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La Superlega e la settimana che (non) ha rivoluzionato il calcio

Dai comunicati ufficiali nella notte di domenica scorsa alle proteste dei tifosi, il progetto della Superlega è morto ancor prima di nascere. La guerra tra i top club e l’UEFA ha incendiato il mondo del calcio, dilaniato tra interessi economici e valori identitari.


«Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro». Queste le parole con le quali negli anni settanta Pier Paolo Pasolini definiva lo sport più noto e popolare. Durante l’ultima – tribolata – settimana, molti appassionati di calcio avranno probabilmente rivalutato il senso profondo di quel messaggio, quasi a volerlo attualizzare al cospetto degli eventi. A distanza di qualche giorno, con la tempesta placata ma non del tutto sopita, proviamo a fare chiarezza sulla settimana che stava per rivoluzionare il mondo del pallone. 

Domenica 18 aprile, nelle ore pomeridiane, si susseguono con insistenza le voci sull’imminente lancio della Superlega, una nuova competizione calcistica europea. Il progetto, della cui ideazione si parla da diversi anni, diventa “concreto” nella notte, quando tramite comunicati ufficiali ne vengono resi noti i dettagli di natura sportiva ed economica. 

I club fondatori della Superlega sono, in rigoroso ordine alfabetico: AC Milan, Arsenal FC, Atletico Madrid, Chelsea FC, FC Barcellona, FC Internazionale Milano, Juventus FC, Liverpool FC, Manchester City, Manchester United, Real Madrid CF e Tottenham Hotspur. A queste dodici si aggiungeranno altre tre squadre per un nucleo composto da massimo quindici membri fondatori permanenti; in ogni stagione sportiva sarà possibile poi “ammettere” altre cinque squadre, per un totale di venti club. 

L’obiettivo dichiarato è quello di superare l’odierno schema del calcio europeo e migliorare la qualità e l’intensità delle attuali competizioni, creando un formato che consenta ai top club e ai loro giocatori di affrontarsi regolarmente. La Superlega sarà organizzata e gestita da una società partecipata da ciascun club in egual misura per un investimento iniziale di due milioni di euro. All’avvio effettivo della manifestazione e, in seguito, alla commercializzazione dei suoi diritti audiovisivi, è previsto che i club fondatori della Superlega ricevano un contributo pari a tre miliardi e mezzo di euro, da ripartire in base al loro numero definitivo. 

Le primissime reazioni del governo del calcio europeo sono durissime, con la ferma opposizione al progetto da parte di Aleksander Ceferin, presidente dell’UEFA. Le ventiquattro ore successive sono frenetiche e vengono scandite da un tumulto di dichiarazioni, prese di posizioni e proteste vibranti. Il mondo del calcio si ritrova così dilaniato tra interessi economici (società quotate in borsa, bilanci in dissesto, contratti milionari) e valori identitari (passione, divertimento, merito sportivo). 

Il progetto della Superlega appare una sorta di rivoluzione copernicana e la sua portata è talmente dirompente da diventare la prima notizia nel palinsesto di ogni telegiornale, scavalcando il quotidiano aggiornamento sulla situazione epidemiologica. Anche il variegato mondo dei social viene letteralmente invaso da commenti, post e meme sul tema. Tifosi delle squadre blasonate e tifosi delle squadre cosiddette “provinciali”, esperti o sedicenti tali del movimento pallonaro, opinionisti di lunga data o neofiti della materia calcistica: tutti si arrogano il diritto di esprimersi in favore o contro la Superlega. 

Martedì 20 è la giornata decisiva per le sorti del progetto. Le minacce da parte dell’UEFA e della FIFA nei confronti dei dodici club fondatori vanno dall’esclusione dai campionati e dalle coppe europee fino alla mancata convocazione nelle rispettive nazionali per i loro giocatori. Tradotto in maniera più diretta: Serie A senza Juventus, Milan e Inter, Liga senza Real Madrid e Barcellona, Premier League senza Liverpool e Manchester United, ma anche Euro 2021 senza Cristiano Ronaldo, Lukaku, Mbappé e le altre stelle del firmamento calcistico europeo. 

Il castello di certezze costruito dal presidente del Real Madrid, Florentino Pérez, e dal presidente della Juventus, Andrea Agnelli (fautori principali dell’iniziativa), crolla nel pomeriggio di fronte alla clamorosa retromarcia delle squadre inglesi. 

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La forte contrarietà del premier britannico Boris Johnson, le contestazioni vigorose delle tifoserie di Liverpool e Chelsea e le dichiarazioni dell’allenatore del Manchester City, Pep Guardiola, secondo cui «lo sport non è sport se non c’è rapporto tra fatica e risultato, se la vittoria è garantita e la sconfitta non conta», spingono uno dopo l’altro i sei club della Premier League a sfilarsi dalla Superlega. 

Joan Laporta, presidente del Barcellona, fa un passo laterale, vincolando la partecipazione del club catalano alla Superlega al parere dell’assemblea dei soci. In tarda serata, anche l’Atletico Madrid e l’Inter lasciano intendere di non voler proseguire. Nella giornata di mercoledì 21 sono gli stessi Pérez e Agnelli a certificare di fatto l’impossibilità di dare attuazione a quelle che dovevano essere le tappe evolutive del progetto Superlega. Entrambi i dirigenti rivendicano comunque i principi dell’iniziativa e la sua necessità per salvare i top club dal fallimento e garantire un futuro all’intero movimento calcistico mondiale. 

L’UEFA, che nel frattempo ha presentato il nuovo format della Champions League con l’allargamento da 32 a 36 squadre, è chiamata a valutare eventuali sanzioni nei confronti dei dodici club, protagonisti del tentativo di scissione. Sebbene il braccio di ferro sia continuato nei giorni seguenti, le posizioni dei due schieramenti si sono orientate sempre di più verso il dialogo e il compromesso. 

Quello che sembrava prospettarsi (e per certi aspetti lo era) come un progetto rivoluzionario, ha finito per sgonfiarsi in sole 48 ore, ma la sensazione è che gli strascichi e le tensioni si protrarranno ancora a lungo, a livello dei tornei nazionali (Serie A, Liga e Premier) e soprattutto a livello continentale. La conclusione di questa stagione è fuori pericolo, con i vari campionati giunti alle ultime giornate e con ben cinque tra le dodici squadre protagoniste dello strappo che saranno impegnate nelle semifinali di Champions League (Real Madrid, Chelsea e Manchester City) e di Europa League (Manchester United e Arsenal). 

Probabilmente il calcio di oggi non può considerarsi più una rappresentazione sacra, come sosteneva Pasolini, e  la vicenda della Superlega sarebbe da analizzare più dal punto di vista economico che da quello sportivo. Non dovrebbero esserci ritorsioni sui club né da parte dell’UEFA né da parte della FIFA, ma la diffidenza reciproca sarà inevitabile quando ci si dovrà nuovamente confrontare per ridefinire gli equilibri e gli schemi del calcio europeo. 

La settimana che non ha rivoluzionato il calcio può comunque essere paragonata a un violento terremoto, del quale adesso si dovranno osservare le scosse di assestamento.