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C’era una volta Carnevale: la pazza gioia prima del “contegno” religioso

Il Carnevale di Palermo è uno dei più antichi d’Italia. Risulta infatti essere documentato già dal XVI secolo. Esistono documentazioni che attestano i festeggiamenti di annate come il 1544 e il 1549, rintracciabili negli atti del Senato palermitano. Innumerevoli le testimonianze, le storie, le usanze che si conoscono di questa grande festa, di origine pagana e poi “cristianizzata”, da sempre elogio all’eccentricità, all’esagerazione e al divertimento.

Nel Seicento Palermo e Napoli diventavano vere e proprie sedi di festeggiamenti ed eventi folcloristici. Il Carnevale non durava, come oggi, la settimana precedente alla Quaresima. Si trattava bensì di un mese di sfilate e manifestazioni collegate, concentrate in periodi diversi a seconda dell’annata.

Da metà gennaio a fine febbraio, oppure dai primi di febbraio fino ai primi di marzo, si susseguivano sfilate di carri, spettacoli in maschere, cavalcate e concerti. Tutto questo periodo rappresentava idealmente un momento prolungato di giochi, festeggiamenti ed esagerazioni prima del momento pasquale, ben più contenuto e lontano dai “sorrisi profani”.

Al XVII risale la rappresentazione di una pantomima “il giuoco del castello” che come protagonista aveva il Mastro di Campo, una performance che si svolge tutt’oggi nella città di Mezzojuso, in provincia di Palermo. Il giuoco prevede che un figurante abbia il volto coperto da una maschera rossa e che cerchi di conquistare la sua amata regina in cima a un castello.

Sappiamo che un’altra rappresentazione molto sentita avveniva a Palermo tanti anni fa: la “Morte di Nanna e de lu Nannu”. Nella seconda metà del XIX secolo questi due vecchietti apparivano protagonisti assoluti del carnevale palermitano come documentato da una locandina attestante la manifestazione del 1878. Era proprio il nannu (il nonno) che rappresentava la personificazione del Carnevale.

Fino agli anni appena precedenti alla Seconda Guerra mondiale, a Palermo si celebrava il Carnevale ancora con grandi cerimonie, mascherate e sfilate domenicali di carri allegorici dette “carrozzate”. Queste carrozzate partivano con la “Trasuta du Nannu”, l’entrata della maschera del «nonno» sul carro da Porta Felice. Il percorso, tradizionalmente, andava attraversando il Cassaro in mezzo a una folla in festa. Culminava poi in un rogo finale della maschera simbolica del “Nannu”.

Oggi si può dire che il Carnevale palermitano sia, in un certo senso, passato nelle mani di Termini Imerese, di fatto l’erede più vicina a Palermo. Certamente restano il divertimento e i giochi, per niente inferiori o meno spassosi rispetto al passato!

Lo spirito ludico e la voglia di esagerare sono rimasti gli stessi, se non addirittura diminuiti nei secoli. La festa del Carnevale era un momento di sincero e pieno divertimento. In alcuni scritti di Giuseppe Pitrè (Usi e costumi) si legge tutto il gusto burlone che animava quel periodo, come lo anima oggi ma con “strumenti” ben diversi.

A proposito di strani “gavettoni” scrive lo studioso: «passatempo graditissimo era pur quello di buttare qualche cosa addosso alle persone […] Era questo un gioco molto antico nel Quattrocento, comunissimo nel Cinquecento, nel Seicento e forse anche dopo. Uomini e donne, adulti e fanciulli ci si divertivano maledettamente, facendo a lanciarsi cruscherella, polvere bianca, che voleva essere polvere di gesso, ed era quasi sempre calce polverizzata ed acqua». Le odierne “lotte con la schiuma spray” ne costituiscono l’equivalente.

Ma un altro scherzo è arrivato fino a noi, e certamente con materiali ben diversi e meno “inquietanti”. Il venditore di vozzi, era l’odierno “reparto di stelle filanti e coriandoli”. I “vozzi” non erano altro che le gole delle galline, lavate con acqua e sale, poi asciugate e infine vendute per essere gonfiate a mo’ di palloncino. I ragazzini si divertivano a giocarci e a farli scoppiare alle spalle della vittima facendola spaventare.

Il ballo mascherato si svolgeva invece durante tutto il periodo carnevalesco, a volte a partire sin dall’indomani dell’Epifania. I luoghi prescelti per queste affollate occasioni erano i teatri e non è difficile immaginarne i frequentatori. Tali spettacoli erano infatti riservati alla nobiltà e all’alta borghesia. Il popolo organizzava ballate più “private” nelle case o per strada accodandosi a delle orchestrine itineranti.

Il Martedì grasso, ultimo giorno di Carnevale, terminava (e termina ancora nelle località in festa) con il rogo di una maschera di cartapesta, nel caso palermitano quella del suo pupillo, il Nannu. Nella sera di questo giorno, tradizione vuole che il fantoccio venisse impiccato e incendiato in mezzo al chiasso e alla gioia del pubblico.

La fine di questa festa segnava l’inizio di un periodo esattamente opposto per spirito: le astinenze e i digiuni quaresimali. Finiva il Carnevale, con il “testamento” del nonno, la lettura delle ultime volontà, di solito versi satirici o umoristici. Il Nannu purificato dalle fiamme, le esplosioni e i rintocchi delle campane serali suggerivano che i passatempi erano finiti e che era arrivato il tempo per gli avvenimenti sacri legati alle festività pasquali. In breve: lo scherzo è finito!


Copertina di Malega (CC BY-ND 2.0)

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