Chernobyl e il Dark Tourism: visita guidata alla città fantasma

Sono passati 35 anni dal più grande disastro nucleare della storia. Oggi il sito di Chernobyl e la cittadina fantasma di Pripyat sono mete ambite di un turismo davvero particolare: il turismo nero, o meglio il Dark Tourism.


Era il 26 aprile 1986, ore 1:23. Questa la data del disastro nucleare più grande della storia, presso la centrale nucleare di Chernobyl. Errore umano o incidente fatale, l’unica cosa certa è il dramma che ne conseguì: il tempo perso nel dichiarare la gravità della situazione alla popolazione, le migliaia di vite umane spezzate dalle ustioni letali e dai tumori che ne conseguirono. Un’intera città, quella di Pripyat, spostata e strappata dalle proprie case e alla propria vita. Forse è arrivato dopo il momento peggiore: quando si è compreso davvero che quel disastro avrebbe avuto delle ripercussioni gravi sull’ambiente e sul futuro.

La pericolosa nube tossica ha attraversato l’Europa colpendo inevitabilmente anche l’Italia, che a inizio maggio 1986 prese dei provvedimenti proibendo per due settimane il consumo di verdure a foglia larga (sulle quali in prevalenza si depositava l’inquinamento radioattivo) e, per i bambini fino a dieci anni e le donne in stato di gravidanza, il consumo esclusivo di latte fresco. Intanto, dall’altra parte dell’Europa, da quel momento, Pripyat divenne una città fantasma.

Chernobyl dark tourism

Il dramma di Chernobyl, fonte di guadagno

Dal 2011 qualcosa cambia. Il mondo intero non ha mai dimenticato il disastro nucleare di Chernobyl, e molti curiosi si sono spesso avventurati nella città fantasma di Pripyat. Voglia di avventura o voglia di verità, sta di fatto che l’Ucraina istituisce delle organizzazioni ufficiali per delle visite guidate al luogo del disastro e al reattore 4. Il tour di Chernobyl è diventata una piccola macchina di soldi, colmo di vari gadget e caramelle fluorescenti. Il costo della visita, dalla durata di circa quattro ore, oscilla dai 400 dollari a persona ai 160 dollari se in gruppo. Alcune società private si occupano della visita. “Chernobyl Tour”, è una di queste.

Dunque un vero tour dell’orrore durante il quale i pulmini, che allora evacuarono la città, adesso tornano carichi di turisti in visita alle macerie di un disastro, diventando scenografie di grotteschi selfie a suon di rilevatori di radioattività. Per i più temerari eventualmente esistono tour personalizzati, anche di più giorni. Vengono accolti in una foresteria nella città di Chernobyl costruita all’epoca per scienziati, giornalisti e fotografi e rinnovata ultimamente per i turisti, con alloggi di buon livello e un ottimo ristorante dove servono tre abbondanti pasti al giorno. Tutto questo per vivere appieno – ma con le comodità di un turista – l’intensità dell’esperienza da “fine del mondo”.

«La dose di radiazione letale è di 150 roentgen e quel terribile giorno le persone vennero esposte a 2000 roengton: una enorme quantità di radiazioni del quale loro non sapevano nulla». E queste sono alcune delle tipiche informazioni che la guida del tour racconta ai partecipanti.

Molti avventori fanno parte delle nuove generazioni, che magari hanno scoperto la vicenda guardando la serie tv Chernobyl. Secondo i dati, da quando la HBO ha messo in onda la serie, il numero dei visitatori è aumentato: da 70.000 visite l’anno, si è passati a 100.000 dopo l’uscita in televisione.

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Le regole del Chernobyl tour

Ovviamente questo tour non è una normalissima visita ai giardinetti. Ci sono dunque delle regole ben precise da rispettare, soprattutto per salvaguardare la propria salute. Una delle prime è quella di non toccare per nessun motivo il terreno: sono presenti ancora molte zone calde dove il cesio radioattivo si è depositato lentamente negli strati del sottosuolo, dove oggi è presente in concentrazioni maggiori rispetto alla superficie. Ovviamente è proibito accendere un fuoco o fumare una sigaretta. 

Il pericolo maggiore sono le strutture pericolanti. Molti avventori corrompendo le guide con delle mance, riescono a farsi portare nel palazzi abbandonati, ma a loro rischio e pericolo. Bisogna indossare indumenti a maniche lunghe e gambe coperte. Inoltre viene anche fornito un dosimetro, un contatore Geiger portatile che avverte della radioattività, emettendo suoni quando si giunge a una soglia di rischio.

Alcuni comportamenti goliardici e balordi hanno anche spinto Craig Mazin, creatore della serie tv Chernobyl, a prendere le distanze con un tweet: «È meraviglioso che #ChernobylHbo abbia ispirato un’ondata di turismo nella Zona di esclusione. Ma sì, ho visto le foto che circolano. Se la visitate, per favore ricordate che c’è stata una terribile tragedia. Comportatevi con rispetto per tutti coloro che hanno sofferto e che si sono sacrificati».

Per quanto riguarda le radiazioni, durante la visita si assorbono circa 2 microsievert all’ora, ovvero più o meno quanto un viaggio in aereo, essendo appunto un’esposizione limitata. Ma a differenza dei pochi cittadini rimasti nella zona, che hanno ormai sviluppato una grande resistenza agli effetti delle radiazioni, la guida avverte che alla fine della visita non è raro che si possano avvertire mal di testa o dolori allo stomaco.

Il paese dei balocchi per la categoria dei Dark Tourist

Ma chi sono queste persone che alle grandi città d’arte preferiscono le macerie di una tragedia? Si definiscono una categoria annoiata dalla solita modalità di turismo. Sono persone curiose che cercano il brivido del pericolo, o alcuni sono alla ricerca di una verità che troverebbero – secondo loro – solo andando personalmente in questi luoghi. Molti di loro sono fotografi e filmmaker spinti dalla creatività.

E poi ci sono i figli della strage: i cosiddetti Stalker. Gli Stalker sono giovani cittadini locali che entrano illegalmente nella Dead Zone – la cosiddetta zona di alienazione, in vigore ancora oggi – soggiornando nelle case abbandonate e passando intere giornate fra le macerie e le radiazioni: figli di una generazione colpita duramente da questo incidente, trascorrono il tempo a Chernobyl per trovare la pace e recuperare il totale controllo del proprio destino.

Il fenomeno del Dark Tourism

Il Dark Tourism si è sviluppato negli ultimi dieci anni e addirittura nel Regno Unito esiste un istituto di ricerca specializzato sul tema, l’Institute for Dark Tourism presso l’Università del Central Lancashire. Questo evidenza come il tema non sia affatto da sottovalutare, oltre al fatto che questo trend abbia implicazioni che hanno a che fare con aspetti sociali e antropologici.

Il fenomeno ha sicuramente trovato terreno fertile grazie ai mezzi di comunicazione che hanno allargato il campo. La grande facilità di reperire informazioni e vedere immagini di luoghi speciali, ha intensificato la voglia di vederli dal vivo ma, soprattutto, lo spirito è quello che concerne la prassi dei social: la mania di condividere e cercare approvazione mostrando sempre qualcosa di più interessante o particolare rispetto agli altri. Condividendo immagini di disastri o selfie in una scena di un incidente, o peggio di un crimine, diamo spazio a un bisogno di riconoscimento da parte del gruppo. Si mostra così una foto di qualcosa di macabro per ottenere l’attenzione del gruppo. 

Questo atteggiamento sposa in pieno la riflessione di Zygmunt Bauman sulla «società liquida»: si tratta di una società che tende a perdere i valori, si mostra disorientata e senza punti di riferimento. Viene così impoverito il significato di macabro o tragedia, usando questo materiale sensibile per dei like, perdendo completamente il significato emotivo della tragedia stessa.

Questo particolare tipo di turismo è praticamente una manifestazione di ampio interesse sociale strettamente legato al tema della morte; è una sorta di malattia antropica dovuta alla continua ricerca di nuovi stimoli dell’epoca contemporanea.

Il termine Dark Tourism è da molti chiamato anche “Thanaturismo” (dal greco Thanatos che significa “morte”) ed entra in relazione alle attrazioni turistiche macabre, come luoghi associati a guerre e atrocità, in cui dominano il senso di morte e di dolore. Potremmo trovare le sue radici antropologiche anche nel Medioevo: qui i luoghi di “interesse” erano tombe, prigioni, piazze in cui avvenivano esecuzioni pubbliche, campi di battaglia, e i resti di antiche civiltà.

A.V. Seaton, direttore della Scottish Tourism Statistics & Research, propone un’analisi in cui afferma che il Turismo Nero è «una forma “tanatoscopica” del viaggio, definita come un viaggio dovuto, interamente o parzialmente, al desiderio di incontrare la morte, simbolica o reale, non necessariamente violenta. Il Dark Tourism, o turismo del dolore, è da considerare come quel turismo la cui domanda richiede, principalmente, siti e luoghi legati in qualche modo alla morte violenta o alla sofferenza, luoghi quindi che potremmo definire macabri».

Le categorie del Dark Tourism

Il Dark Tourism si divide in molte categorie: Genocide Tourism, Cemetery Tourism, Disaster Tourism nella cui sottocategoria troviamo per l’appunto il Nuclear Tourism dove, di certo, la meta più gettonata è Chernobyl

Ma ci sono anche altri luoghi molto pericolosi, come il lago di Novosibirsk, in Siberia, diventato famoso per le sue acque turchesi, soprannominate “le maldive della Siberia”. In realtà il lago non ha nulla di paradisiaco, essendo sostanzialmente una discarica tossica.

Ma il luogo ha attratto molti turisti soprattutto grazie a una foto su Instagram, che ha spinto la Siberian Generating Company (SGK) – la centrale termoelettrica vicina al laghetto – ad intimare tutti i turisti a stare lontani dalle acque: le componenti tossiche potrebbero essere fatali a chi vi si immergesse. «Sappiamo che il nostro deposito delle ceneri è diventato una webstar, ed è lo sfondo preferito dei vostri selfie ma vi preghiamo di non farci il bagno. Il rischio è la vostra vita. Uscire dall’acqua da soli, senza aiuto, è quasi impossibile».

O ancora, sotto questa categoria possiamo trovare Fukushima, diventata drammaticamente famosa dopo la fuoriuscita di materiale dalla centrale nucleare a seguito del terremoto e maremoto dell’11 marzo 2011. A distanza di tre anni dall’incidente sono cominciate le visite guidate con dei pullman turistici, nella prefettura colpita di Fukushima. Si tratta di visite lampo, anche se il pericolo radioattivo a oggi risulta basso, mantenendo sempre le dovute precauzioni.

Nella categoria del Dark Tourism rientrano anche le abitazioni di serial killer, i luoghi dove sono avvenuti omicidi o suicidi di persone note, o i luoghi dove si sono compiuti omicidi divenuti celebri per la loro efferatezza: troviamo ad esempio il Black Taxi Tour a Londra e altri innumerevoli tour presenti negli Stati Uniti, Paese che pare abbondare di questi eventi. In Italia, hanno suscitato non poca indignazione i selfie scattati da diversi turisti nell’Isola del Giglio alla nave Concordia, o le visite presso Cogne, il piccolo comune della Val d’Aosta dove nel 2002 avvenne il drammatico infanticidio, compiuto da Annamaria Franzoni.

Per scoprire altre zone e altre storie legate ai luoghi d’attrazione alternativa, c’è un interessante documentario su Netflix, Dark Tourist, che ci porta in zone davvero inquietanti, comodamente da casa, così da permetterci quel feticistico voyeurismo in tutta sicurezza.

Tra critiche e speranze per il futuro

Numerose sono in effetti le critiche che attira il Dark Tourism e ciò dipende dal fatto che visitare dei luoghi che sono stati teatro di tragedie e sofferenze viene ritenuto immorale e poco rispettoso del dolore altrui.

Tornando a Chernobyl, è interessante il film documentario di Iara Lee, Stalking Chernobyl, in cui mette in evidenza il lato sporco e irrispettoso del Dark Tourism. La questione sollevata da Iara Lee è la medesima: è giusto che Chernobyl, un luogo dove bisognerebbe pregare per chi è morto, sia trasformato in un safari illecito, dove non c’è spazio per commemorazione ed empatia, riflessione e pietà? Questi particolari turisti sfidano qualunque pericolo ed entrano illegalmente sfuggendo ai controlli della polizia, per passare giornate tra radiazioni e macerie pericolanti, solo per il gusto del brivido. A zonzo per la città fantasma che ancora trattiene l’eco delle grida di disperazione e paura, di cittadini ignari e spaventati.

Il documentario raccoglie testimonianze deliranti di fanatici, ma anche testimonianze di coloro che erano chiamati “liquidatori”, squadre di operai che per anni hanno ripulito i palazzi e tutti gli appartamenti, buttando via la maggior parte del materiale trasportabile.

Un altro documentario su Youtube chiamato I fantasmi di Chernobyl, ci riporta le testimonianze di persone che sono tornate a vivere a Chernobyl. Erano in quegli anni maestri di scuola o impiegati, che durante la fase successiva all’esplosione del reattore, vennero mandati via dalle proprie case e arruolati per la pulizia delle vasche del reattore. Un uomo racconta che non avevano nemmeno le maschere di protezione, perché era una spesa troppo grande, dato che dopo un solo utilizzo cominciavano a diventare marroni e a deteriorarsi. Non avevano con loro nemmeno i dosimetri per le radiazioni.

Eppure appena hanno potuto sono tornati, non curanti delle radiazioni che per anni hanno nutrito quelle terre, passando lì tutti gli anni restanti della propria vita. Sono 112 i coloni che vivono nella “Zona di esclusione” consapevoli che il luogo non è ritenuto sicuro. Sono fermamente convinti che la zona prima o poi tornerà a ospitare la vita.

Il pericolo però, anche se non è percepibile in superficie, è subdolo e insidioso, impregna la terra e si diluisce nelle acque. L’incidente nucleare di Chernobyl rappresenta ancora una grande ferita mal cicatrizzata che, se da un lato porta all’Ucraina molti introiti dal turismo, rimane comunque un grosso buco nero eterno sulla guancia del mondo.


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