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Phil Collins e i suoi 70 anni: storia di uno straordinario uomo qualsiasi

Se c’è una voce riconoscibile del panorama rock, quella è la voce di Phil Collins, un’icona del prog e del pop, odiato e amato.


Tutti coloro che amano o hanno amato un periodo vivace come quello dominato dalla scena britannica del rampante progressive rock, corrispondente per sommi capi agli anni Settanta, professa senz’altro una religione politeista le cui divinità (fra le tante) sono sicuramente Genesis, Yes, King Crimson e Gentle Giant. Il batterista che ha cambiato per sempre la storia della prima grande band è anche uno dei personaggi più amati e odiati tra gli appassionati: stiamo parlando di Phil Collins.

Partendo dalle basi

Phil Collins non ha sempre fatto parte dei Genesis. Dopo due album piuttosto interessanti – From Genesis to Revelation e Trespass, quest’ultimo un deciso salto di qualità nelle atmosfere cupe e colorate allo stesso tempo – la band inglese arriva nel 1971 senza chitarrista e senza batterista. Esattamente dopo le registrazioni di Trespass, Anthony Phillips e John Mayhew lasciano il gruppo per intraprendere percorsi differenti.

«Beh, il posto è tuo, se vuoi» dice al telefono l’istrionico leader dei Genesis, Peter Gabriel, parlando con Collins che qualche giorno prima aveva messo in mostra le sue abilità musicali in un provino e aveva dato prova della sua spiccata musicalità. Anche lui un “ignorante” della musica, che non la sa leggere ma che la sente. Insieme a lui entrerà nella formazione cosiddetta “classica” anche Steve Hackett, chitarra solista e musicista geniale.

Pronti, partenza… Nursery Cryme!

Phil arriva, come il fratello minore, in punta di piedi: classe sociale ben diversa e poche pretese. Vuole solo suonare come sa fare, quindi molto bene. È figlio di un assicuratore e non ha passato i vivaci anni scolastici con i tre fondatori che lo hanno ingaggiato, appunto il frontman e cantante-pifferaio magico Gabriel, Tony Banks alle tastiere e Mike Rutherford al basso e chitarra ritmica. 

Come tutti gli “ultimi arrivati” sembra un po’ in disparte ma riesce a prendere in mano il sound della band, non solo nella sezione ritmica ma anche con la sua voce nei cori. Questo perché non è solo una base ritmica dove poggiare le note: Collins è un compositore completo che arricchisce una sezione laddove la pura melodia non arriva. Riesce anche a cantare intere canzoni come unica voce.

Usciranno in ordine grandi dischi con questa formazione che ogni appassionato venera: Nursery Cryme, Foxtrot, Selling England by the Pound e The Lamb Lies Down on Broadway. Dopo quest’ultimo faraonico doppio album, nel 1976, Peter Gabriel lascia la band e, nonostante ripetute e faticose audizioni per trovare un nuovo cantante, sarà proprio Phil Collins a prendere stabilmente in mano il microfono e portare avanti la band verso nuovi orizzonti.

Collins primo e Collins bis

Finisce quindi la “Peter Gabriel Era”. È a questo punto che Phil Collins diventa qualcos’altro per tutti quanti. Lui resta sempre lo stesso, piccolo batterista passato dalle retrovie alla zona più vicina al pubblico sul palcoscenico. Non è carismatico, non ha quel fascino poetico e misterioso del suo predecessore al microfono. Goffi sono i tentativi di imitazione nei tour immediatamente successivi all’abbandono di Gabriel nei quali Collins si atteggia a giullare sul palco quasi a voler trovare un nuovo modo di intrattenere il pubblico, privato delle “carnevalesche” esibizioni degli anni precedenti. Inizia così la “Phil Collins Era”.

Per il pubblico, quell’ometto con magliettina e salopette, quell’operaio edile seduto per caso alla batteria di una rock band, è il nuovo protagonista su cui puntare i riflettori, l’uomo da giudicare: ha portato i Genesis a diventare i Genesis e adesso li sta portando a diventare, banalmente, “altri Genesis”. Perché, d’altronde, funziona esattamente così: cambia la società, cambiano le tendenze, cambia anche la musica. In definitiva, cambiano anche le band (altrimenti alla radio ascolteremmo da settant’anni solo Beatles!).

Gli “altri Genesis”

La band britannica sfornerà altri album interessantissimi e sempre più “geometrici”, in qualche modo meno sfumati tra diverse e lontane atmosfere, prima più frequentemente conviventi in uno stesso brano. Arrivano A Trick of the e Wind & Wuthering prima dell’altro abbandono d’eccellenza, quello di Steve Hackett, ormai sempre più ai margini della band, per vedute e per intenti stilistici. Uscirà infatti …And Then There Were Three che, come dice il titolo stesso, rappresenta il nuovo percorso musicale in cui “sono rimasti in tre”.

La voce di Collins diventa il timbro riconoscibile, ma soprattutto un marchio pop. I Genesis trovano un’immensa popolarità con la hit “Follow you, follow me”. Seguiranno Duke, ultimo vero album prog della band, con uno dei loro più grandi successi, “Turn it on again”, e a seguire i più ottantini Abacab, Genesis e Invisible Touch. La band adesso è in tutte le radio del mondo, riempie gli stadi, è ospite in programmi televisivi un po’ ovunque: raccontare fiabe musicali in un modo decisamente diverso ha portato la consacrazione globale.

A chiudere la discografia, nel 1991, We Can’t Dance, prima del ritiro dalle scene dello stesso Phil, fautore della svolta musicale e, di fatto, colui che può definirsi l’unico titolato a chiudere l’esperienza Genesis, reunion a parte (senza Hackett purtroppo). Esperienza che, però, è proseguita con un solo (deludente) album, Calling All Stations del 1997.

I problemi fisici, di udito e alla schiena, soprattutto dopo una brutta caduta, hanno sortito un effetto disastroso nella tenuta e nell’aspetto di Phil, anche se recentemente è stata annunciata un’altra mitica reunion per la primavera del 2021.

Phil Collins non è stato solo il batterista dei Genesis

Ricordiamolo: Phil Collins è innanzitutto un uomo come tutti gli altri, con le proprie faccende di vita, quelle felici e quelle tristi, grandi successi e disastrosi fallimenti. Ad oggi ha alle spalle tre divorzi e cinque figli tra le diverse famiglie. Ed è “grazie” al primo fallimento matrimoniale che la gloria dei Genesis arriva a essere quasi oscurata dalla carriera solista di Collins.

Nel 1981, dopo aver registrato qualche demo con una tristissima drum machine e su consiglio del discografico della band, esce tutta quella disperazione personale raccolta in Face Value, il primo album solista, registrato tra Duke e Abacab. Phil Collins conquista il successo planetario arrivando a un pubblico davvero più vasto di quello della sua band. E ci arriva come era arrivato ai Genesis: senza troppe pretese, solo con la voglia di fare musica.

Si legge nella sua sincerissima autobiografia uscita nel 2016 Not dead yet di quando raggiunge la vetta con uno dei suoi pezzi più celebri: «Durante la scrittura di Abacab trapela lentamente la notizia del successo inaspettato di Face Value. Questo crea un po’ d’imbarazzo. Io arrivo tutto esaltato e sinceramente sbalordito: “Oddio, In the Air Tonight è al primo posto in Olanda!”. Non solo, sta diventando un successo in tutto il mondo. Face Value continua a vendere quintali di copie. Come dice con efficacia Tony Banks nel documentario della Genesis: Together and Apart: “Volevamo che a Phil le cose andassero bene. Ma non così bene”.

Nel 1985 Phil Collins pubblica No Jacket Required, altro disco che contiene successi come “Sussudio”, “One more night” “Don’t lose my number” e “Take me home” e …But Seriously nel 1989 che contiene l’immortale “Another day in paradise”. Gli altri dischi da solista non avranno lo stesso successo, anzi, saranno decisamente calanti, ma i milioni di dischi venduti ne fanno una vera e propria icona vivente. Molti conoscono più lui da solista che la sua carriera con i due compagni Banks e Rutherford, e figuriamoci i Genesis della Peter Gabriel Era (quella che tutti i fan “duri e puri” considerano sacra).

Non siate troppo duri con Phil

Senza contare la prima nomina agli Oscar con “Against all odds (Take a look at me now)”, e la volta in cui riuscì a vincerlo nel 1999 con “You’ll be in my heart” dalla colonna sonora del Tarzan della Disney, Phil Collins è considerato un’icona commerciale, una condanna al pop, colui che ha sporcato i Genesis con le sue canzoni smielate. Ovviamente sono tutte sciocchezze: le decisioni della band furono sempre prese insieme e la sua indiscutibile carriera solista, analizzata “al microscopio”, è basata su finissime influenze che vanno dal jazz pop alla world music.

Stella di Phil Collins sulla Hollywood Walk of Fame

Anche se persino il tastierista Banks ebbe da obiettare al tempo sul primo posto in classifica di “In the air tonight” (si legge da Not dead yet «Tony: “Sì. Ma comunque è fatta solo di tre accordi”. “Quattro, in realtà!” gridai [Phil]») non ci resta che riconoscere al batterista più famoso di sempre l’indiscusso primato di lacrimoni, a causa di brani strappalacrime o di cambi di ritmo strabilianti tra un urlo improvviso (all change!) e un passaggio variopinto, che lui, con e senza Genesis, ha fatto scendere a milioni di occhi sognanti.


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Daniele Monteleone

Caporedattore, responsabile "Società". Scrivo tanto, urlo tantissimo. Passione irrinunciabile: la musica. Ho un amore smisurato per l'arte, tutta.