Il presunto neocolonialismo del Franco CFA

Di Francesco Paolo Marco Leti – Facciamo un poco di chiarezza sull’idea che il Franco CFA sia alla base di una forma nuova di colonialismo, uno strumento coloniale francese. L’aspetto politico della disputa riguardante la presunta correlazione fra Franco CFA e movimenti migratori è stata pregevolmente affrontata, e smentita, dall’articolo pubblicato la scorsa settimana, nel cui ambito è possibile ritrovare, inoltre, una definizione, per sommi capi, circa le aree interessate da queste unioni monetarie e i paesi partecipanti.

In questo articolo, invece, analizzeremo la questione esclusivamente in chiave economica, con uno sguardo sui punti di forza e di debolezza che qualunque sistema di cambio fisso affronta, valutando la possibile esistenza di questo presunto neocolonialismo.

Il Franco CFA, nella sua sostanza e struttura, non si differenzia molto dall’Euro. Entrambe le monete vengono utilizzate su scala regionale e si fondano su una serie di strutture collettive che ne sostengono il corso. Il Franco CFA è utilizzato in due aree valutarie diverse, l’Unione Economica e Monetaria Ovest-Africana (UEMOA) e la Comunità Economica e Monetaria dell’Africa Centrale (CEMAC). Pur avendo il medesimo nome, le monete delle due aree valutarie non sono intercambiabili e le strutture di emissione, le banche centrali di riferimento, sono diverse.

La particolarità che differenzia queste monete dall’Euro è che il Franco CFA ha un tasso di cambio fisso nei confronti della valuta europea, garantito dalla Banca Centrale francese, che ne consente, di conseguenza, la piena convertibilità. Per garantire il tasso di cambio fisso, i paesi partecipanti hanno l’obbligo di depositare, presso il Ministero del Tesoro francese, il 50% delle proprie riserve, come munizioni per contrastare eventuali oscillazioni monetarie.

Proprio il tasso di cambio fisso e la convertibilità valutaria sono posti sul banco degli imputati come prova del neocolonialismo francese. I regimi di cambio fissi, in realtà,  sono vecchi quanto la moneta. Fino allo Smithsonian Agreeement del 1971, vigeva a livello mondiale un sistema di cambi fissi, una sorta di gold exchange standard, figlio degli accordi di Bretton Woods, basato su rapporti di cambio fissi tra le valute, tutte agganciate al dollaro, il quale a sua volta era agganciato all’oro. Soltanto dopo lo Smithsonian Agreement, le monete hanno cominciato a “fluttuare”, in base alla domanda e all’offerta della stessa valuta a livello internazionale.

La fine del sistema di Bretton Woods non ha posto fine ai sistemi di cambio fisso. Sistemi di cambio fisso, o quasi, sono stati attuati dagli stati europei prima della creazione della moneta unica (Serpente Monetario e Sistema Monetario Europeo) e diversi paesi al mondo hanno ancorato la propria moneta in diversi momenti storici al dollaro statunitense per limitare o stroncare una spirale inflattiva (si pensi al riguardo al caso argentino del 1991).

Quali sono le ragioni per aderire ad un sistema di cambi fissi da parte del paese a moneta debole? Il principale è l’estensione della “credibilità” della moneta forte alla moneta debole. L’aggancio della lira al Sistema Monetario Europeo, ad esempio, permise di contrastare l’inflazione a due cifre nel paese grazie alla “credibilità” del Marco tedesco. Un altro vantaggio è la possibilità di avere una stabilità valutaria, evitando il cosiddetto “rischio di cambio” a vantaggio del commercio internazionale. Un ultimo vantaggio, infine, potrebbe essere l’afflusso di capitali esteri per spingere gli investimenti e lo sviluppo.

franco-CFA-trio-inconciliabileOltre ai vantaggi, però, un sistema di cambi fissi presenta numerosi svantaggi. Il primo è la perdita di una politica monetaria indipendente come spiegato dal “Trilemma” di Mundell, poi ripreso nel “Trio Inconciliabile” da Padoa Schioppa. La libertà di movimento di capitale potrebbe, inoltre, comportare una tendenza al deflusso di capitali dal paese debole verso economie più stabili, solitamente da parte delle élites, impoverendo il tessuto economico e rendendo maggiormente difficoltoso lo sviluppo.

La maggior parte delle critiche al Franco CFA sono legate proprio a questo aspetto, critiche provenienti sia da economisti africani, che da economisti europei spesso citati a sproposito o, forse, manipolati o incompresi. Nella peggiore delle ipotesi, il sistema di cambio fisso e la libera circolazione di capitale potrebbero provocare un surriscaldamento economico, con conseguente esplosione degli squilibri delle partite correnti, crescita dell’inflazione, brusco stop dell’afflusso di capitali e crisi economica; scenario verificatosi diverse volte nel corso degli ultimi quarantacinque anni e, in Europa, appena nove anni fa.

Probabilmente l’ancoraggio del Franco CFA alla moneta unica non è utile per lo sviluppo dei paesi coinvolti; probabilmente avvantaggia le élites di tali paesi a scapito delle popolazioni, e probabilmente è sintomo di un’egemonia monetaria europea, del tutto simile a quella creata dal dollaro, ma difficilmente può essere considerata una forma neocoloniale.


 

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