Il popolo sudanese ancora una volta in piazza

 

Crisi economica, crisi climatica e governo di transizione inefficiente: il Sudan è al collasso e il popolo è tornato in piazza.


Per il Sudan non c’è pace, dopo le rivolte popolari che lo scorso anno hanno rovesciato il dittatore Omar al-Bashir, la crisi economica sudanese continua a peggiorare. Il Sudan si trova in una complessa fase di transizione, ha un debito estero di circa 60 miliardi di dollari ed è attualmente governato da un governo civile-militare guidato da Abdel Fattah al Burhan, affiancato da Abdalla Hamdok in qualità di primo ministro.

La crisi economica dura da decenni, l’aumento vertiginoso dell’inflazione ha provocato un forte aumento dei prezzi e ha alimentato il mercato nero. Alla crisi si aggiungono adesso i danni provocati dalla stagione delle piogge che, solo nel mese di luglio, ha ucciso 115 persone.

Il Sudan è uscito dalla lista degli Stati sponsor del terrorismo

Fino a un mese fa il Sudan era incluso nella lista statunitense dei Paesi che supportano il terrorismo, elemento che escludeva il Paese da molti benefici finanziari a livello internazionale e limitava i potenziali investimenti esteri. L’ex dittatore al-Bashir aveva infatti trasformato Khartoum in un centro globale per il jihadismo militante, dopo aver preso il potere con un colpo di stato militare nel 1989.

Al-Qaeda e altri gruppi estremisti hanno quindi utilizzato il Sudan come base per effettuare attacchi terroristici negli Stati Uniti, Arabia Saudita, Egitto, Etiopia, Uganda, Kenya e altrove. Dopo il primo attacco terroristico al World Trade Center di New York nel 1993, gli Stati Uniti hanno designato il Sudan come sponsor statale del terrorismo.

Con il Sudan in condizioni disperate, un’economia al collasso e una forte crisi alimentare, l’ex presidente Trump, poco prima delle elezioni, ha approfittato della vulnerabilità sudanese per rafforzare la sua politica estera e i rapporti con il suo alleato Benjamin Netanyahu, primo ministro israeliano. Come? Eliminando il Sudan dalla lista dei Paesi sostenitori del terrorismo, ma a due condizioni: che riconoscesse lo Stato di Israele e che depositasse 335 milioni di dollari come risarcimento alle vittime degli attentati di Al-Qaeda alle ambasciate americane in Kenya e Tanzania nel 1998.

Durante l’annuncio della normalizzazione dei rapporti con Israele, al Sudan sono stati promessi aiuti per la riduzione del debito, sicurezza alimentare e lo sviluppo economico. Lo scopo di Trump era evidente: sperare nel sostegno elettorale da parte degli ebrei americani.

Pugnalata alle spalle del popolo palestinese 

Wasel Abu Youssef, l’esponente dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP), ha detto che la mossa del Sudan, da sempre loro alleato, «rappresenta una nuova pugnalata alle spalle del popolo palestinese e un tradimento della giusta causa palestinese».

Il Sudan è sempre stato il Paese dei “tre no” come ha ricordato lo stesso Netanyahu: no alla pace con Israele, no al riconoscimento di Israele, no ai negoziati con Israele, «ma oggi Khartoum ha detto sì alla pace con Israele, sì al riconoscimento di Israele e sì alla normalizzazione con Israele. Questa è una nuova era» ha aggiunto il premier israeliano. Il Sudan è quindi, ad oggi, il terzo Paese arabo a normalizzare i rapporti con Tel Aviv, dopo Emirati Arabi Uniti e il Bahrein. 

La ripresa delle rivolte

Nonostante le minacce climatiche e la delicata fase di transizione, i sudanesi non hanno smesso di manifestare. Come dichiarato dalla studentessa Alaa Salah, icona della protesta contro l’ex presidente Omar al-Bashir, tutto il popolo sudanese è icona della protesta, e anche questa volta non si sono tirati indietro.

Nelle piazze sono scoppiate nuove rivolte, bruciate le bandiere israeliane, rinnovata la solidarietà al popolo palestinese, ed è stato sollevato lo slogan per la “correzione del percorso della rivoluzione”. Le motivazioni delle proteste sono da ritrovare anche nel peggioramento delle condizioni di vita e dell’economia. 

Sono state due le vittime causate dalla repressione delle forze di sicurezza sudanesi, e 14 i feriti portati in ospedale. L’Associazione dei professionisti sudanesi, un gruppo ombrello di diversi sindacati, e alcuni partiti politici, hanno accusato il governo di transizione per l’uso della forza contro civili disarmati, chiedendo l’inizio delle indagini per le due vittime.

Abdalla Hamdok aveva promesso di porre fine alla crisi economica del Paese e di ristabilire la pace, soprattutto alla luce delle elezioni previste per il 2022, ma a ben vedere, la ripresa economica procede molto lentamente, e nelle strade del Paese la situazione rimane ancora oggi molto tesa.


Foto in copertina di Ola A .Alsheikh