Gianni Rodari, lo scrittore degli errori

Uno degli scrittori per bambini più amati in Italia e nel mondo, Gianni Rodari.


Tutti sbagliamo: questo è il corollario di base da cui è partito Gianni Rodari e su cui ha costruito la sua intera carriera, anzi, la sua intera vita. È nato nella piccola cittadina piemontese di Omegna uno degli “scrittori per bambini” (anche se lui non amava definirsi tale) più famosi in Italia e nel mondo.

Tutti sbagliamo, dunque: ma è il modo in cui si reagisce all’errore che può cambiare la nostra prospettiva, assumendo un aspetto negativo o positivo.

Gianni Rodari ha modificato la visione classica dell’errore: piuttosto che nasconderli, li ha enfatizzati, e in tal modo esorcizzati, costruendoci sopra filastrocche, storie e, in senso lato, tutto un intero sistema educativo e di insegnamento innovativo. Vede così la luce il cosiddetto errore creativo, dotato di un potenziale pedagogico e didattico: l’errore non come “scarto”, come qualcosa da buttare, bensì al contrario come qualcosa su cui costruire e su cui far galoppare la fantasia.

Così Cappuccetto Rosso è diventato giallo, la nonna è diventata la zia Diomira, e il lupo è diventato un cavallo: «Vale la pena che un bambino impari piangendo quello che può imparare ridendo? […] Gli errori sono necessari, utili come il pane e spesso anche belli: per esempio, la torre di Pisa» scrive Rodari nell’introduzione al suo Libro degli errori, pubblicato da Einaudi. Errori in rosso, errori in blu: per tutta la vita ha combattuto con accenti, apostrofi, doppie dimenticate, maiuscole e minuscole sbagliate. E le strade da percorrere potevano essere essenzialmente due: sottolineare l’aspetto negativo di questi orrori grammaticali, o iniziare a giocarci su; e tutti sappiamo qual è stata la sua scelta.

Rodari elogia l’immaginazione come il più grande strumento di liberazione di cui è dotato l’essere umano: «Tutti gli usi della parola a tutti: mi sembra un buon motto, dal bel suono democratico. Non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo». E lui ha usato quelle parole come meglio ha potuto, dedicandoci tutta la sua vita: nel 1947 inizia a scrivere a Milano per L’Unità, per poi spostarsi a Roma nel 1950 dove fonda il giornale per ragazzi Pioniere, passando nel 1958 a Paese Sera.

Nel 1968 inizierà il prolifico sodalizio con Einaudi, e nel 1970 il riconoscimento più importante: la vittoria del premio Hans Christian Andersen, premio letterario internazionale per la narrativa per l’infanzia (ad oggi peraltro Rodari risulta essere l’unico autore italiano ad averlo vinto).

Parlando di Rodari non si può ignorare la sua ideologia politica, molto forte e rimarcata spesso nei suoi scritti: era un militante attivo del Partito Comunista, e non ne ha mai fatto mistero, e i suoi ideali si leggono tra le righe molto facilmente (diciamo pure che non possono non leggersi).

Lo scrittore piemontese ha affrontato temi e problematiche “da adulti” utilizzando un linguaggio semplice e diretto; così nella filastrocca La scuola dei grandi, ci sono quegli adulti che nello stipendio devono farci stare «vitto, alloggio e un po’ di mare», ma a Ferragosto c’è sempre il bambino povero che resta in città (e qui riecheggiano i punti di contatto con il malinconico Marcovaldo di Calvino); le professioni più umili e faticose hanno assunto una nuova luce ne I colori dei mestieri, i panettieri, gli spazzacamini, gli arrotini, ma soprattutto gli operai: «Il mio committente non è Einaudi, ma il movimento operaio, per questo faccio il possibile per parlare a tutti, con una lingua chiara, un pensiero limpido».

Rodari racconta di bugiardi che chiamano acqua il vino, di prepotenti miliardari che viaggiano in prima classe e vogliono comprare il paese, di emigranti con valigie piene di cuore e di terra, di quanto sarebbe bello «per tutta la terra / fare la pace prima della guerra»: i bambini giocano e ridono con le rime, i grandi ci leggono qualcosa di più. Ci leggono un’Italia che cambia, o che prova a cambiare, in quegli anni di «guerre fredde e inverni caldi», per citare Calvino.

Rodari punta l’attenzione non solo sulla scuola, ma anche sui genitori, perché il modo di educare e di plasmare le giovani menti acerbe parte innanzitutto dalle mura domestiche: non è un caso che abbia curato per tanti anni il Giornale dei genitori, prima con la collega Ada Gobetti e poi in solitaria fino al 1977.

Uno dei tanti pregi da riconoscere a questo autore è senza dubbio quello di aver creduto nella capacità dei bambini di creare da soli i propri valori: gli adulti, infatti, hanno soltanto il compito di accompagnarli, non di suggerirglieli già pronti e impacchettati, e hanno il dovere di raccontare le cose così come sono, lasciandoli liberi di pensare e costruire ciò che vogliono. D’altra parte, come è scritto in Una scuola grande come il mondo, «di imparare non si finisce mai / e quel che non si sa / è sempre più importante / di quel che si sa già» perché, in fondo, non siamo altro che il prodotto e il frutto dei nostri errori. Quindi continuiamo a sbagliare, e a crescere, tra errori rossi ed errori blu.


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