Normalizzazione dei rapporti con Israele: una condanna per saharawi e palestinesi
La normalizzazione dei rapporti con Israele da parte di alcuni Paesi arabi indica una presa di posizione internazionale che sancisce, ancora una volta, l’oppressione del popolo palestinese.
Nello scorso mese di dicembre è avvenuto il riconoscimento ufficiale di Israele da parte del Marocco. Ad oggi sono infatti quattro – insieme a Emirati Arabi, Bahrein e Sudan – i Paesi arabi ad aver avviato e normalizzato i rapporti internazionali e diplomatici con il Governo di Tel-Aviv.
Per capire i motivi di questa scelta così emblematica e importante, da parte di Governi da sempre contrari all’esistenza dello Stato ebraico, occorre riportare quella che viene definita come diplomazia transnazionale. Gli Stati Uniti hanno infatti offerto dei sostanziali benefici a tutti quei Paesi che hanno riconosciuto ufficialmente lo Stato di Israele.
In particolare l’amministrazione Trump ha dichiarato il riconoscimento da parte della propria autorità della sovranità del Regno del Marocco sui territori contesi del Sahara Occidentale. Una grandissima vittoria diplomatica per il Re Mohamed VI.
L’avvicinamento tra Marocco e Israele è in realtà in corso già da qualche decennio. Il motivo è legato sostanzialmente al fatto che in Israele vivono oltre mezzo milione di marocchini che regolarmente tornano ogni anno a far visita al proprio Paese.
Oltre a questo motivo, all’interno delle nuove dinamiche del mondo arabo, occorre ricordare che il Marocco è uno Stato fortemente legato alle monarchie conservatrici del Golfo; le quali, a loro volta, hanno scelto un’apertura verso Israele per affrontare un potente nemico comune, l’Iran.
Se da un lato per il Marocco la vera vittoria riguarda l’importante riconoscimento su di un territorio con uno status non ancora ben definito, dall’altra deve far riflettere come quattro importanti Paesi arabi, con la loro scelta, abbiano definitivamente “voltato le spalle” alla Palestina e ai palestinesi.
L’accordo tra USA e Marocco sferra un durissimo colpo non solo ai diritti della popolazione saharawi ma anche alla comunità palestinese, la quale vive da decenni sotto il controllo militare dell’esercito israeliano. I saharawi e i palestinesi sono dunque accomunati dallo stesso triste destino, quello di essere popoli con una terra di cui non poter beneficiare. Entrambi condividono la triste sorte che troppo spesso tocca a coloro che si trovano dalla parte meno fortunata della storia, e che sono costretti, a causa di arzigogolati giochi di potere e di rapporti internazionali, a soccombere di fronte ai loro più forti oppressori.
L’oppressione del popolo palestinese è sicuramente una delle più grandi ingiustizie che la storia ricordi, e che continua ancora oggi nel 2021.
Israele, da ormai qualche anno, è accusata da parte della società civile, dalle ONG e dalle organizzazioni che lottano per la difesa dei diritti umani, di agire a tutti gli effetti come un regime di apartheid.
L’importante ONG israeliana B’Tselem, la più grande organizzazione per i diritti umani dello stato ebraico, ha confermato, all’interno del proprio rapporto dello scorso 12 gennaio, quello che numerosi studiosi palestinesi e sudafricani affermano da anni: Israele reitera logiche e politiche da regime di apartheid tanto nei territori palestinesi occupati, quanto all’interno della propria nazione.
«Un regime di supremazia ebraica dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo: Questo è apartheid» afferma B’Tselem nel proprio rapporto. Uno Stato perpetra un regime di apartheid quando viene organizzato secondo dei semplici principi, ovvero quelli basati sulla promozione della supremazia di un determinato gruppo nei confronti di un altro. In questo caso l’autorevole ONG si riferisce alla supremazia ebraica nei confronti del popolo palestinese.
Il report è riuscito a dimostrare come Israele possa essere considerato uno Stato segregazionista anche secondo il Diritto Internazionale, il quale definisce il crimine di apartheid come una serie di «atti inumani commessi con lo scopo di stabilire e mantenere la dominazione da parte di un gruppo etnico o razziale nei confronti di un altro attraverso la sistematica oppressione di quest’ultimo».
Il rapporto ha ricevuto le attenzioni da parte di numerose e importanti testate giornalistiche internazionali, ed è stato definito come un momento spartiacque. «Spartiacque per B’Tselem che ha utilizzato il termine apartheid per la prima volta in oltre trent’anni di attività, e per una comunità internazionale così infatuata dalla potente voce israeliana. Niente di tutto ciò invece è nuovo al popolo palestinese», come però ha criticamente affermato il Middle East Eye.
Citando un fatto di notevole importanza, il Governo Israeliano, durante la pandemia di COVID-19, si è rifiutato di vaccinare milioni di palestinesi che vivono sotto il proprio controllo, decidendo invece di vaccinare i coloni israeliani che vivono nel West Bank occupato. Coloni che, ricordiamolo, occupano illegalmente intere aree che non appartengono allo Stato di Israele bensì a quello Palestinese, come stabilito dalla Risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. La Palestina è stata inoltre riconosciuta come Stato non membro dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2012.
Nonostante ciò Israele continua l’oppressione del popolo palestinese, non solo attraverso l’apartheid ma anche grazie alla mai terminata occupazione dei territori del West Bank.
Middle East Eye ha anche fortemente criticato l’ONG B’Tselem, affermando che nel proprio rapporto non viene mai citato il colonialismo israeliano all’interno dei territori palestinesi.
Se da un lato va aggiunto che gli insediamenti coloniali non sono illegali dal punto di vista del diritto internazionale, dall’altro è però necessario ricordare che i crimini di apartheid e segregazione razziale nei confronti dei palestinesi sono strettamente legati al colonialismo israeliano nei territori occupati.
L’ONG internazionale Human Rights Watch ha da poco pubblicato il World Report 2021, all’interno del quale si parla naturalmente anche di Israele e Palestina.
Secondo HRW nel 2020, le autorità israeliane hanno sistematicamente represso la popolazione palestinese in maniera spropositata e indiscriminata rispetto alla giustificazione da loro fornita riguardante la salvaguardia della sicurezza nazionale.
Le stime dell’OCHA parlano chiaro: al 19 ottobre 2020 le forze israeliane avevano già demolito 568 case palestinesi e altre importanti strutture, causando lo spostamento forzato di 759 persone, tra cui centinaia di minori. Tutto ciò in piena emergenza coronavirus.
La situazione del popolo palestinese, come quella dei saharawi o dei curdi rimane tragicamente legata a infami esercizi diplomatici che giocano sulla pelle e sulla libertà dei più deboli e di quelli che la storia ha deciso di collocare nella lista delle vite superflue.
Lo Stato Ebraico di Israele, ancora guidato dal Governo presieduto dal Primo Ministro Benjamin Netanyahu, continua a macchiarsi di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità alla luce del sole, nonostante le risoluzioni dell’ONU e le prese di posizione di importanti ONG e gran parte dell’opinione pubblica; ma sempre con il costante appoggio diretto e indiretto del suo alleato più potente, gli Stati Uniti d’America.
Foto in copertina di Michael Loadenthal “You Steal Freedom” #1 | September 21, 2006, in the village … | Flickr
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