Tupac, il rivoluzionario poeta Hip hop

Nel settembre del 1996 moriva la leggenda del rap Tupac Shakur. Artista, poeta, attivista, oggi più attuale che mai e riferimento del movimento Black Lives Matter.


«A volte gli uomini sono padroni del loro destino; la colpa, caro Bruto, non è delle stelle, ma nostra, che ne siamo dei subalterni!».  William Shakespeare, Giulio Cesare (“The Life and Death of Julius Caesar”).

Artista leggendario, Tupac Shakur è stato il rapper più iconico, controverso, discusso e affascinante nella storia. Ma non è stato solo un rapper: prima di tutto è stato un poeta e attivista. Tupac ha avuto anche ruoli da attore; una strada, quella del cinema, che gli sarebbe piaciuto continuare. Ha rivoluzionato l’hip hop diventandone un vero riferimento: ancora oggi, nonostante il rap attuale sia cambiato profondamente rispetto a quello degli anni ’90. E non solo per l’hip hop, ma per tutto il mondo black. 

Tupac rappresenta infatti ancora oggi la voce spirituale degli afroamericani: nel loro pantheon culturale e politico è tra i primi perché più di tutti ne ha raccontato i drammi reali, rappresentando ancora oggi un’icona per il movimento Black Lives Matter. Più attuale che mai, dunque.

Ma chi era Tupac? Sulla sua vita recentemente è uscito pure un biopic, All eyez on me, (titolo tratto dal nome del suo celebre ultimo album pubblicato in vita) interpretato da Demetrius Shipp Jr. 

Sua madre, Afeni Shakur, era una militante del Black Panther Party che ha vissuto il dramma di trascorrere quasi tutta la gravidanza in carcere, con 156 capi di imputazione a suo carico, come spesso capitava ai rivoluzionari che militavano in quel movimento. Fu rilasciata un mese prima della nascita di Tupac e dopo aver sostenuto in prima persona la propria difesa al processo.

Da lei erediterà lo spirito combattivo e la sete di giustizia sociale, ma anche l’instabilità. In miseria e a lungo dipendente dal crack, Afeni ha vissuto poi da nomade con al seguito il figlio, un ragazzo appassionato di poesia, teatro e musica ma risucchiato dalle dinamiche del ghetto. Non conobbe mai il padre e fu cresciuto dal suo padrino Mutulu Shakur: anch’egli attivista e rivoluzionario, il quale a sua volta fu arrestato nel 1986 – quando Tupac aveva solo 15 anni – e condannato a 60 anni di carcere per un furto di 1,6 milioni di dollari da un blindato.

Tupac ha vissuto con la madre Afeni in condizione di estrema povertà, prima nei ghetti di Brooklyn e poi a Baltimora, in quartieri sopraffatti dalla violenza e facilmente vulnerabili agli attacchi di stupratori, tossicodipendenti e bande di strada. Tupac dava tutto per sua madre, era la sua forza, e le ha dedicato la celebre “Dear Mama”.

Aveva un’intelligenza geniale: le sue doti artistiche erano già note negli anni del liceo, anni in cui si innamorò di Shakespeare, suo grandissimo riferimento artistico, tanto che i suoi amici adoravano chiamarlo TupacSpeare.

Le sue canzoni sono dipinti, magari non allegri ma reali, invitano a riflettere come fa la buona musica. Ad esempio, “Brenda’s got a baby” è così reale da far piangere: parla di una dodicenne che viene molestata dal cugino, rimane incinta e partorisce un bambino sul pavimento di un bagno; inizia a drogarsi e a prostituirsi per comprare da mangiare e infine viene ammazzata per strada. Per la casa discografica, la Interscope Records, dal punto di vista del marketing questa canzone rappresentava un incubo, ma Tupac ha dato voce a chi non era ascoltato e desiderava esserlo, raccontando quello che succedeva per strada e descrivendo quello che accadeva realmente nei ghetti. 

Tupac ha conosciuto la storia di Brenda sul New York Post. Ogni giorno leggeva la sua storia e ogni giorno l’articolo diventava sempre più breve, perché viveva nel ghetto, nelle periferie, non in città.  Con “Brenda’s got a baby” sembra di sentire un sermone dentro una chiesa a messa, ritmato, a suon di rime: non a caso questo stile è stato definito dallo stesso Tupac Ghetto Gospel. Era da tempo che non si sentiva musica così profonda. 

Pubblicata nel 1991, anni in cui in America successe di tutto: anni di puro inferno, in cui si registra il violento pestaggio della polizia a Rodney King e l’anno successivo la rivolta di Los Angeles. Nella primavera del ’91, l’automobilista di colore Rodney King fu brutalmente picchiato da quattro ufficiali di polizia bianchi di Los Angeles. A seguito del processo che vide i quattro poliziotti essere dichiarati non colpevoli, la città insorse in una rivolta passata alla storia come una delle peggiori insurrezioni civili degli Stati Uniti.

Ad un certo punto, il governatore della California Pete Wilson fu costretto a dichiarare ufficialmente lo stato d’emergenza nella città. La rivolta civile di Los Angeles si concluse ufficialmente il 4 maggio 1992, quando il Sindaco interruppe il coprifuoco notturno: ci furono 58 morti, 2383 feriti e oltre 11 mila arresti.

Tupac era un rivoluzionario e alla morte di un poliziotto hanno dato la colpa ai suoi testi. Ma Tupac voleva davvero questo? Fu un’accusa ridicola, come tutte quelle che ha subito nella sua breve e intensa vita. Tupac era consapevole di avere un potere difficile da gestire, ma lo usava per provare a cambiare le cose, istruire la gente, spingere le persone a riflettere. 

Celebre fu l’acronimo del suo gruppo, Thug Life, spesso oggetto di mistificazioni. Thug life sta per “The Hate U Give Little Infantas Fucks Everybody”, cioè “l’odio che rivolgi ai bambini fotte tutti quanti” (la storia e la filosofia di questo motto ha ispirato il recente film “Il coraggio della verità”). Tupac con questo motto voleva dire che quello che la società ci trasmette quando siamo bambini torna indietro alla società con gli interessi, quando cresciamo. Il messaggio non è rivolto solo ai più giovani ma a tutte le persone di colore e più povere, agli ultimi. 

L’acronimo rappresentava un sistema progettato contro di loro: tanti afroamericani spacciano perché hanno bisogno di soldi, perché non ci sono veri lavori nei quartieri più poveri, e così cadono nella trappola. La droga è un’industria da miliardi di dollari, per molti sembra l’unica via d’uscita. Nei loro quartieri la droga arriva in aereo: chi lo possiede un jet privato? Una domanda che spesso ripeteva Tupac. Di certo non i poveri che sopravvivono nei ghetti, che vengono intrappolati nel giro, finendo in prigione. 

Qualcuno si è chiesto perché allora usare simbologia fuorilegge e delinquente? Beh, l’idea era entrare nel loro mondo, quello della crudeltà del quartiere, per aiutarli a uscire. 

Tupac non fu solo denuncia sociale, ha dedicato anche canzoni alle donne, con brani come “Keep ya head up”, che ha rivoluzionato la poetica, si veda ad esempio il verso:  “Said there ain’t no hope for the youth /  and the truth is it ain’t no hope for tha future”. Ottimo esempio di rima interna, scrittura molto sofisticata e affascinante, in una parola geniale. La sua “California Love” ancora oggi rimane uno dei pezzi più ascoltati e iconici di sempre, diventata un inno di speranza per tutti gli afroamericani. 

Della sua vita meglio non parlarne tanto, perché l’impressione è che sarebbe facile arrivare a semplici banalizzazioni, anche se allo stesso tempo bisogna conoscerla per capire chi è stato veramente perché forse mai nessun artista come lui ha avuto un incontro così stretto tra musica, la propria poetica e la sua vita. Ma come direbbe lui, solo Dio può giudicarlo, era solo contro il mondo e sentiva tutti gli occhi su di lui

Senza fare troppa retorica, possiamo dire che il suo mito ancora oggi continua a ispirare e a dare speranza alle nuove generazioni, con i suoi messaggi di lotta, di apertura mentale e di consapevolezza. Molto più di un rapper, dunque. Chiamatelo poeta, per favore, ascoltandolo capirete il perché.