Georgia, l’arresto di Saakashvili e le elezioni

L’ex Presidente georgiano Saakashvili è stato arrestato al suo ritorno in patria alla vigilia delle elezioni. Il partito di governo ottiene la vittoria.


Saakasvhili torna in patria. E si ritrova quasi immediatamente in manette. Ad attenderlo, l’esecuzione di una condanna in contumacia a oltre sei anni, emessa nel 2018 per fatti risalenti a cinque anni prima. 

L’annunciato ritorno di Misha avviene nel fatidico giorno che precede le elezioni amministrative dello scorso 2 ottobre, un voto di alta rilevanza politica i cui risultati avrebbero potuto delegittimare il governo di “Sogno georgiano” o consolidarne ulteriormente la presa sul Paese. Considerando il parametro indicato dal patto a firma europea di aprile, volto a porre fine allo stallo politico dovuto all’estrema polarizzazione dell’elettorato georgiano, che prevedeva lo scioglimento del Parlamento in caso di risultati inferiori al 43% per “Sogno georgiano”, il partito di Ivanishvili e compagni rimane saldamente al potere con risultati che si attestano attorno al 47%.

Nonostante il governo abbia difettato della fiducia tale da rimanere legato a questa scommessa elettorale, e si sia in luglio ritirato dall’accordo, la soglia rimane indicativa come termometro politico del Paese caucasico. 

Saakshvili si ripresenta in patria da condannato a conclusione di una stagione politica a dir poco difficile per Tbilisi. Sicuro di essere arrestato, Misha decide di lasciare la sua nuova patria ucraina e tornare in Georgia perché vuole “salvare il Paese”. E che esso necessiti di un “salvataggio” è fuor di dubbio; più incerto, invece, è l’esito di quest’azione un po’ folle e improntata, di base, a una concezione personalistica e agitazionista della pratica politica.

Uno stile che ha segnato gli anni d’oro dell’epoca saakashviliana ma che sembra aver perso ormai l’appeal sullo stanco popolo georgiano, che alle prese con i duri contraccolpi della pandemia non ha però rinunciato a scendere in piazza, in più occasioni, per manifestare tutte le proprie – varie – istanze.

Pochi, rispetto a tanti anni fa, i supporters di Saakashvili. Pochi i manifestanti fuori dal carcere di Rustavi, dove Misha è detenuto da ormai dieci giorni, poco il calore dimostrato da voci internazionali, fatta esclusione dell’Ucraina di cui Saakashvili è ormai cittadino e politico attivo. Un altro mondo rispetto ai Saaka boys che sospingevano il leader oltre il confine polacco, rompendo i cordoni doganali. Misha è in regime di isolamento, e non soltanto in termini di pena. 

Con un piglio tristemente familiare a noi italiani, Misha sorride mentre viene trascinato in manette alla detenzione. Lo abbiamo visto bere un ultimo bicchiere coi polsi già incatenati mentre veniva portato via dall’appartamento della capitale nel quale si era rifugiato. Forse un ultimo ripensamento in quel bicchiere, un’ultima nostalgia per chissà quale alba sul traghetto fumante che lo ha scarrozzato da una riva all’altra del Mar Nero, un’ultima libagione alla Libertà

Ma quale volontà, quale speranza, possono aver spinto quest’uomo all’ennesima, rischiosissima, avventura? Una questione di calcolo, o un’avventatezza megalomane? 

Saakashvili

Probabilmente entrambe le cose. Se, tornando, Misha fosse riuscito a spostare di quel tanto l’ago della bilancia a favore del partito da lui fondato – il Movimento Nazionale Unito, primo partito di opposizione, con il candidato sindaco a Tbilisi, Nika Melia, rilasciato a maggio dopo l’arresto di febbraio, sempre in seguito al succitato accordo a firma EU, e che ha perso davanti all’amato ex rossonero Kakha Kaladze – la legittimazione elettorale e i mutati equilibri avrebbero agevolato una sua anticipata scarcerazione, che avrebbe ulteriormente dimostrato l’alta politicizzazione del comparto giustizia georgiano, ma avrebbe consentito al navigato leader di tornare alla ribalta. 

Quello che, al contrario, ha ottenuto, è stato invece un secco “no”: al perdono presidenziale da parte della ex alleata Salome Zurabishvili, una sconfitta elettorale, un silenzio stampa quasi assoluto a livello internazionale e una partecipazione magra – rispetto alle aspettative – del popolo saakasvhiliano, le cui fila si sono ormai assottigliate. 

Così Misha in cella opta per lo sciopero della fame – una particolare tortura per lui – astinenza che l’amministrazione penitenziaria riferisce essere stata interrotta a otto giorni dal suo inizio, a colpi di succo di frutta e barattoli di miele (ne ha acquistati sette allo spaccio della prigione!). Miele che Misha mangia successivamente – da un punto di vista cronologico, ma verosimilmente non consequenziale –  alle esortazioni che il Patriarca Ilia II ha fatto pervenire per mezzo del proprio segretario Mikael Botkoveli a colloquio col celebre detenuto, definendo lo sciopero della fame una pratica “non cristiana”. 

Nonostante la stessa amministrazione penitenziaria abbia addotto la notizia quale prova del non esaurimento fisico dell’ex Presidente, tentando così di mettere il “ferro dietro la cella”, puntuale arriva la dichiarazione del medico di Misha, che ritiene il proprio paziente provato e necessitante di cure. 

Che quella a sfondo sanitario sia la exit strategy già prevista da Misha, è incerto. É possibile che sia un calcolo ben ponderato, che Misha ritenga di poter evadere da un’eventuale struttura sanitaria, con qualche azione rocambolesca alla quale ci ha già abituati. È possibile che sia certo di avere sodali forti abbastanza da poterlo infine far scappare da una situazione drammatica nella quale si è tuffato consciamente e volontariamente a fini politici, sperando di poterla poi interrompere a proprio piacimento. 

Oppure, Misha ha agito sull’onda delle emozioni, offuscato da ricordi di una Georgia “delle rose” che decisamente non lo ama più, che non gli perdona gli eccessi di fine mandato, che lo disconosce e che non vuole più andare avanti a scossoni e cambiamenti repentini. Una Georgia sopita il cui popolo è ormai disilluso rispetto alle aspirazioni europee, progressiste, atlantiste, che il Saakashvilismo incarnava. Un messianismo che risulta ormai cinicamente ridicolo rispetto ai problemi reali del Paese, a cui non vi è magica panacea o leader carismatico in grado di porre rimedio. 

Dunque, Misha potrebbe restare lì, scontare la sua pena, aggiungendo ad essa, per giunta, mesi e capi d’imputazione se, come il Primo Ministro Gharibashvili ha minacciato, non dovesse “comportarsi bene”. 

Forse Misha non vorrà neanche più mangiare miele, e la sua stella sarà offuscata definitivamente nella solitudine di una galera di provincia; e allora sapremo che la Georgia avrà davvero cambiato stile, e sarà diventata una qualunque repubblica ex sovietica che ha smesso di sognare, con istituzioni deboli e l’oligarchia al potere. 

Intanto, sul Mar Nero, nella Batumi simbolo dell’epoca saakashviliana, con le sue costruzioni moderne ed esagerate volute dall’ex Presidente, il sinistro presagio di un palazzo che crolla, uccidendo nove persone, fra adulti e bambini. Se anche l’epopea di Saakashvili si ridurrà a soltanto un cumulo di macerie, questo lo vedremo nel mesi a venire.


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