corte costituzionale tedesca

La Corte Costituzionale tedesca blocca il Next Generation EU

Il 26 marzo scorso la Corte Costituzionale tedesca ha sospeso l’iter di approvazione della legge di ratifica della Decisione sulle risorse proprie dell’UE.


La Corte Costituzionale tedesca (Bundesverfassungsgericht o BVerfG) ha da sempre svolto un ruolo significativo nell’ambito del processo di integrazione europea e con riferimento agli strumenti predisposti, a livello comunitario, per fronteggiare le crisi economico-finanziarie. Già a partire dalla Grande Recessione e dalla conseguente crisi dei debiti sovrani, i giudici di Karlsruhe avevano mosso delle critiche sul funzionamento del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), considerando il negoziato politico che determinava l’erogazione delle risorse in favore degli Stati richiedenti non conforme al principio di democrazia, stante il coinvolgimento dei soli esecutivi statali e l’esclusione dei Parlamenti nazionali.

Nei mesi caratterizzati dal fenomeno epidemiologico del Coronavirus (SARS-CoV-2 o COVID-19), la Corte Costituzionale tedesca ha destato particolare scalpore a seguito della propria sentenza del 5 Maggio 2020, con cui è stata dichiarata l’illegittimità del Public Sector Purchase Programme (PSPP) della Banca Centrale Europea (BCE), per violazione del principio di proporzionalità sancito all’art. 5 del Trattato sull’Unione Europea (TUE). 

In quell’occasione, il provvedimento giurisdizionale dei giudici di Karlsruhe costituiva l’ultima fase di un acceso dibattito tra il Bundesverfassungsgericht e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) riguardante il PSPP, il programma per l’acquisto di titoli emessi da governi, agenzie pubbliche e Istituzioni internazionali situate nell’Eurozona, rientrante nella più ampia strategia nota come Quantitative Easing (QE) e volto a promuovere la liquidità degli Stati membri dell’Unione Europea (UE) maggiormente colpiti dalle crisi e a garantire la stabilità finanziaria dell’Eurosistema.

Il 26 marzo scorso, la Corte Costituzionale tedesca ha determinato una forte battuta d’arresto all’attivazione del Next Generation EU (NGEU o Recovery Fund), il piano per la ripresa e la resilienza da 750 miliardi di euro – predisposto in seno alla riunione straordinaria del Consiglio europeo del 17-21 luglio 2020 – volto ad attenuare gli effetti socio-economici derivanti dall’emergenza pandemica. Nello specifico, il  Bundesverfassungsgericht ha sospeso l’iter di approvazione della legge di ratifica della Decisione sulle risorse proprie dell’UE, con una risoluzione intervenuta a seguito del ricorso urgente presentato dall’economista e fondatore dell’AfD, Bernd Lucke.

La sospensione è arrivata lo stesso giorno in cui il Bundesrat – ossia l’organo legislativo tedesco che rappresenta gli Stati federati – ha espresso il proprio consenso alla partecipazione della Germania al NGEU, approvando definitivamente la legge di ratifica della Decisione sulle risorse proprie dell’UE. Sebbene anche il Parlamento federale tedesco (Bundestag) abbia concesso il proprio via libera, l’iter di approvazione poc’anzi menzionato riprenderà il suo corso solo quando il Bundesverfassungsgericht si pronuncerà sul ricorso relativo al Recovery Fund, consentendo in tal senso al Presidente federale, Frank-Walter Steinmeier, di firmare la legge di ratifica. 

In tale ottica, la critica mossa da Bernd Lucke concerne la possibile incapacità, da parte di alcuni Stati membri, di ripagare la rispettiva quota di debito, con il conseguente rischio che questo finisca a carico degli altri Paesi UE.

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Il periodo di stasi determinato dalla sospensione potrebbe avere degli effetti notevoli sull’intera procedura di attivazione del NGEU, poiché la Commissione europea potrà procedere alla raccolta dei fondi sui mercati dei capitali e al loro sblocco solo se la Decisione sulle risorse proprie dell’UE verrà ratificata da tutti i 27 Parlamenti nazionali degli Stati membri. Per comprendere l’importanza di tale processo, appare necessario analizzare il quadro normativo di riferimento che ne disciplina il funzionamento.

Il sistema delle risorse proprie dell’UE è stato uno dei nodi cruciali che hanno caratterizzano – insieme al rispetto dello Stato di diritto e ai tagli al Quadro Finanziario Pluriennale (QFP o Bilancio a lungo termine europeo) 2021-2027 – il difficile negoziato tra Consiglio europeo ed Europarlamento sul Recovery Fund. Le risorse proprie – intendendosi con tale espressione il novero delle fonti di entrata che alimentano e costituiscono il QFP – trovano il loro fondamento giuridico agli artt. 311 e 322 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).

Con specifico riguardo alla prima disposizione, viene previsto lo stretto legame tra gli obiettivi e le politiche dell’UE e i «mezzi necessari» alla loro realizzazione, da conseguirsi attraverso il finanziamento integrale del bilancio a lungo termine europeo tramite fonti di entrata proprie dell’Unione. A tale scopo, viene sancita un’apposita procedura legislativa speciale che consente al Consiglio dell’UE – che riunisce i ministri degli Stati membri identificati per materia – di adottare, consultato l’Europarlamento, «una decisione che stabilisce le disposizioni relative al sistema delle risorse proprie», nell’ambito della quale possono essere introdotte o eliminate le categorie di fonti di entrata eventualmente individuate.

Per quanto concerne, invece, l’art. 322 del TFUE, viene riconosciuto al Consiglio tanto il potere di identificare le modalità e la procedura tramite cui «le entrate di bilancio previste dal regime delle risorse proprie dell’Unione sono messe a disposizione della Commissione», quanto quello di stabilire «le misure da applicare per far fronte eventualmente alle esigenze di tesoreria». 

Si tratta di facoltà il cui esercizio richiede la consultazione preliminare dell’Europarlamento e della Corte dei conti, con il Consiglio che è chiamato a deliberare in merito ad esse su proposta della Commissione stessa. Il sistema in discussione, oltre a garantire un’autonomia finanziaria all’UE, è stato modificato in passato al fine di correggere gli squilibri di bilancio tra i contributi degli Stati membri. 

In origine, nell’ambito della Comunità Economica Europea (CEE), tali contributi rappresentavano delle adempienze obbligatorie stabilite annualmente sulla base di un criterio di ripartizione che determinava un meccanismo potenzialmente instabile, sebbene concepito come transitorio dallo stesso Trattato istitutivo. In quel contesto, i rapporti tra i Paesi UE erano fortemente condizionati da divergenze legate alla circostanza secondo la quale le uscite della CEE erano destinate in misura prevalente all’attuazione della politica agricola comune. 

Nello specifico, tale settore riscontrava un interesse disomogeneo tra gli Stati membri e i relativi costi creavano uno sbilanciamento in negativo tra i contributi dei Paesi nordici e i relativi ritorni in termini di sovvenzioni. Per questa ragione, cominciarono a essere introdotti particolari meccanismi di correzione – come quello previsto, nel 1984, in favore del Regno Unito – a beneficio di quegli Stati che presentavano «un onere di bilancio eccessivo rispetto alla propria prosperità relativa».

Il regime delle fonti di entrata proprie comunitarie è strettamente collegato, inoltre, alla natura del QFP, il quale – a differenza di quanto accade a livello nazionale – è un bilancio di investimenti che non può operare in deficit: ciò consegue da quanto disposto dall’art. 310 del TFUE, secondo cui le attività e le passività di ogni esercizio «devono risultare in pareggio» e le spese derivanti dagli atti che l’UE adotta – e che possono incidere in misura rilevante sul QFP – devono essere finanziate «entro i limiti delle risorse proprie dell’Unione», secondo un principio di sana gestione finanziaria.

Quanto precisato è utile a comprendere la rilevanza dell’introduzione di nuove fonti di entrata per potenziare il perseguimento e la realizzazione delle politiche e degli obiettivi comunitari, con strumenti in grado di aumentare la resilienza e la solidità finanziaria delle economie degli Stati membri durante i periodi di crisi, come quello attuale. A tal riguardo, l’Europarlamento e il Consiglio dell’UE hanno concordato, negli scorsi mesi, una tabella di marcia che prevede l’introduzione di nuove risorse proprie, tra cui Plastic Tax e Digital Tax.

Muovendo da quanto detto, ben si comprende l’importanza della ratifica della Decisione di cui si discute da parte dei Parlamenti nazionali, senza la quale la Commissione europea non sarebbe autorizzata a raccogliere i capitali previsti dal NGEU. Durante l’operazione, infatti, tale Istituzione europea agirebbe in nome e per conto dell’UE, con la conseguenza che le eventuali risorse raccolte figurerebbero quali fonti di entrata dell’Unione Europea. 

Il Recovery Fund rappresenta un’occasione fondamentale per dimostrare quell’unione politica tra gli Stati membri troppo spesso assente nelle precedenti crisi e soggetta al perseguimento di logiche nazionali. Eventuali ritardi nell’attuazione del piano implicherebbero delle gravi conseguenze socio-economiche non solo per la ripresa dei singoli Paesi coinvolti, ma anche per la resilienza dell’UE generalmente considerata.


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