Stoccaggio delle scorie nucleari, cosa cambia per l’Italia?
Torna in auge il problema dello smaltimento delle scorie nucleari, dopo l’identificazione di 67 zone definite potenzialmente idonee allo stoccaggio. Cresce il malcontento di cittadini e amministrazioni locali.
Nelle ultime settimane è stato reso noto il contenuto della Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (CNAPI) elaborata da Sogin, resa valida da ISIN (Ispettorato Nazionale per la Sicurezza Nucleare e la Radioprotezione), dal Ministero dello Sviluppo Economico e da quello dell’Ambiente. Si tratta di un documento che individua le zone interessate alla costruzione di un deposito nazionale per lo smaltimento delle scorie nucleari a bassa e media intensità.
La notizia non ha di certo strappato un sorriso agli italiani, in particolar modo a coloro che vivono nelle zone limitrofe a quelle interessate allo smaltimento. Nello specifico parliamo di 67 aree idonee distribuite in sette regioni italiane: Puglia, Lazio, Toscana, Piemonte, Sicilia, Basilicata e Sardegna.
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La classificazione delle aree “potenziali”
Le aree sono state classificate in aree molto buone, aree buone, insulari, zone possibili ma non adeguate secondo i seguenti criteri: 1) sismicità regionale, 2) trasporti marittimi, 3) trasporti terrestri, in termini di impatto ambientale, costi e distanze, 4) insediamenti antropici, 5) impatto sul sistema agricolo, 6) valenze naturali.
La mappatura su scala nazionale dei luoghi che godono delle condizioni tecniche idonee all’effettiva – ma non ancora definitiva – edificazione dei siti individua solo dodici classificati come più probabili di altri (in particolare cinque in provincia di Alessandria, cinque in provincia di Viterbo e due in provincia di Torino).

Probabilità bassa invece per le aree siciliane individuate dalla Carta, nello specifico Butera (Caltanissetta), Calatafimi-Segesta (Trapani) e Petralia Sottana (Palermo).
Il processo che porterà alla decisione definitiva parte dal parere dei cittadini per mezzo di una consultazione pubblica, per passare poi a un’assemblea plenaria nazionale e in ultima battuta ai pareri dei ministeri dello Sviluppo Economico, dell’Ambiente e delle Infrastrutture e trasporti e, ultimo ma non meno importante, l’ISIN.
Passerà dunque molto tempo prima che se ne riparli in maniera così vivace e, ancor di più, prima di vedere la costruzione di un sito la cui edificazione stima un tempo medio di quattro anni e un costo di circa 900 milioni di euro.
Stoccaggio delle scorie fra Italia ed Europa
L’Italia non è nuova al tema dello stoccaggio dei rifiuti nucleari. Fino agli anni ‘80 contava otto siti sparsi in tutto il Paese e ogni impianto aveva la responsabilità di curare una fase del processo di stoccaggio.
In Europa il numero dei siti di stoccaggio di rifiuti ammonta a circa 25. La Francia è il Paese capofila per numero di aree, progettate seguendo le linee guida della International Atomic Energy Agency (IAEA) e nel rispetto della Convenzione di Åarhus. Inoltre, insieme al Regno Unito è tra i paesi più attivi ed ospitanti i rifiuti italiani. Gestire questo tipo di scorie risulta complesso e oneroso. La Commissione europea identifica un costo di gestione dei rifiuti pari a 556 miliardi di euro, oltre che l’importanza di depositi sicuri che possano ospitare numerose tonnellate di scorie per centinaia di anni.
Problematiche connesse al posizionamento delle scorie
Il trattamento dei rifiuti nucleari va fatto in maniera consona alla loro radioattività per evitare ripercussioni sull’uomo e l’ambiente. Questo procedimento si articola in diverse fasi che vedono prima la raccolta dei rifiuti e in seconda battuta il loro isolamento per annullarne la radioattività.
Legambiente sottolinea l’importanza di un Deposito Nazionale (data stimata per la consegna il 2025) in cui la procedura sopra menzionata possa avvenire in sicurezza. L’associazione ambientalista denuncia anni di immobilismo che sarebbero stati spesi diversamente se ci fosse stata un’azione congiunta e partecipata che vede cittadini, amministrazioni locali e comunità scientifica, operanti in sinergia per definire le zone idonee per destinare queste scorie per lo più di origine medica e industriale.
Il capitolo siciliano del malcontento
Intanto, anche in Sicilia le amministrazioni locali tuonano con un «no» unanime davanti all’idea delle aree di stoccaggio. Il Consiglio Comunale di Petralia Soprana ha approvato il documento condiviso da tutti comuni del territorio, con il quale si chiede al Governo Nazionale di eliminare dalla Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee il sito compreso fra i comuni di Castellana Sicula e di Petralia Sottana.
A supportare il contenuto del documento c’è la certezza che l’area rientra fra le zone sismiche ad alto rischio. A ciò si aggiunge la presenza a pochi km del Parco regionale delle Madonie e di attività agricole. Il documento sarà inviato dal Presidente del Consiglio agli organi di governo regionali e nazionali, e successive osservazioni verranno inviate alla Sogin entro 60 giorni dall’inizio della consultazione pubblica.
Il Sindaco di Riesi, Salvatore Chiantia, ha diramato un comunicato in cui invita la cittadinanza a mantenere alta l’attenzione poiché il comune dista 3,2 km da quell’area denominata CL18 e interessata alla creazione di uno dei siti di stoccaggio. Contrassegnata dal colore celeste, l’area appare di scarsa probabilità edificatoria ma questo, sottolinea Chiantia, «non può indurci a facili entusiasmi, atteso che essendo un’area potenzialmente idonea potrebbe pur essere scelta e pertanto tutti dobbiamo fare in modo che non avvenga, in quanto non possono trascurarsi gli effetti rischiosi».
Intanto nella zona di Calatafimi-Segesta i cittadini hanno fatto partire una raccolta firme per bloccare la costruzione di aree di stoccaggio. A ciò fa seguito il comunicato dell’associazione Amunì: «La Sicilia tutta è una terra di grande valore archeologico, turistico, paesaggistico e agricolo. Vi sono territori ad alto rischio sismico e farne un deposito di rifiuti radioattivi riteniamo sia di una gravità indescrivibile. È il momento di creare un fronte comune e compatto con l’unico obiettivo di salvaguardare la nostra terra».