Fenomeno Måneskin, tutto tranne che un prodotto costruito ad arte

Dalle esibizioni per strada al podio di Eurovision 2021, i Måneskin, il gruppo rock di Roma, hanno trionfato in ogni dove sfidando pregiudizi e resistenze di una società (di boomer) destinata a cambiare.


«Essere quello che si vuole, questo è il nostro comandamento. Stiamo vivendo anni a livello musicale in cui sembrano essere privilegiati i progetti singoli, non i gruppi. Per questo la vittoria al festival di Sanremo  con un brano rock e in una formazione di quattro elementi, per noi, vale doppio». Si esprime così Damiano dei Måneskin all’indomani della vittoria del Festival, una vittoria che senza saperlo da Via del Corso, passando per X Factor li avrebbe portati sul gradino più alto del podio all’Eurovision 2021.

I Måneskin  ancora una volta sbaragliano tutti, battendo la Francia come l’Italia ai Mondiali del 2006 e riportano “a casa” un premio europeo che mancava da ben 31 anni. «Sono fuori di testa», i Måneskin, come cantano nel brano Zitti e buoni, fuori di testa «ma diversi da loro», diversi da chi li vorrebbe omologati a una società che, da ventenni, non possono fare a meno di osservare, giudicare e forse in parte criticare.

«Rock will never die»

Per Damiano, Victoria, Thomas ed Ethan, conosciutisi al liceo “Kennedy” di Roma, la popolarità è esplosa in maniera travolgente e inaspettata. «Scusami ma non ci credo tanto che posso fare questo salto e anche se la strada è in salita per questo ora mi sto allenando» continua così il testo della loro hit di successo, una hit che ha fatto il giro del continente arrivando perfino in Russia, a sottolineare con queste parole l’impegno e la fatica di chi partendo dal basso riesce, nonostante tutto, a realizzare i propri sogni.

Zitti e buoni parla al cuore delle persone e lo ha fatto senza compromessi. Questa sincerità è stata capita e apprezzata dal pubblico che con il benestare di artisti italiani e internazionali del calibro di Vasco Rossi e Little Steven (chitarrista di Bruce Springsteen) ha consacrato i Måneskin paladini di un rock italiano finalmente tornato alla ribalta, finalmente uscito da un eterno complesso di inferiorità a cui era stato condannato.

Al 17esimo posto nelle classifiche inglesi, la band romana, il cui nome viene dalla Danimarca e significa “al chiaro di Luna” non ha paura di spaccare, di sovvertire (talvolta tra le righe e persino a suon di censure) l’ordine costituito, ma lo fa gridando al mondo ciò che pensa e ciò che sente soprattutto.

A dispetto di chi li considera artefatti, costruiti,  a tratti eccessivi nonché un prodotto perfetto dell’industria discografica, nella loro musica non traspare alcuna “presa a male” o disagio esistenziale disturbante. La loro è una fotografia autentica della realtà nuda e cruda, senza filtri; liberi, ribelli e appassionati, sono figli di questo tempo, sono loro la Next EU generation di cui si è tanto parlato nell’ultimo anno.

Insomma niente trucchi (se non sul volto) per i Måneskin, niente inganni e retroscena, solo rock, basso, chitarra e batteria, e come ha sarcasticamente ironizzato Lundini, che li ha intervistati nel suo programma qualche settimana fa: «Meno male che c’è pure una donna con voi che suona, bravi, bravi, bravi… e tra l’altro suona bene come un uomo!». O forse anche meglio si potrebbe aggiungere.

Måneskin, rock anti-boomer

Eppure i Måneskin non a tutti piacciono: c’è chi non li capisce, non capisce il loro linguaggio né le loro intenzioni, chi ne prende le distanze, chi non apprezza il modo con cui si differenziano dal resto, dalle masse. Il loro rock sembra dividere più che unire, quasi a voler tracciare una linea di demarcazione oramai sempre più netta, tra due o più generazioni, in particolare tra i Boomer (i nati fra il ’46 e il ’64) e Millenial (nati fra l’81 e il ’96). 

Ciò che i Millenial apprezzano dei Måneskin è proprio ciò che li rende insopportabili ai Boomer: la loro capacità di parlare fuori dai denti, senza peraltro fare uso di droghe, come dichiarato dallo stesso frontman. Il loro look all’Achille Lauro che dissacra e provoca, il riferimento più o meno evidente al gender fluid, la totale assenza di timore reverenziale, l’uso sfacciato di parolacce e termini poco convenzionali, tutto questo e molto altro fa storcere naso e bocca agli “ascoltatori del passato”. 

Si consuma, così, anche in questo ambito lo scontro annoso tra il vecchio e il nuovo, tra l’ipse dixit aristotelico, il “si è sempre fatto o detto così” e “il proviamo a fare in un’altra maniera”, “tentiamo nuovi approcci”, nuove modalità di dialogo e di comunicazione. In sintesi, due universi paralleli a confronto, tradizione e innovazione, padri e figli che confliggono senza soluzione alcuna.

I Måneskin non sono vittime di tale scontro, ne sono piuttosto portabandiera, portabandiera di un contraddittorio volto a far emergere le crepe di un sistema superato che necessita, per forza di cose, di cambiare pelle e riformarsi dal di dentro, perché zitti e buoni non si può più stare, né tanto meno più ci conviene. Ad maiora, ragazzi.