Conte telefona ai Ferragnez, volti noti per la sensibilizzazione. Che c’è di strano?
Indigna la telefonata di Giuseppe Conte al rapper Fedez e alla moglie Chiara Ferragni, dove chiede loro di utilizzare i loro social per sensibilizzare i giovani all’uso della mascherina.
Sta facendo non poco discutere l’ultima vicenda che interessa sempre loro, Chiara Ferragni e Fedez. Pochi giorni fa il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte dopo il suo discorso sul nuovo Dpcm, ha personalmente telefonato alla giovane coppia per chiedere supporto nel comunicare con i giovani. La richiesta è stata quella di sensibilizzare il loro seguito – che è davvero numeroso e soprattutto giovanissimo – all’utilizzo della mascherina e alla prevenzione contro il Covid-19 che sta proseguendo il suo corso in questa seconda ondata, con diverse migliaia di nuovi casi al giorno.
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I Ferragnez hanno mandato un messaggio nei loro rispettivi profili Instagram: «Chiunque abbia un grosso seguito ha la responsabilità di sensibilizzare, in questo caso verso l’uso della mascherina» ha esordito l’influencer Chiara Ferragni a seguito di un primo messaggio lanciato dal marito Fedez.
Il rapper italiano racconta: «Siamo stati messi in contatto col Presidente del Consiglio che ha chiesto un aiuto da parte mia e di mia moglie. E se queste stories, anche in piccolissima parte, riusciranno a essere utili io non posso che esserne contento. Ci è stato chiesto un aiuto sull’esortare la popolazione, soprattutto quella più giovane, all’utilizzo della mascherina. E io mi sto sforzando di trovare un modo di essere più convincente possibile. Probabilmente non esiste modo. Quello che posso dire è che ci troviamo in una situazione molto delicata. E l’Italia non può permettersi nella maniera più assoluta un nuovo lockdown. E che in qualche modo il destino e il futuro dell’Italia è nelle mani della responsabilità individuale di ognuno di noi».
Ma perché ha dato così fastidio? I due non sono nuovi ad azioni benefiche durante questa pandemia; ricordiamo la primavera scorsa la raccolta fondi per la nuova terapia intensiva presso l’Ospedale San Raffaele di Milano, gesto tra l’altro sporcato dalle accuse di un presunto tornaconto dei due influencer dal Codacons. Quest’ultimo, poi, si è rivelato un persecutore, che non si è lasciato sfuggire ogni passo fatto da loro per provare a scatenare tempeste mediatiche, vedi la denuncia a Chiara Ferragni per essere stata ritratta come una Madonna o ancora, sempre contro di lei, per la proiezione sulla rete Rai del documentario Unposted, visto come diseducativo.
Ma perché una campagna di sensibilizzazione come altre ha fatto infuriare i molti sul web? Le campagne di sensibilizzazione da sempre sono spesso portate avanti dietro un volto conosciuto, un testimonial di spicco, perché si prevede più visibilità per una campagna sociale che deve arrivare a un pubblico sempre più ampio.
Durante il nostro recente lockdown, nel pieno dell’allarme Covid-19, nonostante le massicce informazioni di telegiornali, quotidiani, radio e programmi televisivi, sul web era partita una campagna, un hashtag lanciato dai personaggi famosi, #iorestoacasa, certi di poter raggiungere un pubblico più vasto. Conoscendo la loro particolare “influenza” molti beniamini del pubblico – tra cui anche Chiara e Federico – si sono mossi con l’obiettivo di “farsi ascoltare”, soprattutto dai più giovani. Ognuno di loro ha utilizzato i propri canali per invogliare tutti a restare a casa. Nessuno sdegno generale, ma anzi molto sostegno.
Cosa avrà imbestialito così tanto una certa fetta di pubblico? Forse che una figura di grande importanza come il Presidente del Consiglio abbia alzato la cornetta e si sia rivolta a due influencer? La domanda che dovremmo porci è: perché Giuseppe Conte è dovuto ricorrere all’aiuto di due personaggi famosi per parlare con i giovani? Evidentemente si è dovuto sopperire alle difficoltà delle famiglie di farsi ascoltare dai propri figli dato che, in molti commenti ai post dedicati al caso Conte-Ferragnez, alcuni genitori hanno ammesso quanto queste due persone abbiano un grosso ascendente sui loro figli adolescenti.
Anche nel mondo della politica è arrivata la – prevedibile – frecciatina di Matteo Salvini, che con un Tweet si riferisce alla famosa telefonata, consigliando al Presidente del Consiglio di chiedere non solo aiuto per l’uso delle mascherine ma anche per la cassa integrazione. Ovviamente non si è fatta attendere la replica del rapper:
Ma che i personaggi famosi si prestino a portatori di messaggi sociali non è una grossa novità. Molte campagne tv hanno il volto di un vip , potremmo elencarne a centinaia: ad esempio la campagna #NonStiamoZitti contro il bullismo che vede come volti e “casse di risonanza” quelli di Francesco Totti, Amadeus, Arisa per citarne alcuni. O ancora, la campagna contro la violenza sulle donne #NonÈNormaleCheSiaNormale che annovera tra i suoi promoter Del Piero, Simona Ventura, Alessia Marcuzzi, Emma Marrone, Bruno Barbieri, Ermal Meta, Alessandra Amoroso.
E se facessimo un salto molto lungo nel passato scopriremo che non è la prima volta che lo “Stato” si rivolge a personaggi pubblici di grande successo tra i giovani per coinvolgerli in iniziative che necessitano di sostegno: nel 1956 Elvis Presley, il Re del rock, fu chiamato come testimonial per la campagna di vaccinazione antipolio. Il cantante si sottopose alla vaccinazione di fronte a fotografi e telecamere negli studi della Cbs di New York, facendo impennare le adesioni e contribuendo alla scomparsa della malattia che nel 1952 aveva fatto registrare negli USA 58 mila casi. Nel 1962 i casi diminuirono drasticamente, forse anche grazie al gesto di Elvis.
Che un paio di storie su Instagram non possano risolvere il problema, è inutile negarlo. Sicuramente quelle di questi giorni non saranno le uniche dedicate alla sensibilizzazione all’uso della mascherina, ma sta di fatto che forse una manovra più virale e pressante potrebbe invogliare a un comportamento più coscienzioso. Sarebbe bello se l’unica motivazione che spinga qualcuno a indossare una semplice mascherina ove d’obbligo, sia per una volontà di protezione verso il prossimo e non un espediente fastidioso per non pagare una multa.
L’inutile indignazione di molti lascia il tempo che trova, e si fa spazio tra gli stessi individui che seduti sul divano stanno ligi nel seguire imbarazzanti siparietti trash in tv, dove si porta in pubblica piazza solo un ammasso di “inutile biancheria sporca” che non contribuisce alla crescita di un bel niente. Impariamo a non esprimere giudizi in base a un sentimento di invidia o antipatia, che poi ci si abitua a utilizzare questo metro di giudizio quando si viene chiamati a esprimere una preferenza importante come quella del voto.
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