Minari, uno struggente racconto ottimista

Minari di Lee Isaac-Chung, candidato a sei Oscar, riconferma l’autenticità del cinema sudcoreano. Resta tra le pellicole più attese del 2021 e inaugura, in Italia, la riapertura dei cinema.


Domenica 25 aprile si terrà la 93esima edizione degli Academy Awards, più comunemente conosciuta come premiazione degli Oscar. Quest’anno, nel rispetto delle norme anti-covid, la premiazione subirà delle modifiche organizzative, tali da permettere di presentare comunque un suggestivo evento in piena sicurezza.

Tra i nomi dei candidati all’ambita statuetta riecheggia, anche quest’anno e in diverse categorie, un nome: il regista americano di origini sudcoreane Lee Isaac-Chung. La sua pellicola Minari, prodotta da Brad Pitt, ha suscitato parecchio interesse, tanto da aver già portato a casa – per citare i più importanti – un Golden Globe come miglior film straniero, il premio BAFTA (British Academy of Film and Television Arts) come miglior film in lingua straniera e un SAG Awards (Screen Actors Guild Award) conferito a Yoon Yeo-Jeong come migliore attrice non protagonista. 

minari copertina

Per i vicini Oscar, il cast di Minari ha ricevuto 6 nomination (categorie: miglior film, miglior regista, miglior attore protagonista, migliore attrice non protagonista, miglior colonna sonora originale, migliore sceneggiatura originale).

La rivincita del cinema coreano è inarrestabile. Dal successo di Parasite di Bong Joon-Ho a oggi, la riscoperta di molte pellicole e registi sudcoreani, rimasti ingiustamente in ombra, sta conoscendo un periodo d’oro di cui non vorremmo più farne a meno.

Minari è un film in parte introspettivo, che racconta le difficoltà di tutta una generazione, ancora oggi ravvisabile, che decide di abbandonare il proprio Paese di origine per trasferirsi –  in questo caso in America – in cerca di prospettive migliori. 

La vicenda è ambientata negli anni ‘80, durante il reaganismo: Jacob (Yeun Sang-Yeop) e Monica (Han Ye-Ri), abbandonata la Corea del Sud e trasferitisi in California, decidono insieme ai due figli, Anne e David, di lasciare la città per costruire una fattoria nelle campagne dell’Arkansas. Il sogno dell’uomo è quello di emanciparsi e di riuscire, con il sacrificio e il duro lavoro, a coltivare prodotti legati alla tradizione coreana per venderli agli imprenditori connazionali residenti nelle grandi città, che difficilmente riuscirebbero a reperire nel mercato americano. 

La nuova vita spaventa, però, in particolare Monica che, preoccupata per la salute e il futuro dei figli, spesso si ritrova in lotta col marito. Per riuscire a tenere la famiglia unita e riequilibrare la situazione, Jacob accetta il trasferimento della suocera, Sonnja (Yoon Yeo-Jeong), una donna fortemente legata alle proprie tradizioni e con un modo di fare tipicamente in contrasto con la peculiare figura della nonna occidentale. Il legame, tutto da costruire, tra la donna e i nipoti è uno dei passaggi più toccanti della pellicola.

Ciò che rende Minari particolarmente apprezzabile e meritevole di riconoscimento è l’intreccio continuo tra le due culture, così apparentemente distanti. Il contrasto tra i due mondi, quello americano e quello coreano, e il difficile modo di adattarsi alle contraddizione americane, senza mai abbandonare le abitudini tipiche della propria cultura, rendono Minari un film di formazione e che ci permette di riflettere su alcuni temi cari alla cultura coreana – ma non per questo lontani da noi – e facilmente riconoscibili, quali i legami familiari, il cibo, la lingua, il lavoro, gli stereotipi. 

Basti pensare al titolo della pellicola: il «minari» coreano altro non è che un tipo di prezzemolo dal gusto simile al finocchietto, conosciuto anche come Oenanthe Javanica o prezzemolo selvatico giapponese, che cresce in Asia, ma trovabile anche in altre parti del mondo. Nella cucina coreana viene utilizzato per insaporire piatti tipici come il kimchi, le zuppe, lo stufato, ed è soprattutto un prodotto accessibile a tutti, ricchi e poveri. 

Minari è una bellissima metafora: i semi, se piantati in un ambiente confortevole, fanno germogliare radici robuste che favoriscono la sua crescita rigogliosa in un’area estesa, restando verde tutto l’anno, anche in inverno, nella stagione più fredda.  La pellicola meriterebbe l’Oscar in almeno un paio delle categorie in cui è stato nominato. Il film sarà nelle sale italiane a partire dal 26 aprile, giorno della riapertura dei cinema dopo lo stop forzato dalla pandemia. L’augurio è che al cinema coreano venga riconosciuto quanto gli spetta, al di là della moda che sta impazzando al momento.