Instagram, lo specchio postmoderno di Dorian Gray

Oggi il nostro “ritratto di Dorian Gray” sono i social dove più ci guardiamo, più ci guardano, e più le immagini divengono la nostra realtà. Siamo ancora liberi?


“Il ritratto di Dorian Gray”, scritto nel 1890 da Oscar Wilde, è il più celebre manifesto dell’estetismo e della poetica dell’art for art’s make, secondo cui l’espressione artistica è libera e indipendente dai principi della morale. Il romanzo sembra essere il precursore della società postmoderna, basata sul culto dell’immagine e caratterizzata dalla diffusione, quasi teatrale, dell’edonismo e dell’«estetizzazione» degli aspetti della propria esistenza. Il concetto rinascimentale per cui il bello fuori rispecchia la bellezza interiore oggi è un principio etico su cui la società si basa per identificare i suoi influencer.

La vanità ha raggiunto un’importanza spropositata, tanto da essere definita anche come sindrome di Dorian Gray. Studiata come una vera e propria sindrome psicologica, la manifestazione del culto del corpo che tanto riempie le bacheche arriva a sfiorare i limiti del patologico. L’avanzare del tempo ci terrorizza e i social sono diventati lo specchio capace di eludere costantemente il confronto con la vera immagine di noi stessi.

La sindrome di Dorian Gray, descritta per la prima volta dal dottor B. Brosig nell’anno 2000, fu studiata in seguito ad un evidente innalzarsi del numero di pazienti affetti da panico a causa del loro invecchiamento. Essa si manifesta anche con il rifiuto del processo di maturazione. Le persone che ne sono affette vivono tra l’illusione e la frustrazione, amano fantasticare su come mantenere la propria giovinezza e quando si rendono conto che nulla è capace di trasformare quella fantasia in realtà si sentono frustrate.

Di solito chi è affetto da questa sindrome vive nel terrore del rifiuto perché non aderisce ai canoni di bellezza imposti dall’ambiente in cui vive. La promozione della bellezza sui social fa sottovalutare il proprio valore ed eleva invece i dettami sociali più superficiali, generando un vero e proprio rifiuto di sé stessi.

Gli “influencer postmoderni” si difendono dal mondo negando sé stessi. Se nell’epoca vittoriana l’essere apprezzati dipendeva dall’inserimento nell’alta società, oggi dipende da like e follower. Il nostro sentirci apprezzati, amati e il nostro stesso amarci dipende dal riflesso esterno: like e cuori ci restituiscono il senso di appagamento sociale. L’apparire sempre impeccabili, l’utilizzo di filtri che ci rendono invulnerabili al tempo e soprattutto la spasmodica voglia di condividere momenti che all’apparenza sono perfetti, sono tutti comportamenti che oramai fanno parte della nostra vita quotidiana. Siamo tutti attori in una scenografia creata ad hoc per attirare l’attenzione.

Come nel romanzo, il ritratto rivela a Dorian il suo fascino, nel nostro secolo il profilo Instagram è lo specchio che crea una vera e propria celebrazione di sé stessi.  «Come è tragico! come è tragico! diventare vecchi brutti e ripugnanti», si legge fra le pagine del romanzo di Wilde. Dorian rappresenta il moderno narciso e allo stesso tempo ne rovescia il mito poiché non si innamora della sua bellezza ma teme che essa lo abbandoni.

Dorian e la società`postmoderna sono accomunati da un irrefrenabile desiderio dell’eterno. Oggi la bellezza spesso è un arida e fredda prigione alla quale donne e uomini si incatenano pur di non vedere sul proprio volto i segni e le cicatrici che il tempo lascia con lo scorrere della vita. Instagram è il nostro ritratto alla Dorian Gray: mentre noi invecchiamo il nostro profilo rimane giovane, immutato e sempre aggiornato. Dal consumatore moderno schiavo dei bisogni siamo passati al consum-attore vittima del suo coinvolgimento emotivo. Coloro che utilizzano Instagram non massimizzano un profitto ma guadagnano un appagamento edonistico.

La massimizzazione delle interazioni mediante l’immagine crea individui sociali “instagrammabili”, capaci di fare della propria vita una galleria d’arte permanente, raccontando parti di sé che spesso non rivelano la realtà soggetta al tempo e alle imperfezioni. Attraverso la condivisione di immagini perfezionate si rende perfetta la vita quotidiana che di per sé non lo è, dandone un’interpretazione soggettiva generata dal coinvolgimento personale che risponde però a una richiesta sociale oggettivamente riconosciuta.

Oggi il nostro ritratto sono i social: più ci guardano, più ci guardiamo e più le immagini divengono la nostra realtà. La vita di Dorian è una mostruosa corruzione di cui il protagonista paga il prezzo poiché non è più libero. E noi? Siamo davvero liberi o siamo anche noi ormai schiavi dell’apparenza?

In copertina, Ritratto di Dorian Gray (Ivan Albright, 1943, olio su tela)


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