioso e ne definiva alcuni tratti specifici. I processi decisionali che portarono all’adozione della legge furono accelerati dagli omicidi dello stesso La Torre e del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, avvenuti entrambi nel 1982, a distanza di poco più di quattro mesi. Il 13 settembre 1982, con l’approvazione della legge n. 646, ribattezzata “Rognoni-La Torre”, il reato di associazione di tipo mafioso diventerà una fattispecie autonoma rispetto a quello di associazione per delinquere.

L’impegno per Comiso e la morte

Strenuo combattente della criminalità mafiosa sul piano politico e legislativo, La Torre si distinse anche sul fronte del pacifismo mondiale. La base per i missili Cruise della NATO, la cui costruzione all’aeroporto di Comiso era stata approvata dal Governo, avrebbe determinato, secondo lui, l’ingresso della mafia in una provincia, quella di Ragusa, ancora immune dalla sua presenza e dai suoi interessi. L’installazione della base missilistica avrebbe inoltre reso la Sicilia un vero e proprio avamposto nucleare americano nel Mediterraneo, provocando di fatto le minacce dei Paesi che si trovavano dall’altra parte del Canale di Sicilia, Libia in primis.

La Torre diventa il principale organizzatore di una primavera di mobilitazione e di pace, che tocca la sua punta più alta il 4 aprile 1982, nella manifestazione di Comiso, alla quale partecipano circa centomila persone. Le sue idee contagiano migliaia di siciliani, anche di opposte visioni politiche e spingono in poche settimane più di trecentomila persone a firmare la petizione per chiedere la sospensione della costruzione della base militare, così enunciata: «chiediamo al governo italiano di non dare inizio alla costruzione della base per i missili Cruise presso l’aeroporto di Comiso. Sospendendo la costruzione della base, l’Italia darà un contributo positivo alla riduzione progressiva degli armamenti nucleari, all’Ovest come all’Est, fino alla totale eliminazione, stimolando inoltre positivamente la trattativa di Ginevra». Rileggere queste parole oggi, a distanza di quarant’anni, stimola un’importante riflessione, soprattutto perché ci troviamo nel bel mezzo di un conflitto militare e di una corsa inquietante al riarmo globale. 

A distanza di poche settimane dalla manifestazione di Comiso, La Torre andò incontro al suo triste destino. Alle ore 09:20 del 30 aprile 1982, mentre stava raggiungendo la sede del partito, venne ucciso assieme al suo autista, Rosario Di Salvo. Quando la Fiat 131 si trovava in piazza Generale Turba, una moto di grossa cilindrata obbligò Di Salvo a frenare, quindi iniziarono le raffiche di proiettili; altri killer, scesi da un’auto, completarono l’omicidio. I funerali si svolsero in piazza Politeama e vi presero parte circa centomila persone, tra cui le massime autorità politiche: il presidente della Repubblica, Sandro Pertini, il presidente del Consiglio, Giovanni Spadolini e il segretario nazionale del PCI, Enrico Berlinguer. 

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L’eredità culturale 

Nel 1986 è stato fondato il Centro studi Pio La Torre, la cui missione è quella di valorizzare il patrimonio ideale e politico della sua opera, realizzando e promuovendo studi, iniziative e ricerche originali riguardanti aspetti e problemi della Sicilia contemporanea. Il Centro persegue i suoi fini statutari attraverso incontri pubblici, ricerche, pubblicazioni, momenti di studio e ogni attività che consenta il mantenimento della memoria.

In occasione di una conferenza per il quarantesimo anniversario dell’omicidio di piazza Turba, sono stati discussi i risultati di un’indagine sulla percezione del fenomeno mafioso tra i giovani, condotta dal Centro studi Pio La Torre. 

«Il progetto educativo antimafia, sostenuto dal ministero dell’Istruzione, ha coinvolto più di 600 scuole, registrando picchi di partecipazione alle singole videoconferenze, riconosciute dal ministero come lezioni di educazione civica, che hanno superato i 140 mila contatti unici – dice Vito Lo Monaco, presidente del Centro – Due anni di isolamento sociale e lezioni a distanza hanno generato un sentimento di sfiducia forte, ma anche una percezione maggiore da parte degli studenti della capacità camaleontica delle mafie, pronte a sfruttare i varchi aperti dalla crisi pandemica così come dall’aggressione della Russia contro l’Ucraina».

L’indagine si è basata su 1530 interviste, un campione non esaustivo, ma comunque indicativo di una realtà studentesca compresa tra i 14 e i 19 anni. Il 53,79 per cento degli intervistati ritiene che il rapporto mafia-politica sia “abbastanza forte” e, nel 31,31 per cento dei casi “molto forte”. La corruzione della classe dirigente è il fattore che più incide nella diffusione del fenomeno, sia al Nord (53,66 per cento) che in Sicilia (45,56 per cento); al secondo posto, per gli studenti dell’Isola, c’è la mentalità dei cittadini (35,62 per cento). “Educare i giovani alla legalità” è il primo passo che lo Stato dovrebbe compiere come azione di contrasto per il 24,38 per cento degli studenti, seguito dalla necessità di “colpire la mafia nei suoi interessi economici” per il 20,92 per cento, proprio come sosteneva Pio La Torre.

Interpellati poi sulla possibilità che la mafia possa essere definitivamente sconfitta, il 43,53 per cento risponde negativamente, ma alta è anche la percentuale di coloro che non rispondono, pari al 30,13 per cento. Se scetticismo e disincanto sembrano prevalere, si consolida, allo stesso tempo, la fiducia nei propri insegnanti, la categoria preferita per discutere di mafia (64,18 per cento), seguita a distanza dai familiari (28,37 per cento). Sul versante delle fonti di informazione, il primato spetta ai vari social network, con il 79,54 per cento delle preferenze, mentre soltanto il 2,22 per cento si documenta attraverso i quotidiani cartacei.

L’archivio personale di La Torre è conservato invece presso l’Istituto Gramsci di Palermo e comprende numerosi suoi scritti e discorsi, un’ampia documentazione sull’attività del PCI e di altri partiti, di organizzazioni sindacali e di associazioni operanti nel territorio e riguardante anche l’autonomia siciliana e la questione meridionale. 

«Esponente politico fortemente impegnato nella lotta alla criminalità organizzata di stampo mafioso, promotore della coraggiosa legge che ha determinato una innovativa strategia di contrasto alla mafia, mentre era a bordo di una vettura guidata da un collaboratore, veniva proditoriamente fatto oggetto di numerosi colpi di arma da fuoco da parte di sicari mafiosi, perdendo tragicamente la vita nel vile agguato. Fulgido esempio di elevatissime virtù civiche e di rigore morale fondato sui più alti valori sociali spinti fino all’estremo sacrificio»; Palermo, 30 aprile 1982. Queste le motivazioni che hanno portato al conferimento della Medaglia d’oro al merito civile per Pio La Torre.