Addio a Nawal El Saadawi, icona del movimento femminista

Un’innovatrice, vincitrice di numerosi premi a livello internazionale, alla quale l’odierno movimento femminista deve buona parte delle sue conquiste.


Femminista ribelle, iconica, innovatrice, pioniera: la scrittrice egiziana Nawal El Saadawi si è spenta domenica 21 marzo all’età di 89 anni. La notizia è stata divulgata in prima battuta dal quotidiano Al-Ahram

Nata nel 1931 nel governatorato di Qalyubiyya, in un piccolo villaggio a nord del Cairo nella zona del Delta del Nilo, qui passò parte della sua infanzia e adolescenza insieme ai genitori e a nove tra fratelli e sorelle. Come lei stessa ricorda nella sua autobiografia Una figlia di Iside, i genitori la incoraggiarono sempre nella prosecuzione degli studi. Con ogni probabilità, questo suo continuo impegno nella formazione e nella crescita personale la portò a rendersi conto delle profonde ineguaglianze sulle quali si basavano la cultura e la società egiziane. 

Nonostante il contesto conservatore nel quale crebbe, la madre la sostenne nella sua scelta di opporsi a un matrimonio combinato all’età di dieci anni. Tuttavia, questa fu una delle rare manifestazioni di qualsivoglia slancio progressista da parte di uno dei membri della famiglia, fortemente legata alla tradizione. La stessa tradizione portò El Saadawi, alla tenera età di sei anni, a vivere sul proprio corpo l’aberrante pratica della mutilazione genitale, della quale porterà cicatrici visibili e invisibili – entrambe indelebili – per il resto della vita. 

Una vita travagliata, in cui ben presto si rende conto del valore aggiunto che per la società araba ha un figlio maschio rispetto a una figlia femmina. Questa consapevolezza non la trattenne dal conseguire importanti risultati nel corso della sua vita: nel 1955 si laureò all’Università del Cairo in medicina, specializzandosi successivamente in psichiatria; divenna direttrice del Ministero della Salute Pubblica dello Stato egiziano e fonda la rivista di medicina Health

Questi ruoli istituzionali, tuttavia, non riuscirono mai a coniugarsi con la sua natura di attivista e narratrice della verità: nel 1972 il governo decide arbitrariamente di allontanarla dalla carica ricoperta presso il Ministero e nel 1973 vengono chiusi i battenti della redazione del suo giornale, dopo la pubblicazione del romanzo Donne e sesso – considerato il manifesto della seconda ondata del femminismo – attraverso il quale denunciava, senza utilizzare perifrasi o giri di parole, la mortificazione del corpo femminile e la sua repressione sessuale.

Una donna nata per combattere, per quanto le sue verità a volte potessero non essere condivisibili. Alcune delle sue battaglie non sono mai state viste di buon occhio nemmeno dallo stesso movimento femminista, ad esempio quelle condotte contro l’utilizzo dell’hijab, del make-up o di abiti che “rivelassero troppo”. Tuttavia, questa è stata solo una minima parte dell’attività che ha condotto in vita e attraverso la quale ha scritto nuove pagine del movimento di emancipazione delle donne. A buon diritto, potrebbe essere definita femminista intersezionale ante litteram, prima ancora che il termine “intersezionale” venisse applicato agli ambiti dell’antropologia e della sociologia. 

Saadawi non si è limitata a studiare le discriminazioni subite dal genere femminile in quanto tale, ma come queste si combinassero con i limiti e gli obblighi imposti dalla cultura occidentale e colonizzatrice, che aveva distrutto l’Egitto dapprima vestendo i panni del civilizzatore inglese e poi della potenza America che esercita tuttora una forma di colonialismo economico. 

Il suo background da psichiatra, inoltre, le ha permesso di entrare in contatto con una sfera profondamente intima e privata dell’animo umano, in particolare delle donne che ha incontrato – e studiato – nel corso della sua vita. Parlare alle donne nella veste di medico ha dato rinnovato significato al suo attivismo – i cui risultati si vedono chiaramente nel romanzo Firdaus. Storia di una donna egiziana – che diventa espressione diretta delle discriminazioni subite dal genere femminile e degli effetti che queste hanno sulla mente umana.    

«Compiva azioni che nessuno aveva il coraggio di compiere, ma per lei era normale» ha dichiarato una delle sue collaboratrici più strette, nonché intima amica, la dottoressa Omnia Amin, traduttrice di molte delle sue opere.

E forse, per la scrittrice, fu quasi normale essere rinchiusa tra le mura della Qanatir Women’s Prison per alcuni mesi sotto il regime di Anwar Sadat. Nel 1981, Saadawi e un manipolo di dissidenti vennero arrestati per essersi opposti allo stile democratico del presidente egiziano e al patto stretto con Israele, ma anche in prigione trovò il modo di portare avanti la causa femminista. Iniziò scrivendo le proprie memorie su dei fogli di carta igienica con l’ausilio di una matita per sopracciglia rubata a una sex worker detenuta nella stessa struttura. Successivamente, dalle mura della sua cella, nacque il progetto della Arab Women’s Solidarity Association per promuovere la partecipazione attiva delle donne nella vita politica, sociale, economica e culturale. 

«Sono stata arrestata perché ho creduto a Sadat. Ha dichiarato che in Egitto vige la democrazia e che abbiamo un sistema multi partitico in cui c’è posto per la critica e l’opposizione. In virtù di questo, ho criticato il governo e sono finita in carcere». Questa la dichiarazione di Saadawi dopo essere stata rilasciata. 

Nemmeno negli ultimi anni della sua vita ha mai perso il desiderio di cambiare la condizione della donna e degli esseri umani discriminati e bistrattati: era presente in mezzo alle decine di migliaia di persone che protestavano a piazza Tahrir nel febbraio del 2011.

La sua attività e il suo attivismo in Egitto sono sempre stati travagliati. Ha subìto innumerevoli censure, ha fondato almeno due riviste ed entrambe sono state irrevocabilmente silenziate, ha ricevuto minacce di morte da membri fondamentalisti e radicalizzati della comunità islamica dopo essere stata accusata di apostasia. Il suo rientro in Egitto nel 1996, dopo un periodo trascorso in America per insegnare all’università e lasciare che le acque si calmassero, ebbe una forte risonanza negli ambienti della società civile da lei frequentati: nonostante tutto, aveva deciso di tornare perché la sua identità di donna araba ed egiziana era più forte di ogni minaccia. 

Una pioniera, indubbiamente, che parlava già nel 1977 di quanto fosse pericoloso e lesivo dei diritti umani il concetto di “delitto d’onore”, pratica che in Italia diventerà illegale solo nel 1981. Un’innovatrice, vincitrice di numerosi premi a livello internazionale, alla quale l’odierno movimento femminista deve buona parte dei suoi successi e delle sue conquiste.

Immagine in copertina di Gigi Ibrahim


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