L’Iran: tra conflitti esterni e conflitti interni. Riuscirà Trump ad ottenere il cambiamento di regime?

Di Noemi Messeri – L’Iran è da sempre al centro della scena internazionale. Le sue risorse di petrolio, di gas e di caviale, attraggono le più grandi potenze mondiali, ma soprattutto tengono all’erta gli Stati Uniti d’America, preoccupati di contrastare la probabile creazione della bomba atomica da parte del Governo iraniano.

Quando nel 2002 le Nazioni Unite scoprono l’esistenza di due siti nucleari tenuti segreti dal Governo di Teheran, il Consiglio di Sicurezza impone le prime sanzioni economiche e finanziarie allo scopo di costringere l’Iran a cessare il lungo processo di arricchimento dell’uranio nel tentativo di costruire le armi nucleari.

Tali sanzioni, se da un lato paralizzano l’economia del Paese, dall’altro non frenano la politica militare del Governo iraniano. Così, nel tentativo diplomatico di trovare una soluzione efficace, nove anni dopo, nel 2015, viene firmato l’accordo di Vienna​. I cinque membri del Consiglio di Sicurezza, l’Unione Europea e la Germania, aboliscono le sanzioni suddette a condizione che il Paese del Medio Oriente assicuri di non utilizzare il nucleare per scopi militari. L’iran si impegnerà, infatti, a ridurre del 97% le scorte di uranio (materia prima della bomba atomica).

L’uranio restante potrà essere arricchito fino al 3,67%, – abbastanza per un uso civile, ma non per un uso militare che richiederebbe un arricchimento di circa il 90%. Il Paese sarà inoltre sottoposto ad ispezioni​ rigorose e regolari da parte dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica.

Fortemente voluto dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama e dall’Alto rappresentante PESC, Federica Mogherini, annunciato come «un passo importante» per la de-ideologizzazione della politica iraniana finalmente libera dal conservatorismo degli anni passati, l’accordo è destinato a durare soltanto due anni.

Nel 2017 Donald Trump lo definisce «il peggior accordo della storia​», giustificando tale affermazione essenzialmente con tre motivazioni.

– la breve durata​: in effetti l’accordo, coprendo un tempo di soli dieci anni, lasciava incerto ciò che sarebbe potuto accadere dopo;
– la non considerazione della questione dei missili balistici che l’Iran continua ad evolvere in modo sempre più sofisticato costituendo una minaccia per Israele e l’Arabia Saudita, alleati degli USA;
– la previsione del versamento in liquidi di 1,5 miliardi ed il progressivo scongelamento di 84 miliardi di averi iraniani all’estero avrebbe consentito all’Iran di arricchirsi in maniera eccessiva, tale da far presumere finanziamento di terroristi e la continuazione del progetto nucleare.

Allo scopo di isolare economicamente il Paese e provocare una rivoluzione interna ed un cambiamento di regime, gli Stati Uniti hanno organizzato l’embargo in due turni di sanzioni.

Il primo round è scattato nell’agosto del 2018 ed il secondo scatterà il 4 novembre, con la minaccia di sanzionare tutti i Paesi che, a partire da tale data, intratterranno qualsiasi relazione finanziaria con Teheran.

La pressione degli Stati Uniti sulle imprese europee non ha tardato a raggiungere i risultati: il ​fior fiore dell’industria europea, che aveva investito in Iran dopo l’accordo del 2015 adesso rinuncia ai suoi affari. È il caso di Total, Daimlers, Siemens PSA, Renault, Maersk Boeing. A seguito di tutto questo in un solo anno il ryal​, la moneta iraniana, ha perduto circa il 98% del suo valore rispetto al dollaro, ed è completamente crollato negli ultimi mesi provocando la continua accelerazione dell’inflazione.

Nelle strade della capitale regna il malcontento e le proteste sono all’ordine del giorno. Il Governo ha difficoltà a gestire la società iraniana che, nel suo insieme, è sempre più evoluta e soprattutto altamente istruita​. Infatti, ciò che era stato promesso alle elezioni del presidente Rohani – vale a dire una politica di apertura e di democratizzazione del paese – non è stato per nulla mantenuto.

E la protesta popolare arriva finalmente anche da parte delle donne​. Due esempi. Nel gennaio di quest’anno una ragazza iraniana in una piazza pubblica ha sfidato il governo togliendo e sventolando l’hijab – velo che copre capo e spalle. La ragazza è tuttora in carcere, ma le foto hanno fatto il giro dei social scatenando un vero e proprio movimento di solidarietà e protesta. Ancora oggi in Iran vige l’interdizione di cantare e ballare in pubblico. Così pochi mesi fa un’adolescente è stata arrestata per aver postato su Instagram dei video in cui ballava. Anche altre 12 persone sono finite agli arresti per aver postato dei video simili in segno di solidarietà.

Non bisogna tuttavia trascurare che un cambiamento di Governo non risolverebbe i problemi sociali degli iraniani. Nel sistema costituzionale della Repubblica islamica di Iran il vero vertice politico e religioso del sistema giuridico è la Guida Suprema​, l’ayatollah Ali Khamenei, non sottoposto ad alcun limite e controllo e al di sopra e fuori del sistema costituzionale. Sono dunque le leggi dell’Islam a prevalere sul sistema delle fonti normative dell’ordinamento.


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