Atalanta-Valencia: un match «bomba» tra sport e coronavirus

Ci sono match che entrano per sempre nella memoria collettiva dei tifosi. Vuoi per la giocata, per il tifo sugli spalti, per il fallo duro del difensore al 90° minuto sull’attaccante che corre verso la porta sognando il pareggio. O per gli attimi di tensione dentro e fuori il campo, le polemiche pre e post-partita o gli errori arbitrali a favore o contro.

Poi ci sono emozioni strettamente personali che ognuno di noi lega indissolubilmente alle partite che gli hanno segnato la vita. Gioia, felicità, persino dolore. Perché se è vero che aveva ragione lo scrittore francese Albert Camus dicendo che «non c’è un altro posto del mondo dove l’uomo è più felice che in uno stadio di calcio», è anche vero l’esatto contrario, e cioè che rovesciando il punto di vista, i 90 minuti sul campo possono rappresentare per un uomo l’infelicità estrema. Il calcio d’oggi è ancora quello dell’epoca in cui viveva Camus e lo sport più amato dagli italiani convive fortemente con l’attualità e gli eventi extra-calcistici.

Ai tempi del drammaturgo nato a Drèan in Algeria, il football venne stoppato soltanto dalle guerre, i due conflitti mondiali. Oggi invece a fermarlo è arrivato il coronavirus, nemico invisibile che ha fatto oltre 60 mila morti e 1,2 milioni di casi nel mondo. E l’ultima tra le partite giocate lungo la nostra Penisola a porte aperte è diventata, suo malgrado, il simbolo dello sport ai tempi del Covid-19. Stiamo parlando di Atalanta-Valencia del 19 febbraio, una partita che entra nella storia del calcio moderno a buon diritto e per i più svariati motivi.

Innanzitutto, vi entra per i gesti atletici. La prima volta in Champions League dell’Atalanta ha in tutto e per tutto il sapore del mito. La “Dea”, sorteggiata nel gruppo C insieme a Manchester City, Dinamo Zagabria e Shakhtar Donetsk, però inizia malissimo la sua avventura europea con tre sconfitte iniziali. Ma i nerazzurri, come gli eroi dell’antica Grecia, invertono la tendenza nel momento di massima difficoltà: 7 punti negli ultimi tre match e il secondo posto in classifica che vale la prima qualificazione agli ottavi di finale della loro storia. Infine, il sorteggio contro il più blasonato Valencia. Un percorso che ha dell’assurdo e che ha il suo massimo momento di tensione proprio il 19 febbraio 2020. Un 4-1 senza precedenti contro la squadra spagnola, più abituata alle partite europee e a reggere persino la pressione delle grandi finali continentali.

In quella partita c’è tutto ciò che si può chiedere ad una squadra d’eroi. La doppietta di un difensore, Hans Hateboer, l’ultimo dei giocatori che ti aspetti di veder segnare. Il tiro da fuori che si spegne alle spalle del portiere avversario di Josip Ilicic, dato per finito dopo il quinquennio alla Fiorentina, e rivitalizzato dalla “cura Gasperini”. L’acuto di un altro centrocampista, il 27enne Remo Freuler, che chiude la partita prima del goal del russo Denis Cheryshev. Poi il ritorno, il 10 marzo, che consacra definitivamente al mito i bergamaschi. Un’altra partita al cardiopalma finita 3-4 in casa del Valencia, con un’Ilicic mattatore assoluto di serata che ha messo la firma su tutti e quattro i goal regalando alla Dea i quarti di finale ed un successo storico.

Atalanta-Valencia, suo malgrado, però sarà ricordata anche per il Coronavirus. Al 19 febbraio 2020 i casi in Italia si attestavano a quota 1049. Numero poco preoccupante a suo tempo e che non aveva fermato né la Serie A né le competizioni UEFA. Qualche settimana dopo però, la partita è stata bollata da Francesco La Foche – responsabile del Day Hospital di immuno-infettivologia del Policlinico Umberto I di Roma – quale una delle possibili cause del contagio che ha stravolto la cittadina lombarda. Il professore in un’intervista non ha avuto dubbi: «Bergamo è un’anomalia e in quel distretto ci sono stati tanti catalizzatori che hanno fatto esplodere la diffusione, come l’operosità della zona e forse anche la partita Atalanta-Valencia: l’apice dell’entusiasmo per un club che può aver portato a tanti contagi, tante persone vicine ed euforiche che si abbracciano. C’è stata una giustificata enfasi collettiva di una tifoseria appassionata in cui potevano esserci anche asintomatici o febbricitanti».

Dichiarazioni rilasciate il 20 marzo scorso e arrivate dopo i dati preoccupanti registrati nella città lombarda. Ad oggi sono oltre 9500 i casi che Bergamo ha registrato dall’inizio della pandemia e sono stati oltre 2000 i decessi – sul cui numero però si hanno grossi dubbi soprattutto alla luce di un’inchiesta dell’Eco di Bergamo in cui si ipotizza che le morti reali siano più del doppio del numero registrato.

Pochi giorni dopo l’intervista dell’immunologo, a rincarare la dose è stato il primo cittadino della città, Giorgio Gori, che al quotidiano spagnola Marca ha parlato del match come “una bomba biologica”. In più, ammettendo la sottovalutazione del virus e della situazione italiana, ha avallato anche lui l’ipotesi della partita “veicolo del covid-19”: «Se il virus era già in circolazione, i quarantamila fan che andarono allo stadio di San Siro erano infetti» – il riferimento è ai supporter bergamaschi che con le loro auto si erano mossi verso Milano e avevano mandato in tilt persino Google Maps, tingendo il percorso tra Bergamo e San Siro di rosso.

Il Valencia dal canto suo, giorni dopo l’apparizione dei primi contagiati, ha lanciato il suo “J’accuse” verso il match, sostenendo che oltre il 35 per cento dei positivi del team siano stati contagiati proprio a San Siro. Al momento la “partita zero” rimane un’ipotesi degli scienziati, ma quel che certo è che Atalanta-Valencia è ad oggi una delle partite iscritte nella mitologica storia del calcio.